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Home » Esteri

Hagia Sophia: storia del patrimonio Unesco che fa ancora discutere musulmani e cristiani

Immagine di copertina
Un uomo sventola la bandiera turca dinanzi Hagia Sophia (Santa Sofia). Credit: EPA/ERDEM SAHIN

Il 10 luglio un tribunale turco ha di fatto spianato la strada alla possibilità che Hagia Sofia (o Santa Sofia) a Istanbul torni a essere una moschea, ritenendo illegale la sua trasformazione in museo avvenuta nel 1934. Questa decisione è molto importante perché lo status di Hagia Sophia è un affare delicato, strettamente legato al particolare ruolo ricoperto dall’edificio sia per il Cristianesimo che per l’Islam. Tale situazione aveva avuto una soluzione con la decisione del 1934 di trasformare il luogo di culto in un museo, storicizzando così il suo ruolo chiave per l’Impero Romano d’Oriente prima e per l’Impero Ottomano poi.

Una decisione che tuttavia da diversi anni è oggetto di numerose pressioni da parte di organizzazioni musulmane che ne vorrebbero l’uso esclusivo come moschea, che hanno ottenuto il sostegno del presidente Recep Tayyip Erdogan e il cui tentativo è sfociato nella decisione del tribunale che spiana la strada a far tornare l’edificio a essere una moschea. Ma vediamo di preciso a cosa è dovuta l’importanza di questo edificio e perché oggi il suo status è una faccenda molto spinosa.

Fondata da Giustiniano

L’origine della Hagia Sophia risale all’Impero Romano d’Oriente (che oggi per convenzione chiamiamo in maniera impropria Impero Bizantino), quando nel 532 Giustiniano volle ricostruire la vecchia “Megali Ecclesia” (grande Chiesa), una delle principali chiese di Costantinopoli che era stata da poco distrutta per la seconda volta nella rivolta di Nika.

Il nuovo luogo di culto venne inaugurato già nel 537 e dedicato alla Hagia Sophia, la Sapienza Divina, un’intitolazione molto ricorrente nelle chiese del mondo cristiano orientale (importanti sono ad esempio quella di Salonicco e quella di Sofia, che peraltro dà il nome alla città).

La nuova struttura, opera dell’architetto Isidoro di Mileto e del matematico Antemio di Tralle, venne realizzata in dimensioni imponenti e la sua cupola, di 31 metri di diametro, rappresentava per l’epoca una vera e propria impresa architettonica. L’interno venne poi arricchito da pregiati mosaici, tipici dell’arte dell’Impero Romano d’Oriente.

La nuova Hagia Sophia divenne in breve tempo la più importante chiesa di Costantinopoli e di tutto l’Impero, sede di importanti cerimonie che si svolgevano alla presenza dell’imperatore e del patriarca locale. La struttura nei secoli ebbe rimaneggiamenti e subì danni, la cupola – che per i mezzi dell’epoca sfidava letteralmente le leggi della fisica – fu danneggiata in più occasioni, così come durante l’iconoclastia bizantina vennero danneggiati i suoi pregiati mosaici.

La chiesa, inoltre, originariamente Cattolica di rito greco, divenne Ortodossa con lo scisma d’Oriente nel 1054, divenne una cattedrale Cattolica tra il 1204 e il 1261 sotto l’Impero Latino di Costantinopoli nato dopo la Quarta Crociata e tornò poi nuovamente una Basilica Ortodossa. Ma durante tutti questi cambiamenti, ci fu una costante: la Hagia Sophia era uno dei simboli imperiali, culturali e religiosi di Costantinopoli e dell’Impero Romano d’Oriente.

Da Basilica a Moschea

Nel 1453 l’Impero Romano d’Oriente era ormai in notevole decadenza, pressato dall’avanzata dei turchi che ormai controllavano la quasi interezza della penisola anatolica. All’Impero che un tempo controllava il Mediterraneo Orientale, il Medio Oriente e i Balcani restavano solo alcuni rimasugli del suo grande territorio, tra cui la sua capitale, Costantinopoli, che nel mese di aprile fu assediata dagli ottomani guidati da Maometto II, che la conquistarono militarmente il 29 maggio.

