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Home » Esteri

Reportage TPI – Dentro la roccaforte di Hezbollah

Immagine di copertina
Credit: AP Photo

Il Partito di Dio controlla Dahieh, il quartiere a sud di Beirut colpito a gennaio da un raid di Israele contro un capo di Hamas. Per molti, persino in Libano, è solo la culla del terrore. Ma tra scuole, librerie e ristoranti si respira vita e cultura. E la paura della guerra

All’ingresso di Dahieh, il quartiere di Beirut in cui governa Hezbollah e dove il 2 gennaio un drone israeliano ha ucciso il comandante di Hamas, Saleh Al-Arouri, ci sono dei checkpoint militari bianchi e rossi pattugliati da giovani soldati appoggiati stancamente ai loro mitra. Dahieh, in arabo letteralmente “sobborgo”, si trova appena a sud della capitale libanese e viene spesso raccontata dai media (libanesi e internazionali) come una roccaforte inaccessibile dove Hezbollah coltiva un sottostato in opposizione allo Stato libanese. 

S&D

C’è un cavalcavia che congiunge Beirut-Sud a Beirut-Nord: per i media, parrebbe che da un lato ci sia la civiltà, la libertà e l’amore per la vita, mentre dall’altro, a Dahieh, il terrore, la cultura della morte, e il bisogno di fare la guerra. Questo pregiudizio, uno stereotipo che incoraggia la politica frammentaria e settaria del Libano, risale ai tempi della guerra civile libanese degli anni Ottanta, che ha lacerato il Paese e fatto sì che la sua identità sociale tutt’oggi sia costruita sulla faziosità religiosa piuttosto che sullo spirito di riconciliazione. 

La realtà di questo quartiere è molto diversa da come si pensi: a Dahieh, infatti, si ama la vita, la cultura e lo dimostrano le sue vie trafficate ricche di attività commerciali, scuole, librerie, ristoranti. Ma la scelta di descrivere il quartiere di Hezbollah come un covo di terroristi fa parte di una propaganda più ampia di voluta mistificazione storica, sociale e politica che ha portato alla disumanizzazione di questo e altri movimenti di resistenza della regione. 

Base politica
Hezbollah, il “Partito di Dio”, nasce come movimento politico e di resistenza paramilitare durante la guerra civile, dichiarando come suo scopo ultimo quello di eliminare ogni forma di imperialismo occidentale presente in Libano. Hezbollah (che ancora non esisteva come partito politico ufficiale, ma piuttosto come spontanea organizzazione di militanti), è diventato progressivamente più conosciuto, dopo aver compiuto numerosi atti di guerriglia che hanno cambiato le dinamiche della guerra civile. Nel 1982, quando Israele invase il Sud del Libano e mise sotto assedio Beirut, si dimostrò l’unica forza militare del Paese in grado di difendere il Libano dagli attacchi dello Stato ebraico. Alcuni libanesi, e non solo gli aderenti al Partito, sono d’accordo sul fatto che se non ci fosse Hezbollah, difficilmente il Libano sarebbe un Paese indipendente da Israele, che ha occupato il Sud dal 1985 al 2000.

Supportato dal Khomeinismo dell’Iran del 1979, Hezbollah ha rivendicato l’identità sciita, dichiarando il proprio supporto alla Repubblica Islamica, ma non fece mai propria la teocrazia dei suoi protettori. Il movimento, infatti, prende dall’Iran principalmente l’ideologia anti-occidentale, ma rifiuta di applicare nel suo comando politico la giurisprudenza religiosa islamica (sha’aria). Molti osservatori hanno sottolineato come, di fatto, Hezbollah abbia un’organizzazione interna che si avvicina decisamente di più a quella dei partiti socialisti e comunisti del Secondo dopoguerra, piuttosto che a una struttura organizzativa islamica. Credendo nella sovranità del Libano, Hezbollah non pretende di interferire con il principio costituzionale della libertà religiosa. Ogni cittadino libanese, è, per Hezbollah, libero di vivere come desidera. L’Islam è certamente presente nell’universo di significati e punti di riferimento del partito guidato da Hassan Nasrallah, ma la natura religiosa serve piuttosto come base morale per la giustificazione alla resistenza armata, che come fonte di diritto o di governo.

«L’Islam insegna a non restare con le mani in mano di fronte a un nemico che deturpa la terra e uccide la tua gente», ci spiega Jad Hammouch, giornalista dell’emittente Al Mayadeen, il canale televisivo libanese allineato con Hezbollah. «Di conseguenza, dopo anni di intimidazioni e attacchi israeliani sul territorio libanese, il movimento di resistenza anti-coloniale si è sviluppato su una base islamica, ma non con un’amministrazione islamica».

