Icona app
Leggi TPI direttamente dalla nostra app: facile, veloce e senza pubblicità
Installa
Banner abbonamento
Cerca
Ultimo aggiornamento ore 19:58
Immagine autore
Gambino
Immagine autore
Telese
Immagine autore
Mentana
Immagine autore
Revelli
Immagine autore
Stille
Immagine autore
Urbinati
Immagine autore
Dimassi
Immagine autore
Cavalli
Immagine autore
Antonellis
Immagine autore
Serafini
Immagine autore
Bocca
Immagine autore
Sabelli Fioretti
Immagine autore
Guida Bardi
Home » Esteri

Reportage TPI – Così Zohran Mamdani vuole trasformare New York City

Immagine di copertina
Credit: ZUMAPRESS.com / AGF

Giustizia sociale, affitti bloccati, trasporti gratuiti e democrazia dal basso. Il candidato sindaco dei Democratici propone un modello radicale alla città più cara degli Usa. Per un futuro senza padroni né compromessi

«Questa sera abbiamo fatto la storia!». Era da poco passata la mezzanotte di martedì 24 giugno 2025 quando Zohran Mamdani pronunciava queste parole sulla terrazza di un locale di Long Island City nel Queens – zona del distretto di New York che rappresenta come “assemblyman al Congresso di Stato di Albany – dove si svolgeva l’Election Night Party ufficiale della sua campagna elettorale per le primarie democratiche alla carica di sindaco della città. Tra la osannante platea dei presenti, arrivati a varie ondate nelle sei ore precedenti e ormai incollati in modalità concerto da stadio nonostante il caldo torrido, la frase era già abbondantemente circolata fin prima che iniziasse lo spoglio delle schede.  E man mano sul grande schermo televisivo, lasciato privo di volume, apparivano i risultati, i dati confermavano come nessun’altra espressione potesse essere più adeguata di quella. Sia in relazione all’impresa compiuta dal giovane candidato socialista sudasiatico musulmano, che correva su una piattaforma populista progressista di tipo economico, sia considerando l’evento da una retrospettiva politica generale di almeno dieci anni. 

Frattura a sinistra
Sbaragliare con dodici punti di differenza l’ex governatore dello Stato di New York Andrew Cuomo, tra i rappresentanti più emblematici del peggio che la politica Democratica abbia mai prodotto, era un’impresa titanica. Finanziato dal potentato bipartisan del sistema immobiliare-edilizio ed economico-finanziario di New York, Cuomo aveva dalla sua parte la quasi totalità dell’establishment del Partito Democratico e dei suoi media di riferimento, sebbene soltanto tre super big del partito gli avessero dato un endorsement dichiarato: Bill Clinton, il potente Jim Clyburn, presidente del Black Caucus del Congresso, e lo pseudo-democratico Michael Bloomberg, ex-sindaco di New York e meteora priva di appeal nelle primarie presidenziali del 2020. Pur parteggiando per Cuomo, gli altri esponenti di spicco dell’establishment avevano infatti ritenuto più conveniente non esporsi, per via dei vari scandali dell’ex-governatore, tra cui quello sulle molestie sessuali per il quale si dimise nell’agosto 2021, dopo undici anni di mandato. Ora tra i Democratici vigono spiazzamento e sconcerto di fronte al terremoto scatenato da Mamdani tra la classe dirigente del partito che dovrebbe rappresentare le enormi fasce della working class, ma che nel giro di qualche decennio è diventato il suo nemico più accanito, come dimostrato in modo manifesto dai boicottaggi di Bernie Sanders, che di quella classe si era erto a difensore fin dalla sua prima campagna presidenziale nel 2015. Un partito ormai talmente distaccato dalla gente comune e dedito ad assecondare il volere dei suoi finanziatori che, pur di non rischiare una presidenza Sanders, si è reso il diretto responsabile sia delle due elezioni di Trump nel 2016 e 2024, sia di quella di Biden nel 2020, quando molti segni già lasciavano presagire quella decadenza cognitiva che inevitabilmente si sarebbe conclamata sempre più. Oggi come oggi, seppure con il nome di Zohran, continua a valere il concetto espresso in tanti cartelli dei manifestanti pro-Sanders che nei giorni della Convention Democratica Nazionale di Filadelfia del luglio 2016 recitavano: «Il Partito Democratico ha più paura di Bernie che di Trump». Non è strano dunque che Mamdani, per il quale «Bernie è stato il personaggio politico più importante di tutta la (mia) vita»,  sia visto dall’establishment democratico con lo stesso terrore, avendo il giovane candidato impostato la sua proposta politica su principi populisti che confliggono con gli interessi sempre più oligarchici delle corporation, proprio come continua a predicare Sanders nel suoFighting Oligarchy Tour”.  Perora il terremoto in campo democratico è più che altro sotterraneo considerando l’eloquente mutismo generalizzato con cui Mamdani viene ignorato, come se non fosse diventato una superstar internazionale nel giro di una notte. I pochi esponenti di peso che si sono espressi, tra cui il leader di minoranza della Camera Hakeem Jeffries o la senatrice Kirsten Gillibrand – entrambi newyorkesi ed entrambi beneficiari di cospicui finanziamenti lobbistici dell’Aipac (American Israel Public Affairs Committee) e dei suoi affiliati, rispettivamente di 1,7 e un milione di dollari – lo hanno fatto strumentalizzando ad hoc in maniera più o meno velata la falsa narrativa di antisemitismo apertamente fatta circolare dai Repubblicani. 

