Reportage TPI – Il prezzo del sangue: così i tagli di Trump mettono a rischio la lotta all’HIV in Uganda
Le terapie antiretrovirali avevano ridotto i contagi. Ma i tagli dei fondi all'Usaid hanno gettato nel caos i sistemi sanitari e minacciano i progressi contro il virus. TPI ha visitato il Dr. Ambrosoli Memorial Hospital di Kalongo
Dieci ore di auto ci permettono di raggiungere Kalongo da Entebbe, a trenta chilometri dalla capitale dell’Uganda, Kampala. Dopo aver lasciato alle spalle il Lago Victoria, il più grande del continente, lungo il tragitto la savana è sconfinata, ma ci sono anche foreste pluviali che si alternano a imponenti montagne. La presenza del fiume Nilo e dei suoi affluenti è significativa. Attraversiamo alcuni villaggi che sono perlopiù costruiti con fango e graticcio e tetti in paglia. Osserviamo le donne camminare sotto al sole per trasportare l’acqua dai pozzi alle proprie case e i bambini percorrere chilometri per raggiungere le scuole.
Centro di cura e prevenzione
Kalongo si trova nella regione settentrionale dell’Uganda, nel remoto distretto di Agago, dove l’accesso alle cure mediche è un viaggio lungo e faticoso. Il Dr. Ambrosoli Memorial Hospital è l’ospedale di riferimento per Agago e i sei distretti confinanti, con reparti di chirurgia, ginecologia e ostetricia, pediatria, tubercolosi. Ambulatori per la cura dell’HIV e l’epatite. C’è anche un laboratorio dove si fanno dei test sulle zanzare per la ricerca sulla malaria perché in Africa subsahariana si stima che questa sia la causa per cui circa ogni 75 secondi un bambino muoia. In Uganda è la principale causa di morte tra i bambini sotto i cinque anni.
Dal 1998 accanto al Dr. Ambrosoli Memorial Hospital c’è la Fondazione Ambrosoli nata per sostenere e garantire continuità a questa realtà, fondata nel 1956 dal Beato Padre Giuseppe Ambrosoli, chirurgo e missionario comboniano, fratello di Alessandro, attuale presidente dell’omonima azienda attiva nella produzione e commercializzazione di miele e caramelle. Il sostegno della Fondazione consente all’ospedale l’erogazione dei servizi sanitari a tariffe accessibili per la popolazione locale molto povera. E molta attenzione viene dedicata alla prevenzione della donna e del bambino durante la gravidanza e nel periodo neonatale: soltanto l’anno scorso ci sono stati qui 2.787 parti.
Servizi garantiti
A Kalongo l’88% della popolazione si occupa di agricoltura e allevamento di sostentamento, il 68% è sotto la soglia di povertà. Qui i tassi di mortalità infantile e la salute in generale sono più precari rispetto alle aree urbane. Ogni anno in media l’ospedale assiste 50mila persone di cui il 70% donne e bambini sotto i cinque anni e fornisce cure nei villaggi circostanti. Partecipiamo a una di quelle giornate che vengono definite di “outreach” dove si va nei villaggi a fare prevenzione e cura. Partiamo da Kalongo insieme a Franco, Thomas e Janet, l’equipe medica, a bordo di un’ambulanza per raggiungere in poco più di mezz’ora il villaggio di Aywee Palaro. Li attendono in fila molte donne, bambini e uomini per fare i test di screening gratuiti dell’HIV e della malaria. Durante la giornata si scoprirà che dei cento testati per la malaria 53 sono positivi e viene data loro subito la cura, mentre nessuno è risultato positivo all’HIV ma ai giovani vengono donati dei preservativi. I bambini ricevono i vaccini di routine e le vitamine e vengono controllati da un’altra ong, la Love One International, se sono malnutriti. Alcune donne incinte attendono in fila fuori da una capanna del villaggio che l’ostetrica Janet faccia loro l’ecografia per controllare che la gravidanza stia andando bene, altre fanno il controllo per il tumore alla cervice. Un servizio eccezionale, che viene garantito ogni tre mesi, in un villaggio remoto dove per tutte queste persone altrimenti sarebbe difficilissimo e costoso raggiungere un ospedale.
