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“L’America tolga le mani dal Libano”: reportage dal feudo di Hezbollah a Beirut

Immagine di copertina
Credit: Elisa Gestri

Lo scorso sabato 7 agosto, Hassan Nasrallah, capo di Hezbollah, il movimento sciita libanese, ha tenuto un discorso trasmesso dalla tv di partito, Al Manar. L’occasione era l’anniversario della vittoria di Hezbollah su Israele nella cosiddetta Guerra dei 33 giorni nel luglio-agosto 2006. Il discorso è stato pronunciato al termine di una settimana di schermaglie tra le due parti al confine Libanese-Israeliano. Mercoledì 4 agosto, infatti, sono partiti tre razzi (non rivendicati, ma attribuiti a Hezbollah) dal Sud del Libano verso Israele. In risposta lo Stato Ebraico ha lanciato “la prima offensiva aerea sul Libano dal 2014”: secondo fonti libanesi i jet israeliani hanno colpito un’area vicina alla città di Aishiya, nel sud del Libano. Hezbollah ha risposto l’indomani, lanciando più di dieci razzi verso Israele, che a sua volta ha replicato con dei tiri di artiglieria. Nel suo discorso Nasrallah ha promesso una risposta “appropriata e proporzionata” “ad ogni attacco aereo di Israele sul Libano”. “Vogliamo dire al nemico”, ha affermato, “che desideriamo proteggere il Paese” (…) “Noi non vogliamo una guerra, ma siamo preparati all’eventualità”.

S&D

Se ci fosse bisogno di una conferma sul peso effettivo di Hezbollah nella politica libanese, questo discorso ne chiarisce perfettamente la portata. Il movimento è dotato di un’anima politica e di un braccio armato e ha dato forma ad un vero e proprio parastato in seno allo Stato libanese: proprie milizie, proprio “governo” con “ministri” indipendenti, propri organi di informazione; è inoltre la sola fazione politica libanese a non aver restituito le armi alla fine della guerra civile nel 1990. Adesso, mentre il Libano è attanagliato dalla gravissima crisi economica e finanziaria iniziata nel 2019 e il Paese sprofonda nella svalutazione monetaria e nella mancanza di generi di prima necessità, il movimento sciita trova uno spazio importante per portare avanti il suo desiderio “di proteggere il Paese”. Dalle dimissioni del Governo libanese all’indomani della terribile esplosione al porto di Beirut del 4 agosto 2020, infatti, in Libano si è aperto un pericoloso vuoto di potere che stenta a richiudersi. Da allora, due primi ministri incaricati di formare un nuovo governo hanno rinunciato all’incarico e l’ultimo designato, il bilionario Sunnita Nijab Mikati, stenta a (o forse non vuole) trovare la quadra con il Presidente della Repubblica Michel Aoun.

Credit: Elisa Gestri

Hezbollah gode di un grande seguito in Libano: è alleato dei più importanti partiti islamici e cristiani ed ha un seguito enorme tra gente di tutte le fedi, grazie alle vittorie clamorose sullo storico nemico israeliano. Quando pochi giorni fa il Patriarca della Chiesa Maronita Bechara Rai ha osato criticare i lanci di razzi su Israele e il discorso televisivo di Nasrallah, si è attirato tali e tante reazioni minacciose che lo stesso Presidente Aoun, alleato di Hezbollah, è intervenuto per difenderlo.

Naturalmente, poiché il Libano secondo Costituzione si regge sull’equilibrio di opposte fazioni, per prevalere sulle altre una parte deve poter contare, oltre che sull’appoggio interno, su un sostanzioso aiuto dall’esterno. L’Iran del correligionario Ayatollah Ali Khamenei supporta e foraggia massicciamente il movimento di Nasrallah. Storicamente, il contributo più prezioso dell’Iran a Hezbollah sono state armi e munizioni; oggi, nel Libano ormai prossimo al tracollo, affiliati e simpatizzanti di Hezbollah possono ritirare generi alimentari, medicinali, carburante, beni di prima necessità arrivati dall’Iran in supermercati “di partito” allestiti per far fronte all’emergenza. E, poiché nulla a questo mondo è gratis, guarda caso la disputa alla frontiera libanese tra Israele e Hezbollah coincide con l’inasprimento delle tensioni tra lo stato ebraico e l’Iran.

