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L’Italia è allo stremo, è ora di riaprire. O sarà troppo tardi (di Luca Telese)

Immagine di copertina
Coronavirus: Fila e volti alla mensa dei poveri di Napoli. 30 Marzo 2020. ANSA/CESARE ABBATE/

Basta, per carità, con gli arresti domiciliari collettivi indifferenziati e indeterminati: sono stati utili fino a ieri, adesso rischiano di diventare controproducenti. Sono stati giusti ieri, ma ora rischiano di diventare addirittura sbagliati. Ormai non ci si dovrebbe più chiedere se sia o meno giunta l’ora di passare alla fantomatica Fase 2. Ma dovremmo semplicemente sapere da “quando” questa riapertura graduale dell’Italia possa essere attuata. Il tempo è arrivato: può essere questione di ore, o giorni, ma non si può più parlare di settimane, men che meno di mesi. Per chiedere qualcosa bisogna dare qualcosa.

Il paese è allo stremo, gli effetti collaterali rischiano di superare i vantaggi. Le economie famigliari si sono sgretolate, le riserve e i capitali di rischio si sono bruciate, le convivenze scricchiolano, e non certo perché sono finite le serie da vedere su Netflix. Bisogna agire perché chi ha abbassato le saracinesche per senso del dovere sta pagando un prezzo altissimo, e ora rischia di non poterle risollevarle più: con intelligenza chirurgica bisogna ricominciare a riaprire. Con razionalità e tempismo l’Italia deve mettere a calendario la resurrezione delle sue botteghe e delle sue industrie, del suo mercato, della sua agricoltura, della sua industria culturale, riaccendere il motore del sistema-paese.

 

 

In questi giorni ho inaugurato una pagina di appunti del mio diario di lavoro, traendo ispirazione dalle notizie più folli che ci stanno investendo nel tempo del Covid. Ovviamente c’è l’imbarazzo della scelta, ne cito alcune a titolo puramente esemplificativo. Sentite queste: le madri che hanno scoperto le tossicodipendenze dei figli solo nei giorni della quarantena, e – purtroppo – solo grazie ad essa. I figli tossicodipendenti che oggi si rivelano, chiedono soldi o addirittura vorrebbero che i genitori andassero a procurare loro la droga al posto loro. Poi c’è stata una notizia di sapore quasi biblico, e neopuritano: le prostitute finite in coda alla Caritas, perché prive di lavoro e di qualsiasi assistenza. Pensateci sono un momento: il mestiere più antico del mondo si ferma per la prima volta nella storia, non era mai accaduto nemmeno in tempo di guerra. Nemmeno per la sifilide o per l’Aids.

Poi c’è il ribaltamento del simbolo più modernista di Francia: il primo Tgv-Covid dalla gare de Austerlitz alla Bretagna, trasformato in ospedale volante per trasportare i malati da sud a nord. E quindi il bollettino di guerra degli Stati Uniti, che toccano dieci milioni di disoccupati, un effetto collaterale che fa impallidire la crisi di Wall Street del 1929. Quindi – tornando in Italia – l’incredibile storia di Antonio De Pace, il killer che ha invocato come alibi di un raccapricciate delitto domestico il pretesto del contagio subìto dalla compagna. Non era per nulla vero, ma anche questo è un segno: l’istituzionalizzazione di un grande alibi collettivo, fino al diritto penale. Folle. Così come il delirio dell’arcivescovo Carlo Maria Viganó, secondo cui il virus “è stato una punizione divina per la sodomia e per le famiglie arcobaleno”. Chiamare il 128 non basta.

Bisogna prendere atto di due cose importanti. La prima: il contenimento è stata una strategia giusta, è un’arma povera, ma era l’unica a nostra disposizione. Eravamo impreparati, non avevano mascherine, respiratori e terapie intensive, dovevamo difendere la prima linea del fronte – i nostri ospedali – dal rischio-collasso. Dovevano farlo per salvare vite, e abbiamo fatto bene a farlo, anche se era una vergogna avere solo 5.200 posti letto allo scoppiare della crisi, meno di qualsiasi grande paese in Europa. Adesso le terapie intensive, grazie anche ad un mostruoso investimento economico – quello fatto con i primi tre miliardi e mezzo di un decreto da 25 miliardi – sono state raddoppiate.