D’altra parte per l’establishment democratico risulta anche problematico dimostrare di non gradire il risultato popolare espresso nelle primarie, un processo che rappresenta uno dei capisaldi della democrazia americana. Per quanto non sarebbe la prima volta che il Partito Democratico viola l’essenza di quella parola, democrazia, la cui tragica perdita ha paventato senza tregua nell’ultima campagna presidenziale contro Donald Trump, nonostante i vertici democratici avessero autoritariamente blindato come unico e inamovibile candidato presidenziale Joe Biden prima e Kamala Harris poi. Il modo in cui  i leader democratici si comporteranno in futuro è un’incognita di grande interesse, soprattutto da quando il 14 luglio Andrew Cuomo ha annunciato la sua candidatura alle  elezioni generali di novembre con la lista indipendente “Fight and Delivery”, che si era premurato di registrare in tempo utile. L’imbarazzo del Partito Democratico potrebbe aumentare anche in conseguenza dell’apprezzamento che Trump ha già espresso per l’ex-governatore. «L’establishment democratico si trova in una posizione molto debole e confusa», ci ha detto in una lunga intervista Ross Barkan, autorevole giornalista per testate come The Guardian, The Nation, Jacobin Magazine e autore di diversi libri tra cui “The Prince. Andrew Cuomo, Coronavirus and the Fall of New York” (2021), riedito pochi mesi fa con una nuova introduzione e col titolo “The Dark Prince Returns”, in cui Cuomo appare come l’erede naturale del principe machiavellico. «Molti elettori sono delusi dal partito, sono persone a cui non piacciono né l’establishment democratico né quello repubblicano. E Zohran ha dimostrato chiaramente questa frattura, che credo continuerà ad aumentare, motivo per cui i leader democratici continuano a sperare che Zohran non vinca. Ma vincerà, o almeno è molto probabile che vinca. E l’establishment dovrà adattarsi, perché lui rappresenta non solo il futuro del partito, ma il futuro stesso».

Accessibilità e nuovi progetti
Un «futuro» che si è già palesato nel modo stesso di impostare e condurre la campagna elettorale, secondo un modello che lo staff di Zohran considera il prototipo vincente per le prossime campagne di sinistra, «basato su tre principi basilari: coerenza, chiarezza e autenticità». Come recitava il banner appeso sulla terrazza del 24 giugno, “Afford to Live and Afford to Dream”, è stato il motto principale fin dall’inizio della campagna, quando Mamdani era ancora uno sconosciuto venuto dal nulla con una popolarità che nel mese di febbraio registrava l’1 per cento, mentre Cuomo era al primo posto assoluto nella lista degli iniziali nove candidati democratici con circa il 32 per cento. E poi, in quattro mesi, la scalata fino alla vittoria, frutto del carisma di Zohran e del lavoro congiunto di una squadra eccezionale di professionisti che, coadiuvati da 50mila volontari, hanno utilizzato l’innovazione e la creatività per massimizzare la resa dei tradizionali mezzi di comunicazione. Anche l’uso di tali tecniche comunicative ha infatti  permesso a Mamdani di ispirare i cittadini di ogni angolo dei cinque distretti di New York e di creare una coalizione sempre più ampia, che nei giorni immediatamente successivi alla vittoria si è ulteriormente arricchita di importanti componenti, tra cui alcuni sindacati che in prima battuta avevano sostenuto Cuomo o si erano astenuti, e che continua a mietere consensi ed endorsement.

