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Home » Esteri

La Cina è già pronta alla guerra con gli Stati Uniti d’America

Immagine di copertina
Credit: AGF

Acquisisce armi sei volte più velocemente di Washington e dal 2021 ha prodotto oltre 400 caccia e 20 navi militari, raddoppiato l’arsenale atomico e balistico e sviluppato un nuovo bombardiere stealth. Non succedeva dalla Seconda guerra mondiale

«La Prima guerra mondiale è scoppiata perché non si è stati in grado di gestire una crisi relativamente piccola». Prima della pandemia Henry Kissinger aveva commentato così, all’età di 96 anni, le crescenti tensioni tra Cina e Stati Uniti, lanciando un avvertimento. «Se si permette al conflitto di svilupparsi senza limiti, l’esito potrebbe essere persino peggiore di quanto accaduto in Europa», aveva dichiarato durante una conferenza a Pechino il segretario di Stato, e anche consigliere per la sicurezza nazionale, di Richard Nixon e Gerald Ford.

Contestato per il suo ruolo nella devastante guerra segreta in Cambogia e nel golpe cileno, Kissinger è anche considerato uno degli architetti della svolta che ha portato all’avvicinamento tra Cina e Stati Uniti. Ma negli ultimi anni di vita è diventato sempre più pessimista sulle prospettive delle relazioni tra i due Paesi. Alla stessa conferenza del 2019 aveva dichiarato che le due potenze si trovavano «alle “pendici” di una nuova guerra fredda». Successivamente ha aggiornato la sua diagnosi sostenendo che, dopo aver iniziato la loro metaforica ascesa, erano affacciate sull’orlo di un «precipizio» e dovevano scegliere quale direzione prendere. Entrambe le parti, ha ammonito, dovranno imparare a coesistere e ad accettare che non potrà verificarsi alcun conflitto tra due potenze di simili capacità, se la volontà è quella di «preservare l’umanità». Avvertimenti ancora attuali a Washington, dove l’ipotesi di uno scontro non più solo diplomatico e commerciale, ma anche militare, è sempre più  al centro del dibattito.

A preoccupare è lo sviluppo delle capacità militari della Cina, tanto rapido da aver convinto diversi osservatori che il Paese stia preparando l’invasione di Taiwan. L’ammiraglio John Aquilino, ex comandante dell’Indo-Pacific Command degli Stati Uniti, ha descritto il riarmo cinese come il «più esteso e rapido dalla seconda guerra mondiale». Uno degli obiettivi chiave di Xi Jinping è completare la modernizzazione dell’Esercito popolare di liberazione entro il 2027. Secondo Aquilino, il presidente cinese ha ordinato all’esercito di essere pronto a invadere Taiwan per quell’anno.

Corsa alle armi
«La Cina è ormai un peso massimo e la base industriale degli Stati Uniti non tiene il passo», ha sottolineato Seth G. Jones, presidente del dipartimento difesa e sicurezza del Center for Strategic and International Studies (Csis). In un rapporto pubblicato a marzo, il think tank ha chiesto la ricostruzione dell’«arsenale della democrazia» evocato da Franklin Roosevelt nel 1940.

«Negli ultimi dieci anni, la produzione cinese di navi, sottomarini, aerei, sistemi di difesa aerea, missili, sistemi terrestri, veicoli spaziali e armi informatiche ha reso il Paese un serio concorrente degli Stati Uniti», ha spiegato Jones in un articolo su Foreign Affairs, osservando che la produzione degli Stati Uniti si è invece «atrofizzata». Il sistema Usa non avrebbe quindi la capacità di sostenere «una guerra prolungata nella regione dell’Indo-Pacifico o una guerra su due fronti in Asia e in Europa». La Cina è già la prima potenza al mondo nella costruzione di navi, con una capacità 230 volte quella statunitense, ed è ora in grado di dotarsi di sistemi d’arma con una rapidità da cinque a sei volte quella degli Stati Uniti. 

Secondo quanto riportato su Foreign Affairs, tra il 2021 e il 2024 la Cina ha prodotto più di 400 velivoli militari e 20 navi militari di grandi dimensioni, ha raddoppiato la disponibilità di armi nucleari e più che raddoppiato quella di missili balistici e da crociera. Nello stesso periodo ha anche sviluppato un nuovo bombardiere stealth e ha aumentato il numero di lanci di satelliti del 50 per cento. Pechino ha infatti aumentato la produzione, puntando su sistemi progettati come deterrente ma anche capaci di prevalere in uno scontro tra grandi potenze.

La più grande flotta del mondo
A beneficiare maggiormente degli investimenti nella difesa, secondo il rapporto del Csis, è stata proprio la Marina, che oggi dispone della più grande flotta del mondo, con più di 340 navi. In base alle stime della marina statunitense, uno solo dei cantieri navali cinesi più grandi, come quello di Jiangnan a Shanghai, ha una capacità maggiore di tutti i cantieri Usa presi assieme. In Cina inoltre molti cantieri sono usati sia per scopi militari che civili. Questo significa che in futuro potrà aumentare la sua capacità più rapidamente degli Stati Uniti.