La linea del fronte è stata alleggerita, ovunque sorgono nuovo ospedali Covid-dedicati. Il contenimento è un’arma antica, povera ma efficace. Almeno finché il virus non supera le barriere di recensione delle zone rosse e delle aree di più forte prevalenza. Quando questo punto di svolta di una pandemia si verifica – e da noi sta inevitabilmente accadendo – i buoi sono già usciti dal recinto, il rapporto costi/benefici si inverte. Il costo sociale enorme non compensa più il beneficio sanitario, molto più circoscritto che nei primi giorni. Per questo, proprio perché è stato giusto attuare il contenimento un mese fa, adesso non lo è più. Prima di tutto perché “chiudere tutto” ha un costo altissimo, un effetto collaterale che demolisce i Pil di tutto il mondo. Siamo stati i primi a usare “l’arma povera”, tutti quelli che non lo avevano fatto o addirittura ci avevano irriso adesso ci stanno copiando. Buon per loro, anche perché sono in ritardo sul decorso della malattia di pochi ma decisivi giorni. Male, perché non hanno imparato da noi.

Ma noi non possiamo copiare più noi stessi. Adesso serve un salto di intelligenza in più: riaperture scaglionate, mirate, protette, tamponature intelligenti. Tracciature digitali. Scelte asimetriche, perché è asimmetrico e frastagliato è il nostro paese: non si può pensare che quel che è giusto e sacrosanto a Bergamo o a Cremona (capitali dell’infezione), sia giusto anche in Barbagia, che sta in un altro continente (la Sardegna è una regione continente), e/o in Sicilia, che è un’altra latitudine. E/o in Puglia e Calabria, che hanno un altro microclima, e condizioni di antropizzazione del tutto diverse da quelle della pianura padana.

I più anziani dovranno restare protetti, fino alla blindatura. Ma tra gli altri molti – una volta certificati e tracciati – dovranno e potranno tornare al lavoro, in condizioni di sicurezza. Perché – e questo è il rischio più grande – non possiamo restare o diventare un paese (questo è il conto di oggi) da venti milioni di sussidiati. Molti non possono permettersi così tanti assistiti per l’impegno economico che comporta, molti non possono permetterselo per così tanto tempo, noi non possiamo permetterci né per il primo né per il secondo motivo, né per il costo né per la durata. Altrimenti il Coronavirus non sarà l’ultima puntata – la peggiore – del film che stiamo vivendo, ma diventerà solo la prima, quella di partenza di uno spin off peggiore: un kolossal catastrofistico sulla devastante crisi economica che rischia di travolgerci.

In questo scenario di carestia il virus sarebbe solo il meccanismo di innesco di piaghe peggiori. Non si può essere gli unici che restano chiusi mentre gli altri vanno avanti, non si posso far bruciare dalle fiamme della concorrenza interi mercati. Bisogna tenere blindati gli anziani e metterli in sicurezza, proteggere tutti i cittadini più vulnerabili, ma mettere fine al dilemma per cui si può portare a spasso un cane, ma non un bambino. È necessario trovare una misura. Bisogna individuare una collocazione per i convalescenti guariti (magari non le case anziani, come hanno previsto in Lombardia) bisogna stilare subito la lista delle categorie che ripartono per prime, fissarsi una tempistica da comunicare alla gente senza annunci rapsodici e senza alzare di ingegno, e possibilmente non nel cuore della notte.

Ha scritto – genialmente – Alessandro Baricco: “Abbiamo mandato a giocare al torneo dei videogames di ultima generazione dei campioni di scacchi”. È terribilmente vero. Le polemiche di queste ore ci dicono che molti non erano nemmeno campioni, ed alcuni (a dire il vero) avrebbero difficoltà anche con la dama. Gli apparati dirigenti di alcune Regioni, malgrado le autonarrazzioni trionfalistiche si sono sgretolati. E spesso una vecchia burocrazia della carta, della ceralacca e dei bolli è diventata la faccia dello Stato che non ci arriva e si nasconde dietro una vecchia maschera. Ora servono meno grida e più app: la tecnologia del possibile.

Il sospetto è che il tanto titubare sulla Fase 2 sia dettato più che dalla prudenza sanitaria dalla più totale impreparazione culturale a cambiare gioco, a passare dall’autocertificazione e dalla mentalità del cartaceo al tempo del 4.0 e del web che hanno aiutato la Corea a liberarsi dal contagio. Bene: adesso passate alla Fase 2 sapendo che alla Fase 1 non si può più tornare. Se non per disperazione.

Parte il video della Regione Lombardia, Mentana ferma il collegamento: “La propaganda non ci interessa”

 

 

Leggi anche: 1. Coronavirus, il Governo lavora alla Fase 2: ecco come e quando usciremo di casa / 2. Coronavirus, Presidente Conte: vogliamo la verità. Occorre un discorso al Paese (di R. Bertoni)

3. Coronavirus, Renzi parla di “riaprire l’Italia”. Ma gli scienziati si oppongono: “Follia”. Calenda: “Poco serio” / 4. Coronavirus, Matteo Renzi a TPI: “Non mi rimangio nulla, la pandemia rischia di diventare carestia”

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