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Home » Opinioni

Benedetto XVI ci ricordò che il latino non è una lingua morta

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La morte del Papa emerito Benedetto XVI ha riportato l’attenzione del pubblico sul suo pontificato e, inevitabilmente, su quel clamoroso gesto con cui nel 2013 lasciò il soglio di Pietro. Quel giorno, il Papa, non si limitò a compiere qualcosa che sembrava fino a quel momento pressoché impossibile, ma sconvolse anche il sempre più globalizzato mondo dell’informazione dando questa notizia in quella che molti ritengono, a torto, essere una lingua morta.

S&D

Se avesse annunciato la sua rinuncia al ministero petrino in italiano o in inglese, la notizia avrebbe senz’altro avuto la stessa eco globale, ma sarebbe stata immediatamente compresa, pur con ragionevole incredulità, da tutto il sistema dell’informazione. L’uso del latino, invece, complicò il tutto tanto che solo una valida intuizione della giornalista dell’Ansa Giovanna Chirri fece sì che i media potessero battere la notizia da un capo all’altro del mondo prima ancora che il Vaticano fornisse ulteriori chiarimenti.

Va infatti ricordato che Benedetto XVI dette la notizia delle dimissioni nel corso di un concistoro in cui annunciava la canonizzazione di “Antonio Primaldo e compagni martiri”, meglio noti come Martiri di Otranto: non un evento in cui, nella prassi vaticana, ci si aspettino fuori programma di tale portata.

Chiunque, che fosse un fedele, un semplice cittadino o un addetto ai lavori ricorda senz’altro la sensazione di incredulità provata nel 2013 all’arrivo di tale notizia. Il mondo stesso fu consapevole di trovarsi di fronte a qualcosa che non accadeva da secoli. La notizia che con prepotenza si stava guadagnando un posto tra le più importanti dell’epoca, in un tempo l’informazione globale tende ad articolarsi in un numero sempre più ridotto di lingue, era stata data in latino.

Questa lingua mostrò così di non essere una lingua morta. Certo, senza dubbio relegata a una nicchia, ma viva al punto di rompere il corso degli eventi. L’annuncio di Benedetto XVI non rappresenta però l’unica testimonianza di una lingua ancora in parte usata e di conseguenza in movimento. Il latino, oltre a essere usato per funzioni liturgiche, cerimoniali e di studio, è lingua ufficiale nella Città del Vaticano, perciò usata per quasi tutti i documenti dello stato. Uno degli account Twitter del Papa, inoltre, è in latino così come lo è un’intera edizione di Wikipedia. Sempre in latino vengono tradotti molti dei libri più letti scritti in anni recenti. Questo fa sì che alla lingua parlata da Giulio Cesare e Virgilio si debbano aggiungere parole che all’epoca non esistevano: dall’automobile, divenuta autocinetum, al navigatrum, come viene definito il browser. Passi e scelte che portano dunque vivacità a una lingua che magari non è sulla bocca di tutti ma è senza dubbio ancora viva.

Questo aspetto legato al latino probabilmente non ha rappresentato il punto focale del pontificato di Benedetto XVI (che, ricordiamo, non può essere ridotto alle sole dimissioni), né forse è passato abbastanza osservato nella portata dell’annuncio, ma è qualcosa che Papa Ratzinger ci ha saputo ricordare.

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