In termini di imbarcazioni, la crescita della Marina dell’Esercito popolare di liberazione è iniziata circa 15 anni fa, prima con l’aumento graduale della costruzione di corvette poi con la realizzazione delle portaerei Shandong e Fujian nel 2017 e nel 2022 e, dal 2019, il completamento di otto cacciatorpedinieri. La Fujian, che ha condotto la prima prova in mare lo scorso maggio, è di gran lunga la più grande portaerei nella flotta cinese. Con un dislocamento di 80mila tonnellate, che superano le 66mila tonnellate della Shandong e le 60mila della Liaoning, dovrebbe entrare a far parte integralmente della flotta cinese nel 2026. Solo la marina degli Stati Uniti possiede portaerei più grandi. La Cina sta anche procedendo alla realizzazione della più grande nave d’assalto anfibia del mondo, la prima Landing Helicopter Assault (Lha) di classe Yuhan, in costruzione nei cantieri di Shanghai.

Nonostante i progressi, la Marina statunitense è ancora in vantaggio. Anche se la Cina ha più navi, sono più piccole rispetto a quelle degli Stati Uniti e la sua flotta può trasportare solo la metà dei missili della sua controparte statunitense. Ma il divario produttivo, che continuerà ad aumentare in futuro, darà alla Cina un vantaggio in una guerra prolungata con gli Stati Uniti. Anche per quanto riguarda l’aviazione la Cina ha fatto passi in avanti, senza ancora colmare il divario con gli Stati Uniti. Nel 2023 l’aeronautica cinese disponeva di più di duemila aerei da combattimento di quarta e quinta generazione, più del doppio degli 800 che la Cina operava nel 2017. L’anno scorso gli Stati Uniti avevano più di 3.350 caccia di quarta e quinta generazione.

Anche se hanno beneficiato meno dell’aumento di investimenti, le forze terrestri dell’Esercito popolare di liberazione rimangono le più grandi al mondo. Negli ultimi anni hanno aumentato il numero di brigate corazzate, aggiungendone nove, e hanno ridotto il numero di brigate di fanteria leggera. Rispetto all’esercito degli Stati Uniti, dispongono ora di più carri armati e pezzi di artiglieria.

Potenza industriale
In termini di spesa militare, gli Stati Uniti sono ancora il ​​primo Paese al mondo. Secondo i dati dell’Istituto Internazionale di ricerche sulla pace di Stoccolma (noto con l’acronimo inglese Sipri), nel 2023 la spesa militare statunitense è stata pari al 37 per cento di quella mondiale, ossia 916 miliardi di dollari (+2,3 per cento rispetto al 2022). La Cina si è collocata al secondo posto, con 296 miliardi di dollari, seguita dalla Russia con 109 miliardi. Il dato cinese, in crescita del 6 per cento rispetto al 2022, è circa la metà della spesa militare in tutta l’Asia e l’Oceania.

Osservatori statunitensi ritengono che le spese effettive siano di gran lunga superiori a quanto indicano i dati ufficiali, che escluderebbero quelle coperte da segreto. A ogni modo per la Cina si tratta del 29esimo anno di crescita consecutiva. Come sottolineato dal ricercatore Xiao Liang, «è la più lunga striscia mai registrata da qualsiasi Paese». Secondo i ricercatori dell’istituto, l’aumento della spesa cinese ha spinto anche Taiwan e Giappone a stanziare più fondi per la difesa. Nel 2023 Tokyo ha speso 50,2 miliardi di dollari per le sue forze armate, l’11 per cento in più rispetto al 2022. La stessa crescita fatta registrare da Taipei, che nel 2023 ha speso 16,6 miliardi di dollari.

Pechino ha annunciato che il suo bilancio per la difesa per l’anno fiscale 2024 aumenterà del 7,2 per cento rispetto al 2023. Un dato guardato con scetticismo oltre Pacifico. «Non credo al numero annunciato. Penso che sia drasticamente più alto», ha commentato l’ammiraglio Aquilino lo scorso aprile.

A guidare lo sforzo produttivo ci sono le grandi imprese statali, che ormai hanno raggiunto, e in alcuni casi superato, le dimensioni di colossi come Boeing e Airbus. Per ricavi le prime due aziende di armamenti al mondo sono infatti cinesi: si tratta di Aviation Industry Corporation of China, con poco meno di 120 miliardi di ricavi complessivi e China State Shipbuilding (106 miliardi). Tra le prime dieci se ne contano ben quattro, mentre, fino a dieci anni fa, nessun’azienda cinese figurava tra le prime 100. Se si limita lo sguardo ai ricavi legati al solo settore della difesa, il primo posto viene preso dalla statunitense Lockheed Martin. Ma anche in questo caso tra i primi 12 posti 5 sono occupati da aziende cinesi. Le altre tre imprese cinesi sono China North Industries Group Corporation Limited, China Electronics Technology Group e China South Industries Group Corporation, che si vanno a posizionare accanto a colossi globali come Boeing, Airbus, Rtx (ex Raytheon) e General Electric.

