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Il City Plaza di Atene, l’ex hotel dove migranti e rifugiati si autogestiscono

Immagine di copertina
L'ingresso del City Plaza Credit: Mara Scampoli

City Plaza è una sfida, il frutto di un pensiero collettivo basato sull'auto-organizzazione e la solidarietà, che in un anno ha visto passare al suo interno oltre 1.700 persone tra volontari e rifugiati

City Plaza non è soltanto uno dei tanti luoghi diventati rifugio per migranti e rifugiati in tutta Europa, laddove la risposta delle istituzioni non arriva. City Plaza è una sfida, il frutto di un pensiero collettivo basato sull’auto-organizzazione e la solidarietà, il risultato di oltre 20 anni di esperienza e lavoro della rete politica DIKTYO (Network for Social and Political Rights); quest’ultima è un network indipendente della sinistra radicale greca che propone un modello alternativo di organizzazione della società basata sull’auto-gestione e la collaborazione “orizzontale”.

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Molto è stato scritto sulla struttura di accoglienza auto-organizzata all’interno dell’ex hotel Ateniese City Plaza, ormai diventata un modello di accoglienza studiato dal mondo scientifico e seguito dalla stampa internazionale.

Ci siamo proposti quindi di passare del tempo al City Plaza per comprenderne a fondo il funzionamento, incontrare le persone che hanno dato vita a questo progetto e che lo sostengono quotidianamente.

Cos’è il City Plaza

Lo scorso 22 Aprile il “Refugee Accommodation and Solidarity Space City Plaza” ha festeggiato un anno di vita e durante questo arco di tempo la struttura ha visto passare al suo interno oltre 1.700 persone tra volontari e rifugiati. Nelle sue 126 camere, delle quali solo 26 sono riservate al personale volontario, la struttura è capace di alloggiare stabilmente circa 400 persone, di cui un centinaio di nuclei familiari.

La priorità di accesso è decisa sulla base della loro precedente sistemazione (che la maggior parte delle volte è la strada) e di particolari problemi o difficoltà che la famiglia o le singole persone hanno. La distribuzione delle stanze e dei posti letto viene invece fatta in modo da evitare la creazione di agglomerati etnici o religiosi, sia per quanto riguarda i vari piani dell’albergo che le singole stanze, così da mantenere una certa eterogeneità.

La struttura, rimasta chiusa per sette anni a seguito del fallimento dell’attività, è stata occupata nel 2016 da un collettivo di attivisti e migranti, tra cui DIKTYO, l’ex Gioventù di SYRIZA e Antarsya, un gruppo della sinistra radicale Ateniese.

Poco tempo dopo però, vista l’ormai maturata capacità di auto-gestione sviluppata da City Plaza, i tre gruppi hanno deciso di farsi da parte rimanendo però a fare da supporto politico. Questo esperimento di auto-gestione si organizza attraverso una serie di riunioni settimanali a cui tutti possono partecipare, rifugiati e volontari, e si basa sul concetto di condivisione e lavoro comune.

L’obiettivo è quello di mettere in pratica un’idea di vita quotidiana che favorisca la legittimazione e la responsabilizzazione dell’individuo. City Plaza vive solo grazie alla collaborazione attiva di volontari e residenti, ed è sostenuto economicamente attraverso le donazioni private provenienti da tutto il mondo.

Questa occupazione vive in un contesto di precarietà caratterizzato dal costante rischio di sgombero e da intimidazioni da parte dei gruppi di estrema destra come Alba Dorata. In questa situazione, condivisa da almeno un’altra dozzina di squats nel quartiere ateniese di Exarchia e innumerevoli campi profughi in tutta la Grecia, City Plaza sta cercando di creare una rete antirazzista di solidarietà e resistenza, anche rivolta contro le politiche del governo sulla questione migratoria.

Leggi anche: Noi, minori afghani di Atene, costretti a prostituirci con gli anziani pur di sopravvivere

Da questo punto di vista, questo progetto si pone come azione concreta nella rivendicazione dei diritti sociali e politici per i rifugiati e i migranti, oltre che come atto di resistenza verso le politiche migratorie imposte dall’Europa nei confronti di questa crisi, prima di tutte l’accordo Europa-Turchia firmato nel marzo 2016. In questo modo, City Plaza si pone come controproposta alla problematiche abitative a cui le istituzioni rispondono con la creazione di campi profughi e hotspots che spesso finiscono per versare in condizioni di degrado. “We live together – solidarity will win”. Due anni fa l’ondata migratoria proveniente soprattutto dall’area medio-orientale, ma anche dal nord e centro Africa, è riuscita a varcare le frontiere europee.