La strada dei “martiri”
La vita dentro Dahieh non è né macabra né pericolosa, ma ha una particolarità che la rende diverse dalle altre aree di Beirut: ospita frequentemente i funerali dei cosiddetti “Martiri della Resistenza”. È un martedì pomeriggio, e accanto a uno dei molti Maqbarat Al Shahedeen (cimiteri-mausolei per i martiri) si svolge la processione funeraria di un ragazzo, 27 anni, morto in battaglia il giorno prima sul confine con Israele. La folla di gente che viene a rendergli onore sembra non finire mai e i cori di lutto riempiono la strada. «Era un nostro vicino», ci dice una ragazza vestita di nero, lì per commemorare l’amico di infanzia. «Aveva appena finito l’università, e ha preso la coraggiosa decisione di andare al Sud invece di iniziare a lavorare, per difenderci contro Israele. Che Dio lo protegga».

In tutta Dahieh, ad ogni incrocio, ci sono grandi pannelli raffiguranti busti fotografati dei “martiri”, vestiti in divisa militare, che riportano iscrizioni che inneggiano alla loro virtù e al coraggio per aver difeso il Libano contro gli invasori e oppressori. La maggior parte delle volte, questi militanti erano giovani uomini che conducevano vite comunissime: alcuni studiavano ingegneria, altri gestivano un’impresa, altri facevano il cuoco in un ristorante di cucina italiana. La loro adesione alla resistenza di Hezbollah non è una radicalizzazione, un improvviso afflato per il fondamentalismo religioso. In linea con un forte sentimento patriottico, i militanti di Hezbollah sono ragazzi che decidono di arruolarsi per proteggere il Libano – e non nell’esercito nazionale poiché pressoché inesistente. Dal 7 ottobre, molti riservisti di Hezbollah sono andati al Sud (Janoub) del Libano per partecipare alla campagna militare “Sulla strada per Gerusalemme”.

H., 23 anni, studente di economia in una delle migliori università del Paese e militante di Hezbollah, afferma che la decisione di arruolarsi non è altro che un compito necessario per sostenere le migliaia di morti innocenti a Gaza e per proteggere il fronte libanese dall’aggressore. Sostiene che se dovesse diventare martire, la sua vita sarebbe sacrificata per una giusta causa; che non significa cercare la morte, perché nessuno vuole vedere suo figlio o il suo migliore amico ucciso. Significa amare la propria patria così tanto da essere pronto anche a morire.

Secondo Rami Khouri, membro illustre (distinguished fellow) del dipartimento di Scienze Politiche e Relazioni Internazionali Issam Fares alla American University of Beirut, l’arma più efficiente di Israele è da sempre la sua propaganda sul Medio Oriente. «Per ogni individuo, movimento o Stato che ha messo in discussione e ha minacciato l’esistenza di Israele, lo Stato ebraico è riuscito a manipolare la realtà dei fatti a tal punto da rendere la politica occidentale sempre in suo supporto», ci spiega. «Se invece di vedere questi gruppi di resistenza come dei terroristi, l’Europa e l’America iniziassero a vederli come dei combattenti per la propria indipendenza, non ci sarebbe un tale interventismo in supporto di Israele».

Per questo è importante superare il pregiudizio che vien loro attribuito e comprendere attraverso la realtà di tutti i giorni a Dahieh il movente che porta così tanti cittadini a sentirsi rappresentati da Hezbollah.

Una percezione distorta
Dahieh, dove la maggior parte dei cittadini è musulmano sciita e si sente rappresentato dalla leadership e dalla resistenza di Hezbollah, non si respira un particolare conservatorismo religioso. I ristoranti, tra l’altro spesso con nomi anglofoni se non apertamente di stampo americano, pullulano di ragazzi e ragazze (con o senza il velo, poco importa), dove si sente musica tutto il giorno. Spesso in Libano, chi conosce Dahieh solo attraverso la “distorsione” mediatica, pensa che una volta entrati in questi sobborghi, la lancetta dell’orologio ritorni al medioevo. È naturale allora che la “disumanizzazione” sistematica compiuta su questa area di Beirut, definita come la “roccaforte del Partito di Dio”, non serva ad altro che a legittimare gli attacchi di Israele su di essa. Così, quando qui, il 2 gennaio 2024, un drone israeliano ha colpito il comandante di Hamas Al-Arouri, uccidendo altre 6 persone tra cui alcuni civili, il panico non ha avvolto il Libano, poiché quel che succede a Dahieh, non è percepito come affare nazionale.

Per gli abitanti di Dahieh, questi sobborghi sono semplicemente un altro quartiere di Beirut, dove molti cittadini aderiscono all’ideologia di Hezbollah per un sentimento di protezione e rivendicazione politica che vien dato loro dalla resistenza dei suoi militanti.

Ne abbiamo parlato con Leila, 28 anni, che lavora presso l’amatissima libreria “Philosophia” nel cuore di Dahieh. Appesa sopra uno scaffale di libri, c’è un’illustrazione emblematica che mostra i visi di Nasrallah, Che Guevara e Chavez con sguardi fieri. Secondo Leila, gli abitanti di Dahieh leggono più libri di tutto il resto del Libano. «A Philosophia, vengono persone di ogni genere, e noi abbiamo da offrire loro libri di ogni genere: romanzi, saggi, libri sulla religione (e non solo l’Islam!), classici della letteratura anglofona… non facciamo discriminazione!», aggiunge ridendo. Dahieh, appena 5 chilometri quadrati di superficie, ha più di venti librerie e biblioteche e quello dei libri è un business che ha tantissimo successo. In un altro negozio, un commesso si è vantato con noi del suo inglese impeccabile, imparato dalla lettura, e grazie al quale ora ha aperto un servizio popolarissimo di pronta consegna di libri anglofoni in tutto il quartiere. Leila non è appassionata di politica, ma sostiene che il supporto a Hezbollah venga dal senso di unità e di difesa che il Partito dimostra a Dahieh da sempre.