Credit: Elisa Gestri

In merito agli scontri, le Forze delle Nazioni Unite stanziate a Naqoura, sul confine con Israele, hanno preteso dalle due parti un cessate il fuoco immediato, mentre gli Stati Uniti hanno chiesto al governo libanese facente funzione di impedire a Hezbollah di lanciare razzi verso Israele. Mentre in Europa le posizioni al riguardo sono sfumate, per Washington Hezbollah è un’organizzazione terroristica tout court.

Da parte sua, la chiusura di Hezbollah verso Stati Uniti e Israele è totale e inamovibile nel tempo. Su questo fronte l’Iran ha vissuto fasi alterne, ed ha almeno firmato nel luglio 2015 con Usa, Gb, Francia, Russia, Cina e Germania gli storici accordi sul nucleare, in seguito rimessi in discussione dagli Usa e che forse saranno ripresi a breve. Hezbollah non è ufficialmente uno Stato, dunque non è un interlocutore riconosciuto a livello internazionale, ma si considera come tale e non sembra nutrire complessi di inferiorità verso gli Stati riconosciuti.

Chi scrive ha avuto modo di conoscere e approfondire la posizione di Hezbollah al riguardo grazie a un colloquio con un esponente della linea di comando del movimento sciita. Se infatti il capo Nasrallah vive in località segrete tra Libano e Iran, leader e miliziani vivono scopertamente, assieme a migliaia di simpatizzanti e affiliati, nella Dahieh (periferia) Sud di Beirut, feudo incontrastato di Hezbollah. Da qui, dove la densità abitativa è alta e il livello socioeconomico basso, nell’aprile scorso ho ricevuto una proposta. Sono stata invitata tramite un intermediario a intervistare il “Ministro degli Esteri” di Hezbollah, Sheikh Khalil Rizek, nel quartier generale del movimento. Sono fotoreporter, ma evidentemente per Hezbollah la mia presenza a Beirut costituiva un’occasione per dire la propria a un interlocutore occidentale. Come si dice, un invito difficile da rifiutare.

Credit: Elisa Gestri

L’intermediario mi ha impartito precise istruzioni: raggiunto in taxi un certo ristorante nella Dahieh, tra vie e viuzze dove si incontrano a ogni angolo striscioni raffiguranti la guida suprema dell’Iran Khamenei e il defunto generale Soleimani, sono stata accompagnata per pochi metri fino ad un palazzo dalla facciata decorosa ma anonima. All’interno, in un trionfo di opulenza orientale, mi aspettava un compitissimo Sheikh Rizek, mentre l’intermediario fungeva da interprete arabo-inglese.

Rizek è un capo religioso autorevole e le sue predicazioni sono seguite e apprezzate da moltissimi fedeli sciiti. Medico di formazione, è un intellettuale di una certa levatura con all’attivo un libro sulla figura della Vergine Maria nel Corano. Sul sito web Stop Terror, a cura di “un gruppo di organizzazioni occidentali di intelligence nato per combattere la minaccia del terrorismo”, Rizek è schedato col numero 405 nell’Unità “Relazioni con l’estero” di Hezbollah; sotto la sua scheda si legge che chiunque dia informazioni su di lui sarà retribuito.

Avevo preparato le domande: a suo avviso quale può essere una soluzione ai problemi attuali del Libano, qual è la sua opinione in merito all’Unione Europea, cosa direbbe al Presidente Biden se lo incontrasse. Ero anche predisposta ad un confronto, se non a un dialogo, circa le nostre rispettive visioni del mondo. In realtà, le risposte sono state incredibilmente semplici e chiare, ma, nessuna sorpresa, senza possibilità di contraddittorio.

Credit: Elisa Gestri

“Hezbollah è una fratellanza in senso umano, ci consideriamo tutti uguali, tutti fratelli. Siamo a favore del popolo e in conflitto con la politica perché non sta dalla parte della gente. Gli Stati Uniti e Israele ci attaccano, e il governo Libanese non sostiene i diritti della popolazione. In quanto all’Unione Europea, ha altre priorità rispetto alla difesa della povera gente. Chiederei all’Europa perché non supporta i poveri: difendete gli oppressi del mondo dagli attacchi, e prendete le distanze dagli Stati Uniti. A Biden direi qualcosa di molto semplice: smettete di aggredire la povera gente. L’America tolga le mani dal Libano e da ogni altra parte del mondo e tutti i nostri problemi saranno risolti. Ma non ci fidiamo degli Stati Uniti; ci fidiamo solo di noi stessi e sconfiggeremo gli americani, ne siamo certi”.

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