Questo spostamento di persone, provenienti da un contesto di continui conflitti armati e crisi umanitarie, ha dato origine ad un fenomeno che vedeva già alla fine del 2014 un movimento di circa 7 milioni di persone, il più alto dalla fine della seconda guerra mondiale. Tuttavia, la decisione presa dai singoli stati dell’Unione di chiudere le loro frontiere, ha bloccato nel 2015 62.000 rifugiati in Grecia, paese già strozzato dalla crisi economica e dall’austerità imposta dall’Ue.

È in questo clima di emergenza che City Plaza nasce e si colloca, contrapponendo alle oltre 49 strutture tra centri di detenzione e campi profughi sparsi in tutto il paese, una rete di resistenza e solidarietà al grido di “refugees welcome”. “Viviamo e lottiamo insieme, la solidarietà vincerà”. Questo lo slogan più utilizzato dal City Plaza, non più un hotel ma casa di una grande famiglia cosmopolita venutasi a creare dopo lo sgombero della vicina piazza Vittoria, uno dei luoghi di arrivo e concentrazione dei rifugiati e richiedenti asilo ad Atene.

La durata della permanenza è varia e può andare da pochi giorni a diversi mesi, in attesa dei documenti necessari per il ricongiungimento familiare o per l’espatrio. Appena arriviamo veniamo subito introdotti nel gruppo tramite l’introduction meeting, uno dei vari momenti collegiali che regola la vita comunitaria. Durante l’incontro Malik spiega le regole del vivere civile all’interno dell’hotel, passando poi alle diverse attività in cui possono essere inseriti i nuovi volontari appena arrivati, oltre che affrontare alcuni problemi di gestione quotidiana.

Le regole di base della convivenza sono poche, chiare e non derogabili:

1. la violenza e le discriminazioni non sono ammesse, come anche droghe ed alcool;

2. situazioni di potenziale conflitto non devono mai inasprirsi, per il rispetto delle persone e del posto;

3. chiunque ne abbia la possibilità deve fare almeno un turno a settimana.

Il rispetto di queste regole è garantito dalla condivisione e partecipazione attiva alla vita comunitaria da parte di tutti i residenti, i quali non sono più soggetti passivi di un approccio assistenzialistico bensì protagonisti attivi di un processo di cambiamento. È in questo senso sorprendente per un osservatore esterno, rendersi conto di come oltre 400 persone di etnie, età e problematiche diverse, possano in effetti convivere in un contesto assolutamente ben organizzato e pacifico.

La gestione quotidiana è garantita dalla presenza in turni nelle diverse attività di squadre miste di volontari e residenti, in particolare per quanto riguarda la preparazione e distribuzione dei pasti, la pulizia dei locali, l’accoglienza e la sorveglianza, sia diurna che notturna. A questo proposito i residenti del City Plaza sono dotati di due tessere: una di riconoscimento, che consente l’accesso alla struttura, ed una seconda per l’accesso alla mensa, che è condivisa con tutti.

Le decisioni vengono prese in comune sempre attraverso lo strumento democratico della discussione collettiva in incontri dedicati come il coordination meeting e il solidarity meeting, che è specificamente dedicato ai volontari, i così detti “solidarians”. Inoltre, il buon funzionamento è garantito anche dalla presenza costante di volontari di lungo termine e di un gruppo di attivisti facenti parte del collettivo che sostiene l’occupazione. I “Solidarians”. Giovanni, 23, è un volontario italiano.

Viene da Torino, dove studia Antropologia delle migrazioni al primo anno della magistrale. Dopo aver letto diversi articoli sul City Plaza, spinto dalla curiosità e dalla voglia di dare una mano, è arrivato ad Atene circa 10 mesi fa, con l’intento di restare solo per una settimana. Alla fine, rimandando di mese in mese, è ancora lì, dove si occupa principalmente delle attività del Kid’s Corner, lo spazio dedicato ai bambini. Giovanni ci spiega che la maggior parte di loro è di origine afghana, di cui molti rifugiati in Iran.

