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Il Pd e la paura di conoscere se stesso (di G. Gambino)

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Ciò che più pesa, nei giorni immediatamente precedenti il voto per le primarie del Partito democratico con cui gli iscritti sceglieranno il nuovo segretario, è l’assenza del dibattito intorno a che cosa sarà e che cosa farà il nuovo Pd. La sfida incentrata sui quattro candidati ha visto correnti dividersi, veterani politici e intellettuali prendere parte alla competizione, ex leader e dirigenti di partito esprimere il proprio consenso a favore di questo o quel candidato. Ma nessuno, fatto salvo qualche rara eccezione, ha posto al centro di questa sfida il tema dei temi: l’identità e la natura stessa del Pd. Che poi vuol dire il rispetto degli elettori.

S&D

Sarà pur fantascienza (o una pia illusione) ragionare su questioni simili, ma partiamo da un fatto, che vale per tutti e per ogni circostanza: senza chiarezza, senza fare tabula rasa, non potrà mai esserci futuro. Sì, perché così facendo – ignorando cioè questioni al cuore degli elettori di centrosinistra – si finisce per spazzare via la polvere sotto al tappeto (proprio questa, curiosamente, è stata l’espressione utilizzata da uno dei quattro candidati alla segreteria dem, critico nei confronti dei due principali contendenti perché «espressione dell’establishment»).

Eppure il seme degli argomenti è da tempo piantato, germoglia nel dibattito pubblico ma subito dopo viene strappato via con violenza. Per non essere mai affrontato.

Tutti, nessuno escluso, hanno paura di affrontare una così radicale e completa discussione. In primo luogo perché li riguarda tutti e vorrebbe dire rinnegare parte del proprio passato. Secondo: perché è sconveniente. E infine perché è drammaticamente faticoso. E così il nastro si riavvolge da dove lo avevamo lasciato l’ultima volta. Ma come è possibile tutto ciò? Com’è possibile fare finta di nulla, in balia degli eventi, magari addossando la colpa a chi c’era prima?

Pensateci, è grave: nessuno dei candidati in corsa per il titolo di segretario, dopo il risultato deludente alle elezioni del 25 settembre, ha fatto i conti con il proprio elettorato. Eppure la prima qualità richiesta a un aspirante leader è di sapersi sobbarcare il fallimento della precedente gestione. Sarebbe bastata una conferenza stampa nella quale, rivolgendosi al pubblico, ammettere i propri errori, le proprie disfatte, le ragioni di queste sconfitte. Utilizzando parole chiare, termini riconoscibili e familiari per un elettorato rimasto orfano, colpevole solo di aver dato fiducia – anche oltre l’inverosimile – a un gruppo dirigente che ha chiesto loro il voto per oltre un decennio salvo poi fare l’esatto contrario di quanto aveva promesso. L’idea che un partito di governo debba essere responsabile è un conto; ma il fatto che ciò comporti il consueto tradimento di una mission e di valori congeniali a quell’elettorato è ben altro.

Lavoro, diritti sociali, ambiente. Fuori le lobby e i gruppi d’interesse. Un solo padrone: la collettività e l’interesse pubblico. Tre frasi scandite in breve che, proprio a causa dei fallimenti precedenti, oggi verrebbero criticate come intrise di retorica e populismo ma che in realtà sono capaci di definire se stessi più di mille fronzoli, di dare speranza a chi oggi è frantumato in pezzi, a chi è solo.
Perché il problema è proprio questo: più che la sfida tra Bonaccini e Schlein – nessuno dei quali, per la verità, portatore di un proprio pensiero degno di nota e dei quali tra l’altro già conosciamo bagaglio culturale, corrente politica e rispettivi mandanti – sarebbe opportuno scandagliare chiare intenzioni e interessi mirati, visto che delle vere idee nemmeno a parlarne.

In questo senso, basterebbe che rispondessero a queste domande: la politica sociale, economica ed estera del prossimo segretario dovrà essere in linea a quella perseguita da Enrico Letta? Si rifarà sulle orme dell’ultimo Matteo Renzi? E se così non fosse, in che modo cambierà?

Ora, dato che se il Pd sta elettoralmente in piedi lo deve in larga parte alla sua storia e alla sua eredità, e tenuto conto che i singoli uomini che ne fanno parte, di voti, a livello nazionale, da soli non ne prenderebbero poi così tanti (non tutti li riconoscono o sanno chi sono), non sarebbe opportuno per il grande pubblico conoscere le reali intenzioni di chi si candida a guidare il partito? Sarebbe tutto molto più semplice. A meno che la partita non sia già scritta. E il destino di questo partito ineluttabilmente segnato.

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