Il taglio dei fondi
Tra il 20 gennaio e il 28 marzo l’amministrazione Trump ha smantellato l’Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale o Usaid, la più grande organizzazione governativa di assistenza umanitaria e allo sviluppo fondata nel 1961 da John F. Kennedy. Una scelta politica e non economica visto che rappresentava solo lo 0,2% del Pil statunitense. L’Agenzia gestiva un fondo annuale superiore ai 40 miliardi di dollari, destinati a interventi in oltre 120 Paesi. Uno studio di Lancet ha stimato che i programmi Usaid abbiano salvato oltre 90 milioni di vite negli ultimi due decenni e che, se i tagli attuali continueranno fino al 2030, 14 milioni di persone potrebbero morire.
In Sudafrica la sospensione dei finanziamenti ha interrotto promettenti sperimentazioni di vaccini contro l’HIV, mettendo a rischio i progressi nella ricerca. Per l’ospedale di Kalongo il taglio dei fondi significa una perdita di circa 370mila euro l’anno di cui oltre il 70% precedentemente destinato a farmaci antiretrovirali salvavita e a quelli legati a prevenzione e cura dell’HIV. «Non potremo più andare nella comunità per provvedere ai servizi di cure e prevenzione gratuitamente. Ora manteniamo il servizio ma dovranno venire loro nell’ospedale e per molti è difficile perché non hanno i soldi per pagare i trasporti e raggiungerci», spiega Faith Amadi, medical officer dell’Ospedale. Il dr. Okot Godfrey Smart, Ceo dell’Ospedale, aggiunge: «Usaid ha supportato il servizio HIV e le attività correlate, l’unità di tubercolosi, i progetti legati alla malaria e ai trattamenti, test e diagnosi. Ora senza fondi tutte le misure preventive che avevamo adottato nei confronti di queste malattie non possiamo tenerle sotto controllo».
La lotta all’HIV in crisi
Nell’area dell’ospedale predisposta all’accoglienza dei pazienti che sono in cura per l’HIV molti attendono in fila di fare il test per vedere l’andamento della malattia e ricevere le cure. Incontro qui Margareth che arriva da un villaggio vicino per controllarsi e prendere le medicine per suo marito e suo figlio adolescente, anche loro con l’HIV. Lei lo ha da quindici anni e da quando segue la terapia la carica virologica è soppressa, quella del figlio invece è ancora molto alta. «Lui si vergogna a scuola di avere l’HIV e viene emarginato perché i suoi compagni hanno paura di contagiarsi. È ancora forte lo stigma di avere questo virus». Secondo le stime del World Health Organization, alla fine del 2023 39,9 milioni di persone vivevano con questo virus, di cui 1,4 milioni bambini. Quello stesso anno 630.000 persone sono morte per cause legate all’HIV a livello globale ma dal 2010, i decessi si sono ridotti del 51% e il numero di persone che lo hanno contratto è sceso al 39%. Negli ultimi due decenni, i finanziamenti del PEPFAR (il Piano di Emergenza del Presidente degli Stati Uniti per l’AIDS) hanno salvato oltre 26 milioni di vite. Con il taglio dei fondi c’è un’enorme interruzione con il rischio che senza prevenzione e senza i test di screening l’HIV ricominci a circolare con un aumento di nuove infezioni e decessi. Nel Dr.Ambrosoli Memorial Hospital hanno da febbraio a settembre hanno perso traccia di oltre seicento pazienti su 3.087 in cura da loro per l’HIV. Non si sono più presentate per il follow up perché sono stati tagliati i fondi per le attività sul territorio e la gente non ha i soldi per arrivare in ospedale. Se il test per l’HIV inizierà a avere un costo non verrà percepito come una priorità in un contesto così povero e quindi la gente inizierà a non fare più screening. Stiamo quindi vanificando anni di progressi nella lotta a questo virus compromettendo la risposta globale all’HIV per la prossima generazione.