A differenza di altri squats o campi profughi ad Atene, qui ci sono solo cinque minori non accompagnati. Questo perché il City Plaza ritiene più opportuno indirizzare i minori verso strutture più adeguate ai loro bisogni. Il Kid’s Corner è un ambiente ricavato da una sala al primo piano, in cui non solo è data l’opportunità ai bambini di giocare in un ambiente sicuro e controllato, ma dove si svolgono anche attività ludo-educative che si estendono poi alle lezioni di inglese di base, per i più grandi, nelle camere adibite ad aule.

Questo spazio è stato anche pensato come nursery per quelle mamme che, non essendo accompagnate o trovandosi impegnate in altre attività, non possono quindi occuparsi dei propri figli a tempo pieno. In questo modo si dà loro la possibilità di potersi ritagliare dei momenti della giornata per sé stesse o, ad esempio per alcune, di recarsi al lavoro. Infine, le attività del Kid’s Corner si estendono anche alle visite organizzate per i bambini, e quindi per la famiglia, ai musei, le gite al mare o in montagna, e le partite di pallone al parco, dimostrando anche un’attenzione articolata al contesto familiare in cui essi vivono. Anche Vittoria, 22, viene da Torino, dove sta studiando per ottenere la laurea magistrale in Psicologia.

È arrivata al City Plaza insieme a Giovanni. Come lei ci spiega, all’inizio l’impatto è un po’ duro e ci vuole un po’ per entrare in sintonia anche solo con le diverse culture e ideologie che si incontrano. Tuttavia la difficoltà più importante, spiega Vittoria, è quella di far convivere le due facce della stessa medaglia: al clima sereno e gioviale che si respira nella comunità, si contrappongono i dolori e le sofferenze private delle persone che lì convivono. Lei si occupa principalmente del Women’s Space, lo spazio che ha creato e sviluppato, esclusivamente dedicato alle donne.

L’approccio di Vittoria mostra la sua costante tensione nell’articolare le attività sulla base dei bisogni emergenti e sempre cangianti delle donne, individuando e sperimentando nuove forme di gestione. Per lei, da questo punto di vista, far partire il progetto ha rappresentato una vera e propria sfida fatta di prove ad errori, cominciata con una serie di piccoli workshop per donne sul come fare maschere facciali con materiale reperibile in cucina.

Da qui è venuta l’ispirazione, spinta anche dalle difficoltà linguistiche, e quindi delle limitazioni nella comunicazione (a differenza degli uomini molte di loro hanno ricevuto poca o nessuna educazione scolastica nei paesi d’origine), e dal fatto che è difficile incontrare le donne al di fuori degli orari della mensa. “Se c’è un modo per renderle più fiduciose, più aperte, è esattamente seguire la loro linea di pensiero” ci dice Vittoria. Da qui è scaturita la decisione di appoggiare le loro necessità e richieste piuttosto che fare delle proposte preconfezionate.

Così nel Women’s Space si è per esempio organizzato un corso di inglese dedicato alle sole donne, permettendo loro di superare la resistenza alla partecipazione alle classi miste dovuta a motivi culturali ed alla minore scolarizzazione rispetto agli uomini. Il diritto di restare e la libertà di movimento in Europa.

La Germania è il principale paese di destinazione dei migranti e rifugiati in Grecia. Nel 2011 la Corte costituzionale tedesca aveva deciso di sospendere per cinque anni il Regolamento di Dublino, consentendo dunque ai richiedenti asilo provenienti dalla Grecia di raggiungere la Germania, nonostante il trattato preveda che la valutazione della domanda di asilo debba essere fatta presso il primo paese dell’Unione in cui si arriva.

Ma i tempi cambiano, e la Germania ha comunicato che intende ripristinare il Regolamento di Dublino ed ha già individuato oltre 400 persone da “restituire” alla Grecia. In seguito, il programma europeo del 2015 per il ricollocamento dei richiedenti asilo arrivati in Grecia ed Italia ha individuato dei criteri di eligibilità così restrittivi da ridurre drasticamente il numero delle persone che possono accedere agli altri paesi europei, considerando “vulnerabili” solo i soggetti provenienti da Iraq, Eritrea e Siria.

L’accordo sul ricollocamento è terminato il 26 settembre, con risultati decisamente inadeguati, stando ai dati che l’ UNHCR ha recentemente reso pubblici: dei 160.000 richiedenti asilo previsti dal programma, di cui 106.000 solo da Grecia e Italia, solo 29.144 sono stati ricollocati, di cui 20.066 dalla Grecia e 9.078 dall’Italia. L’UNHCR chiede quindi all’Europa di rinnovare il programma modificando altresì le modalità di individuazione dei criteri di eligibilità attualmente considerati troppo restrittivi.

