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Caro-energia: perché decabornizzare è meglio di diversificare (di L. de Santoli)

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Negli ultimi mesi i prezzi del gas in Europa hanno raggiunto livelli senza precedenti. Ciò sta danneggiando l’economia europea, le imprese e le persone in difficoltà, ampliando le disuguaglianze a ulteriore testimonianza dell’importanza del tema energia sugli aspetti sociali.

S&D

Da ottobre del 2021 il prezzo medio mensile del gas non è mai sceso sotto il valore di 80 euro al megawattora raggiungendo anche prezzi superiori a 200. Questa situazione sta portando alla luce i limiti dell’attuale catena di approvvigionamento energetico europeo ed in particolare del mercato dell’energia, influenzati dalla forte dipendenza dell’Europa dalle importazioni di combustibili fossili e quindi dagli scenari geopolitici.

L’Italia risulta ancora più penalizzata, avendo l’80% delle sue fonti dipendenti dagli altri Paesi, con il 40% dei propri approvvigionamenti di gas derivati dalla Russia. In questo quadro, la diversificazione delle importazioni non può essere l’unica soluzione. Infatti, l’espansione dell’infrastruttura del gas (nuovi gasdotti e impianti di rigassificazione) rappresenta un investimento a lungo termine che contraddice la necessità di una rapida decarbonizzazione dei sistemi energetici. 

Proprio il processo di decarbonizzazione, tra l’altro imposto dall’Europa, può fornire una misura della non convenienza di insistere con il gas naturale, come sta facendo il nostro Paese con importazioni alternative dall’Algeria o dall’Egitto. Il costo dell’energia prodotta con le tecnologie rinnovabili attualmente disponibili, rapportato alla rispettiva quantità di gas che queste permettono di ridurre, indicano quanto costa la conseguente riduzione del gas importato.

Tale costo è possibile dimostrare sia orientativamente pari a 70 euro al megawattora che si riducono a 40 nel caso di voler considerare solo la generazione elettrica (a sua volta quasi tutta prodotta dal gas). Questo significa che ogni qualvolta il prezzo del gas sul mercato di riferimento europeo superi anche il valore di 70, cosa che dalla metà del 2021 è sistematicamente avvenuto fino a raggiungere valori record di tre o quattro volte superiori, l’opzione migliore anche in termini economici è quello della decarbonizzazione in luogo della diversificazione.

Diciamo “anche in termini economici”, perché sugli altri aspetti, quelli ambientali, di riduzione della dipendenza, per ottenere una pace duratura, libertà e democrazia, il confronto non esiste nemmeno. Inoltre, gli investimenti in rinnovabili rappresenterebbero un motore della ripresa attraverso la creazione di nuovi posti di lavoro. Proseguire verso gli obiettivi di riduzione delle emissioni al 2030 permetterebbe la creazione di 100.000 nuovi posti di lavoro permanenti e circa un milione di posti di lavoro temporanei. Investire nella transizione energetica giusta può quindi essere un modo per coniugare la decarbonizzazione del sistema energetico con la ripresa dell’economia italiana.

Inoltre, è necessario chiedersi se insistere con investimenti in nuove infrastrutture fossili possano essere considerati stranded asset che sottraggono capitale agli investimenti verdi, quando invece, come detto, è possibile ridurre il consumo complessivo di gas naturale con un costo inferiore a quello necessario per l’acquisto della stessa quantità di gas. Come dire: questa crisi energetica in atto può rappresentare un’opportunità per accelerare il processo di transizione energetica e di decarbonizzazione dell’economia e allo stesso tempo, con la riduzione della dipendenza del nostro Paese dai prezzi delle fonti fossili, rappresentare un’occasione, forse unica, di sviluppo industriale. Per maggiori informazioni tecnico-scientifiche, vedere questo link.

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