In primo luogo c’è stata l’individuazione delle principali esigenze dei newyorkesi attraverso migliaia di interviste con le persone comuni incontrate per la strada o nei luoghi di lavoro, nelle abitazioni e comunità aggregative. Parecchie delle interviste effettuate dallo stesso Zohran con lo stile di un giornalismo colloquiale e alla mano sono poi diventate alcuni di quei video virali, tutti verticali, che sono stati il segno visivo distintivo della sua corsa. Memorabile la marcia di tredici miglia nella quale Zohran ha attraversato tutta Manhattan, partendo da Inwood Hill Park a nord fino a Battery Park a Sud, fermandosi a stringere mani e a scambiare battute tra l’entusiasmo di tante persone. Che il sorriso, l’ironia, la semplicità e la simpatia di Zohran lo rendano un personaggio capace di bucare lo schermo è indiscutibile, ma forse anche la genetica, oltre a un team video particolarmente abile e dinamico, deve qualcosa a queste intuizioni cinematografiche. Sua madre è infatti la regista indiano-americana Mira Nair, tra i cui premi internazionali figurano la Camera d’Or a Cannes per la miglior opera prima nel 1988 con “Salaam Bombay!” e il Leone d’Oro a Venezia nel 2001 con “Monsoon Wedding”. Una parentela stretta che Zohran non ha mai pubblicizzato, volendo che a parlare fossero soltanto i suoi programmi, costruiti sulle necessità di tutti quei newyorkesi che con il loro lavoro diurno e notturno fanno funzionare 24 ore su 24 la città che non dorme mai. 

Attraverso una campagna profondamente immersa nella città, il macrotema dell’«affordability», ossia dell’accessibilità economica di New York City – la città più costosa degli Stati Uniti che molti residenti hanno dovuto abbandonare perché non più «affordable» – ha fatto emergere le quattro proposte principali su cui si è focalizzato il messaggio populista di Zohran e in merito alla cui fattibilità abbiamo chiesto l’opinione di Ross Barkan: «Alcune promesse saranno facili da mantenere e altre difficili. Per esempio congelare gli affitti degli alloggi a canone calmierato di New York, che riguardano tantissime persone della working e middle class, è una cosa che Zohran può fare in autonomia, perché dipende dal governo cittadino. Sarà lui a decidere le linee guida per la politica degli affitti. Lo stesso vale per il progetto dei supermercati cittadini, per cui arrivare ad aprirne cinque dovrebbe essere piuttosto facile. Anche per l’assistenza all’infanzia dai cinque mesi ai cinque anni, cioè dall’asilo nido alla scuola materna, che dovrebbe costare 5 miliardi all’anno, la città è indipendente ma la spesa è altissima, quindi è possibile che si debba chiedere aiuto al Congresso di Albany. Zohran vuole aumentare le tasse alle corporation e ai ricchi per provvedere al Childcare, ma non può farlo da solo perché la tassazione è una materia che dipende dallo Stato. La governatrice Kathy Hochul ha detto che non ci saranno aumenti di tasse quindi quella sarà una grande sfida. Quanto alla gratuità degli autobus c’è una certa dipendenza da Albany, perché gli autobus fanno parte della Metropolitan Transportation Authority (Mta), controllata dal governatore. Ma poiché è necessario che l’Mta sia d’accordo e provveda al finanziamento, Zohran potrebbe fare in modo che sia la città a dare più soldi all’Mta. Insomma ci sono situazioni in cui potrà essere creativo, ma ci saranno cose su cui dovrà per forza collaborare con Albany».

Questione di rappresentanza
Accanto alle posizioni populiste, non sono mancati nella campagna di Mamdani, l’appoggio alla Palestina e la condanna incondizionata di Netanyahu. Rispondendo a una domanda del giornalista Mehdi Hasan, fondatore della piattaforma indipendente Zeteo, sull’eventuale benvenuto in qualità di sindaco a una visita del leader del governo israeliano, Zohran ha risposto: «Come sindaco di New York farei arrestare Netanyahu. Questa è una città i cui valori sono in linea con quelli della legge internazionale. È tempo che lo siano anche le azioni».