Leva di cambiamento
All’interno dell’ospedale un’altra eccellenza è la St.Mary’s Midwifery School dove viene data la possibilità alle donne di questi villaggi di formarsi non solo sulle competenze ostetriche, ma anche di management e economia domestica, così da essere completamente indipendenti. Con oltre 1.600 ostetriche formate, la scuola ha contribuito alla forza lavoro sanitaria locale e rappresenta un faro di progresso nella comunità. Akello è una di loro. Viene da Gulu, a circa tre ore da Kalongo, aveva 17 anni quando ha iniziato a studiare qui e dopo aver preso il diploma ha incominciato a lavorare nell’ospedale. «Questi studi e questo lavoro oggi mi danno la possibilità di essere indipendente e di sostenere i miei tre figli. Con il mio stipendio aiuto anche i miei genitori e mia sorella che ora sta studiando qui», racconta con orgoglio a TPI. Partecipiamo alla festa che si tiene nella scuola la sera prima degli esami per ottenere il certificato dopo due anni di corso in ostetricia e l’atmosfera è emozionante. Queste ragazze scelgono di formarsi per essere libere e non costrette a matrimoni precoci e gravidanze adolescenziali. Promuovono un ruolo della donna diverso da quello che solitamente rappresenta la comunità ugandese. Rita ha 23 anni, viene da Gulu, è tra quelle che festeggia il traguardo raggiunto: «Il mio sogno era andare all’università e diventare giornalista ma mio padre contadino non poteva pagarmi gli studi quindi ho deciso di prendere il certificato di ostetrica: mi ha dato molte opportunità e ora voglio trovare un lavoro che mi renda autonoma e libera».
Minaccia alla salute globale
Anche la suora Carmel, direttrice della scuola, ci spiega quanto «questa abbia fatto per la comunità e per il futuro di queste donne che hanno acquisito le competenze e oggi insegnano a altre donne». Poi dice: «L’Uganda potrebbe farcela anche senza gli aiuti Usaid perché abbiamo minerali e risorse importanti ma il Paese è corrotto. Le persone ricche stanno diventando più ricche e quelle povere più povere». La corruzione in Uganda è effettivamente un problema significativo, che colpisce diversi settori e ostacola lo sviluppo sociale e economico. Molti cittadini devono pagare tangenti per accedere ai servizi pubblici. «Il nostro lavoro – dice Giovanna Ambrosoli, presidente della Fondazione Ambrosoli che sostiene anche la St. Mary’s Midwifery Training School – va al di là della raccolta fondi e dell’erogazione di un contributo economico, è soprattutto focalizzato a sostenere la formazione, la crescita professionale del personale locale e l’empowerment femminile. A questo aspetto e alla scuola padre Giuseppe teneva in particolar modo perché aveva capito l’importanza di formare le donne. Queste ragazze hanno un approccio diverso, grazie a un percorso formativo, non solo professionale ma anche culturale, sviluppano la loro autonomia diventando esse stesse agenti di cambiamento e di trasformazione». La presidente aggiunge: «Sento una responsabilità enorme perché per loro questa scuola è l’unica opportunità per emanciparsi perché la formazione che hanno in questa scuola da poi loro la possibilità di lavorare in questo ospedale o in altri del Paese».
I tagli all’aiuto umanitario significano milioni di vite senza assistenza, scuole e ospedali chiusi, diritti negati. Potenziale incremento della disoccupazione e minori possibilità di emancipazione e di innovazione sociale. E quanti nuovi morti di tubercolosi, malaria e HIV se non ci sarà più prevenzione e cura? Una vera minaccia per la salute e sicurezza sanitaria globale.