Ad oggi, però, non è stata ricevuta alcuna risposta. Insomma, la politica Europea, fatta di chiusura di frontiere e restrizioni della possibilità di movimento dei richiedenti asilo nei paesi membri, ha creato una situazione di stallo nella quale sono intrappolati almeno 62.000 richiedenti asilo in Grecia. In questo senso la Grecia è stata usata dall’Europa come laboratorio di sperimentazione delle più recenti politiche Europee in materia di gestione dei flussi migratori, il cui fine, ormai sempre più esplicito, sarebbe quello di ridurre drasticamente gli arrivi nello spazio Europeo.

È questa una delle cause che bisogna andare a cercare per poter giustificare adesso un tale sovraffollamento negli arcipelaghi Ellenici, diventati sede di decine di hotspots e campi profughi. In questo modo l’UE ha silenziosamente portato avanti una politica di creazione di una buffer zone, o zona franca, in cui poter confinare “il problema” migranti, lasciandolo fuori dalle mura della fortezza Europa, così come sta tutt’ora succedendo in Libia secondo i recenti accordi presi con l’Italia.

È anche per questo che, nel contesto politico e sociale di Atene, gli attivisti ed i residenti del City Plaza cercano costantemente momenti di incontro con la collettività. In questo modo, partecipando attivamente agli eventi significativi, possono far sentire la loro voce e rendere esplicita la loro condizione, come è accaduto alle due manifestazioni tenutesi il 5 Settembre prima all’Acropoli e poi nel quartiere turistico di Monastiraki, e come accade con cadenza quasi settimanale di fronte agli uffici per l’asilo nel quartiere ateniese di Katehaki.

Molte sono le famiglie che incontriamo al City Plaza in attesa del perfezionamento dei documenti per il ricongiungimento familiare. Karima, 27 anni, è lì con il fratello Hamed e i due figli di 10 e 5 anni. È di nazionalità afghana, ma è nata in Iran, da cui fugge a causa delle condizioni di grave discriminazione in cui versa il popolo afghano. Gli Afghani emigrati non hanno diritto alla cittadinanza ma sono costretti ad avere documenti con validità temporanea da rinnovare ogni sei mesi.

L’accesso ai servizi pubblici, come ad esempio le scuole, è estremamente limitato e possibile solo a fronte di costi elevati. Questa condizione è ancora più grave per le donne che spesso si ritrovano isolate a causa del contesto culturale in cui vivono. Karima ha rifiutato un matrimonio combinato con un cugino e a causa di questo è stata perseguitata insieme al suo attuale marito e costretta a fuggire.

È al City Plaza da circa un anno e mezzo ed è ancora in attesa di ricevere l’autorizzazione al ricongiungimento familiare con il marito, che è già riuscito ad arrivare in Germania per problemi di salute. Pensa che non sia giusto che l’Europa discrimini fra le nazionalità di coloro che richiedono asilo e vorrebbe garantiti i diritti umani anche per sé ed i suoi figli. Molti al City Plaza sono in questa condizione, chi da giorni, chi da settimane e chi da mesi.

Per loro questo posto rappresenta un porto sicuro dove poter recuperare le energie e prepararsi ad una nuova vita dopo aver dovuto lasciarsi tutto alle spalle, a volte anche gli affetti più cari. Nonostante i moltissimi risultati positivi, la minaccia di sfratto è sempre dietro l’angolo e la proprietaria dello stabile, Aliki Papachela, è arrivata addirittura a citare in giudizio il capo della polizia per non aver provveduto allo sgombero della proprietà occupata illegalmente.

Le sue richieste sono state infine ascoltate e il 17 maggio la Procura ateniese ha emesso una richiesta di sgombero per il City Plaza ed altri due squat di Atene, di cui gli occupanti sono stati informati solo settimane dopo, quando la stampa ha pubblicato la notizia.

In Grecia, stanti le condizioni attuali dettate dalle politiche europee, il City Plaza resta la migliore alternativa ai campi profughi ed hotspots nei quali vivono ammassate decine di migliaia di migranti, in condizioni di estrema precarietà igienico-sanitaria, esposti alle intemperie ed alle violenze.

È per questo che la gente del City Plaza chiede di informare l’Europa su quanto sta accadendo e sul valore umano di questo progetto, chiedendo di diffondere il suo messaggio di solidarietà.

Il reportage è a cura di Mara Scampoli e Mattia Alunni Cardinali

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