Essendo l’establishment democratico schierato, come quello repubblicano, su posizioni filo-israeliane – anche se proprio in questi ultimi giorni sembra che sull’onda delle proteste internazionali qualcosa si stia muovendo anche lì, sebbene per pura convenienza – non stupisce il ricorso al tema israelo-palestinese per attaccare Zohran. Particolarmente significativo è l’endorsement che Andrew Cuomo, ardente sostenitore di Israele, ha ricevuto alle primarie da due deputati newyorkesi ben finanziati dalla lobby israeliana come Richie Torres e George Latimer. Il secondo in particolare ha segnato un record nella storia generale delle primarie con i 19 milioni dollari ricevuti per sconfiggere il deputato progressista filo-palestinese in carica Jamaal Bowman. La cifra, che è servita al suo scopo, ha fatto balzare Latimer al primo posto di tale classifica, nelle cui prime venti posizioni risultano solo candidati finanziati dall’Aipac in primarie democratiche dal 2020 in poi.

L’utilizzo della questione israelo-palestinese per colpire Mamdani è un altro segno della «frattura» di cui parlava Barkan in quanto, a fronte della sensibilità verso un tema diventato di fondamentale importanza nella base elettorale sia per il genocidio in atto ormai da 22 mesi sia per il ricambio generazionale, sussiste una rappresentanza politica che non rispecchia la multiforme composizione della popolazione americana. 

Per concludere torniamo a Barkan e alla sua risposta in merito all’idea di paragonare il neo candidato indipendente Andrew Cuomo al Principe di Machiavelli: «Cuomo e il Principe di Machiavelli sono simili per molti aspetti. Andrew Cuomo ha operato dalla prospettiva secondo cui è meglio essere temuti che amati. Quella era davvero la sua essenza. Aveva pochissimi amici in Congresso e deteneva il potere in modo molto prepotente, tanto da essere temuto da tantissima gente in tutto lo Stato. E questa paura gli ha permesso di consolidare il potere, di dominare e di ottenere spesso quello che voleva. Era molto subdolo, scaltro, e bravissimo nei giochi di potere dietro le quinte. Non è mai stato accogliente e socievole, non lo si vedeva mai alle parate a stringere le mani alle persone per la strada. Non ha mai praticato quel tipo di politica, ma si trovava perfettamente a suo agio nell’ombra, nel muovere i pezzi sulla scacchiera in maniera calcolata e strategica. Ecco perché penso che abbia preso lezioni dal Principe di Machiavelli. Nessuno poteva essere veramente amico di Cuomo. Era molto transazionale, il rapporto era sempre basato su cosa si può dare e su cosa si può ricevere in cambio. E inoltre era molto vendicativo e se non stavi dalla sua parte sapeva come punirti utilizzando le leve del potere della sua posizione, perché l’ufficio del governatore è molto potente».

Ti potrebbe interessare
Ambiente / È uscito il nuovo numero di The Post Internazionale. Da oggi potete acquistare la copia digitale
Esteri / Ecco cosa ho visto nella Cisgiordania strangolata dal regime di Netanyahu (di L. Boldrini)
Esteri / Trump fa pubblicare sul sito della Casa Bianca un registro degli articoli "falsi e fuorvianti"
Ti potrebbe interessare
Ambiente / È uscito il nuovo numero di The Post Internazionale. Da oggi potete acquistare la copia digitale
Esteri / Ecco cosa ho visto nella Cisgiordania strangolata dal regime di Netanyahu (di L. Boldrini)
Esteri / Trump fa pubblicare sul sito della Casa Bianca un registro degli articoli "falsi e fuorvianti"
Esteri / Arrestati l'ex ministra Mogherini e l'ex ambasciatore Sannino: "Frode sui programmi di formazione per giovani diplomatici"
Esteri / Chi è l’ammiraglio Cavo Dragone, che ipotizza un “attacco preventivo” della Nato contro la Russia
Esteri / Unhcr lancia la campagna “Emergenza Inverno”: la testimonianza di Hamoud, padre di quattro figli in Siria
Esteri / Il New York Times pubblica un articolo sulla salute di Trump, lui si infuria: "Sto benissimo"
Esteri / La Corte Ue: “Il matrimonio gay celebrato in un Paese membro va riconosciuto”
Esteri / Il prezzo della pace tra Ucraina e Russia: ecco cosa prevedono il piano Trump e la controproposta europea
Esteri / Zohran Kwame Mamdani, un socialista a New York