Secondo Xi Jinping, lo sviluppo di un esercito di livello mondiale è fondamentale per raggiungere il suo obiettivo di perseguire il «grande ringiovanimento della nazione cinese su tutti i fronti». Il presidente cinese si è difeso dalle accuse di perseguire «egemonia» ed «espansionismo», sostenendo che Pechino «persegue una politica di difesa nazionale difensiva e il suo sviluppo rafforza le forze mondiali per la pace».

Sale la tensione
Nonostante questi propositi, le tensioni con gli Stati Uniti non accennano a scemare. A settembre la Cina ha lanciato nel Pacifico il suo primo missile balistico intercontinentale dal 1980. Secondo il ministero della Difesa cinese si tratta di un lancio «di routine», non diretto contro alcun Paese o obiettivo. Alcuni osservatori l’hanno invece interpretato come una dimostrazione di forza, per rendere chiaro che Pechino ha la capacità di colpire il territorio statunitense con armi nucleari. O come un tentativo da parte delle Forze missilistiche dell’Esercito popolare di liberazione cinese di dimostrare che le sue capacità non erano state indebolite dalle epurazioni che ne hanno colpito i vertici. Si è trattato del primo test missilistico di rilievo dall’estate 2021, quando furono testati per due volte missili ipersonici, sorprendendo l’intelligence statunitense.

Il Pentagono sta inoltre accusando la Cina, che in passato deteneva solo un piccolo numero di testate per poter rispondere a un attacco nucleare nemico, di aver accelerato l’espansione del suo arsenale nucleare. L’anno scorso il dipartimento statunitense della Difesa ha previsto che entro il 2030 la Cina disporrà di oltre 1000 testate nucleari, a fronte delle 500 di maggio 2023 e delle 200 del 2019. Gli Stati Uniti attualmente limitano a 1.550 le testate nucleari strategiche dispiegate, come stabilito nel trattato sulla riduzione delle armi nucleari New Start, firmato con la Russia nel 2010.

Il Pentagono ha anche accusato la Cina di aver usato l’Esercito popolare di liberazione per provocare gli Stati Uniti e i suoi alleati, con manovre ad alto rischio attorno ad aerei e navi straniere. Nell’arco di due anni, la Cina avrebbe intercettato quasi 300 volte aerei statunitensi e alleati, in modo «rischioso e coercitivo». Dal 2019 le incursioni cinesi nella “Zona di identificazione di difesa aerea” di Taiwan sono passate da meno di 20 all’anno a più di 2.400. Dal momento che non raggiungono lo spazio aereo taiwanese, Washington e Taipei non possono fare molto per fermarle. Queste non raggiungono lo spazio aereo di Taiwan ma accrescono l’allarme nell’isola, in cui le forze nazionaliste cinesi si sono ritirate dopo la sconfitta nella guerra civile contro i comunisti nel 1949.

A settembre il ministero della difesa di Taiwan ha avvertito che le attività di Pechino nello spazio aereo e nelle acque che circondano il territorio stavano rendendo più difficile distinguere l’esercitazione dalla guerra. L’isola, distante, nel punto più vicino, 130 chilometri dalla costa cinese, riveste un’importanza strategica per le filiere tecnologiche globali, con la presenza di aziende come Tsmc, produttore chiave di macchinari per realizzare semiconduttori («la più importante azienda al mondo» secondo il New York Times).

Secondo Ely Ratner, assistente speciale del segretario della Difesa statunitense, Taiwan «occupa una posizione critica all’interno della “prima catena di isole”» ed è un punto di riferimento per «una rete di alleati e partner degli Stati Uniti, che si estende dall’arcipelago giapponese fino alle Filippine e al Mar Cinese Meridionale, che è fondamentale per la sicurezza della regione e fondamentale per la difesa degli interessi vitali degli Stati Uniti nell’Indo-Pacifico». Mentre negli Stati Uniti la questione della sovranità di Taiwan viene ritenuta «indeterminata», Pechino la considera una propria provincia che, presto o tardi, sarà «riunificata».

«Per come si sono evolute le cose ora, non è semplice per gli Stati Uniti abbandonare Taiwan senza indebolire la propria posizione altrove», ha spiegato Kissinger in un’intervista fatta al The Economist poco prima di compiere 100 anni. Secondo il decano del realismo in politica estera, scomparso a novembre 2023, la situazione attuale «siamo nella classica situazione precedente alla prima guerra mondiale» in cui «nessuna delle due parti ha un ampio margine di compromesso politica e in cui qualsiasi disturbo dell’equilibrio può portare a conseguenze catastrofiche».

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