«Ero piccola, avevo 12 anni durante il bombardamento israeliano del 2006: mi ricordo le macerie, ovunque, e credevo che non saremmo mai più riusciti a risollevarci. Invece Hezbollah ha ricostruito tutto. Per questo siamo loro grati».

Dignità e sovranità
Jad Hammouch, 25 anni, sta completando un dottorato ed è giornalista per Al Mayadeen. Come moltissimi altri a Dahieh, almeno secondo lui, Hammouch ama la letteratura e i dibattiti culturali.  Si è appassionato di letteratura e oratoria a 8 anni, nell’estate del 2006 quando Beirut venne bombardata per un mese da Israele.

«Il mio ricordo più vivido era sedermi di fronte alla televisione e ascoltare i discorsi di Hassan Nasrallah: la sua padronanza del linguaggio e l’immensa cultura continuano a stupirmi ancora oggi». Nasrallah è il leader di Hezbollah dal 1992, e molto del mito del Partito di Dio dipende dalla sua persona. Oltre alle foto dei Martiri, Dahieh è costellata di poster del suo leader. Mai senza il turbante e la tunica, Nasrallah è apparso sporadicamente dal 7 ottobre in discorsi attesi avidamente nei quali esorta al boicottaggio di Israele e lancia proclami contro l’imperialismo occidentale. Hammouch sostiene che lo stretto legame tra Hezbollah e i suoi sostenitori dipenda dal senso di protezione che il Partito di Dio garantisce ai suoi cittadini. «È l’unico partito capace di rappresentare un popolo che è pronto a dare tutto per salvaguardare la propria dignità e quella del Paese».

Quando gli ho chiesto come abbia vissuto e interpretato il recente attacco israeliano, Hammouch dice che è stata una sorpresa per tutti a Dahieh, che è stato un esempio di quanto Israele si comporti e si senta al di sopra della legge e della sovranità altrui con totale impunità. Rispetto alla sua fiducia in Nasrallah nulla è diminuito ma, anzi, sostiene che dal 7 ottobre anche in coloro che prima si sentivano lontani da Hezbollah si è riacceso lo spirito di partecipazione. La reputazione di Nasrallah come sagace uomo politico tiene calmo il timore sorto a Dahieh nei giorni successivi al 2 gennaio. «La decisione di non aver risposto all’attacco è interpretato come segno di rispetto verso la sovranità libanese», ci dice Hammouch. «Contrattaccare significherebbe portare in guerra l’intero Paese che, essendo già al collasso economico e sociale, non sosterrebbe il confronto con Israele, nonostante», ci tiene a rimarcare, «Hezbollah abbia tutto il necessario per dimostrare la propria forza in un eventuale conflitto».

Sostiene, inoltre, che se Hezbollah fosse stato un movimento di qualsiasi altra denominazione religiosa, poco cambierebbe nel suo sostegno per la resistenza che porta avanti, visto che l’identità sciita è secondaria rispetto all’intento fondante del partito di difendere il Libano da ogni forma di imperialismo.

Problemi in paradiso
In altre parti del Libano, molti criticano la presenza di Hezbollah come un’organizzazione troppo interventista e che tiene in bilico la sicurezza del Paese. Nel 2022, per la prima volta in quasi 20 anni, Hezbollah ha perso la maggioranza parlamentare che la teneva in una posizione di forza rispetto agli altri partiti del Paese. Il dissenso verso Hezbollah è una conseguenza del movimento di proteste sorto in Libano nel 2019 contro la dilagante corruzione istituzionale nel Paese. E la perdita di voti subita da Hezbollah non è andata verso altri partiti veterani libanesi, come Amal (sciita), o il Free Patriotic Movement (cristiano maronita). Invece, il successo di nuovi partiti indipendenti (tra cui le Lebanese Forces) hanno minato la stabilità (o l’immobilità) parlamentare rimuovendo la certezza dei parlamentari di Nasrallah alla maggioranza.

In un Paese come il Libano, travagliato da una crisi economica dilaniante da ormai cinque anni, privo di un’amministrazione centralizzata e con un apparato politico parlamentare de facto incapace di gestire efficacemente le spinose questioni civili e sociali, il sostegno ad Hezbollah non va considerato estremista. Piuttosto, è una reazione popolare e/o populista all’assenza di un’autorità in grado di difendere e influenzare le sorti di una nazione che ha affrontato troppe volte il flagello della guerra. In ogni caso, nonostante Hezbollah oggi si trovi più isolato politicamente e con meno sostenitori al di fuori delle sue roccaforti elettorali, resta l’unico movimento del Libano a determinare le relazioni internazionali libanesi nel conflitto in Medio Oriente.

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