Di fronte all’emergenza Coronavirus o l’Europa cambia, oppure muore (di Pierfrancesco Majorino)
L’Europa o cambia o muore. È inutile girarci attorno. In questi giorni abbiamo fatto passi da gigante verso un bivio che ha del drammatico. I limiti e le contraddizioni che si erano già evidenziati nel recente passato in relazione alla politica estera, o a grandi temi come l’immigrazione, vengono amplificati in maniera enorme dall’emergenza Coronavirus. E questo ci consegna un gigantesco paradosso: proprio nel momento in cui avremmo bisogno di una politica comune e unitaria molto più potente e determinata – in relazione alla salute, alla sanità, alla ricerca, alle scelte di carattere economico e finanziario – ecco, proprio in quel momento, si esaltano le pigrizie e gli egoismi degli Stati nazionali (o meglio: di alcuni di essi).
Arrivando a realizzare il sogno del peggiore dei sovranisti: il protagonismo dei falchi della più stolta austerità. Cioè l’arma perfetta per esasperare la critica alla dimensione dell’Unione. I falchi, quelli che non comprendono (o non vogliono farlo?) che se non vi è uno scatto enorme nella direzione di condividere il dramma del momento e le decisioni conseguenti il nazionalismo peggiore riaffiorerà con ancora più intensità di prima. Per questo ritengo che abbiano fatto bene i tanti, a partire dal governo italiano e da numerosi europarlamentari, che proprio in un contesto simile non stanno accettando compromessi al ribasso in relazione agli strumenti da mettere in campo a sostegno delle diverse economie (e in fondo giocare la partita degli Eurobond può significare innanzitutto questo: rifiutare piccole vie di fuga).
Oggi sono in gioco i destini di milioni di donne e di uomini. Poiché la crisi, la recessione, è imminente. Vi è dunque bisogno dell’esatto contrario del rigore cieco, serve semmai, come ha sostenuto nel modo più autorevole Mario Draghi, capacità di spesa, desiderio di farcela attraverso la comune responsabilizzazione, sostegno alle persone, alle famiglie, alle imprese. Vi è bisogno, come ha dimostrato di saper fare il Parlamento europeo, sbloccando miliardi freschi a disposizione dei Paesi in difficoltà, di passi coraggiosi e determinati. Passi coraggiosi e determinati che si sono immediatamente concretizzati nello sblocco di 9 miliardi, che diverranno ben di più, a sostegno dei Paesi in difficoltà per fronteggiare l’emergenza sanitaria nonostante una folle opposizione de facto operata dalla Lega di Salvini (che ha subdolamente cercato di far passare, in occasione della seduta plenaria di giovedì, emendamenti che avrebbero ottenuto l’unico risultare di bloccare la cosiddetta “procedura d’urgenza”, vanificando le scelte del Parlamento stesso: a conferma del fatto che il gioco del sovranista ancora una volta è quello di confidare nel “tanto peggio tanto meglio”).
Il Coronavirus, con i suoi drammi e le sue ferite, è un’accelerazione potente verso un tempo diverso. Un tempo che ha bisogno, se possibile ancora più di prima, di un’Europa rifondata. Che sostituisca le regole sin qui adottate con strumenti in grado di garantire maggiore inclusione, coesione sociale, pensiero comune. La partita non è scontata e non sarà breve. In queste settimane, nelle quali alcuni totem sono stati abbattuti (uno su tutti: l’inamovibilità del Patto di Stabilità) si è vissuto un continuo alternarsi di buone intenzioni e torsioni pericolose. Il Parlamento europeo, come sottolineato, in più di una occasione, in modo molto opportuno dal Presidente David Sassoli, dovrà continuare a sviluppare politica, dovrà far sentire la sua voce, dovrà dimostrare plasticamente che i cittadini del Vecchio Continente – innanzitutto quelli stremati, sfiduciati e impauriti – proprio nell’Europa potranno trovare un approdo. Sapendo che, in tutta evidenza, non ci saranno seconde occasioni.
A questo link il documento, molto significativo e ricco di proposte, elaborato dai parlamentari europei che si riconoscono nella famiglia dei Socialisti e dei Democratici.
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