Nella città di Costantinopoli molte cose cambiarono immediatamente: il nome della città, ad esempio, diventò Istanbul, il sultano ottomano vi trasferì la propria corte e numerose chiese vennero trasformate in moschee, tra cui anche Hagia Sophia, che rimase uno dei simboli della città e, con il nome turchizzato di Aya Sofya, divenne una delle moschee più importanti dell’intero impero. L’edificio subì una serie di modifiche architettoniche legate alla sua nuova funzione: quattro minareti vennero eretti intorno all’edificio e i mosaici vennero intonacati. Il patriarca ortodosso, invece, si trasferì nella chiesa dei Santi Apostoli.

La fine dell’Impero ottomano e la trasformazione in un museo

Due anni dopo la sconfitta ottomana nella Prima guerra mondiale nel 1918, il trattato di Sevres ridusse ulteriormente il territorio dell’Impero ottomano già da tempo in crisi, minacciando anche il suo controllo della stessa città di Istanbul e costringendolo a cedere alla Grecia gran parte dell’Asia minore, dove era forte la presenza di popolazione greca. Oltre a questo, dovette concedere privilegi territoriali ed economici alle potenze dell’Intesa.

Il Movimento nazionale di Mustafa Kemal, noto come Ataturk, scatenò però una guerra che portò in pochi anni alla fine del sultanato e alla sconfitta della Grecia, portando la Turchia a formare una nuova nazione entro i suoi attuali confini, con capitale ad Ankara e con una forma di governo repubblicana di orientamento laico. Dal punto di vista etnico, gran parte della popolazione greca (di religione ortodossa) si trasferì in Grecia. Nel trattato di pace con cui si pose fine a quella guerra, il trattato di Losanna del 1923, si mise anche nero su bianco il rispetto delle minoranze cristiana e musulmana e della loro cultura da parte di Turchia e Grecia.

Fu in questo clima che nel 1934 lo stesso Ataturk, presidente della Turchia, decise di trasformare Hagia Sophia in un museo, facendo alcuni cambiamenti architettonici per riportare alla luce molte delle decorazioni della sua complessa storia. Hagia Sophia ha continuato a essere uno dei loghi simbolo di Istanbul pur perdendo il suo status di luogo di culto, attraverso una storicizzazione che puntava a valorizzarne l’interezza della sua lunga e complessa storia. Fu proprio con questo status che, nel 1985, è stata inserita nella lista dei Patrimoni dell’Umanità dell’Unesco. Tuttavia, questa forma di storicizzazione col passare del tempo ha iniziato a essere messa in discussione.

Le pressioni e il procedimento legale per farla tornare una moschea

La Turchia è uno stato nato come una repubblica fortemente laica, ma negli ultimi anni l’Islam politico, trainato anche dal presidente Erdogan, ha preso sempre più piede nel Paese la cui popolazione è composta per il 98 per cento da musulmani (la maggior parte dei quali sunniti). Con il passare degli anni sempre più gruppi hanno fatto pressione per fare in modo che Hagia Sophia tornasse a essere una moschea.

L’Associazione per il servizio delle fondazioni storiche e dell’ambiente, un’associazione turca che ha come obiettivo trasformare nuovamente Hagia Sophia in una moschea, ha sollecitato più volte i tribunali turchi negli ultimi 15 anni a prendere provvedimenti per rovesciare la decisione con cui Ataturk nel 1934 trasformò l’edificio in un museo, giudicata a loro avviso illegale.

Nelle due campagne elettorali per eleggere il sindaco di Istanbul nel 2019, l’associazione aveva fatto sapere, rivolgendosi al massimo tribunale turco, che il governo di Ataturk non aveva a loro avviso il diritto di annullare i desideri del sultano che aveva trasformato la basilica in una moschea, paventando anche la possibilità che la firma del presidente fosse falsificata. Il presidente turco Erdogan ha sostenuto la campagna per trasformare Hagia Sophia in moschea, dicendo che i musulmani dovrebbero poter pregare di nuovo lì e si è fatto portavoce della questione, molto sentita in numerosi ambienti musulmani turchi.

Tuttavia, lo status di Hagia Sophia è un tema molto sentito anche da numerosi cristiani fuori dai confini della Turchia, e quanto la cosa sia ancora sensibile e spinosa è ben visibile in numerosi contesti. Nel giugno del 2019 aveva fatto particolarmente discutere un tweet pubblicato dall’associazione ANCA, che raccoglie statunitensi di origine armena, con la fotografia della Hagia Sophia priva di minareti e con una croce sulla cupola (e quindi nelle forme di basilica cristiana) circondata da bandiere greche e armene con la scritta “Make Istanbul Constantinople again”, con un chiaro riferimento a rifare di Istanbul una città greca orientale e ortodossa.

L’istituto di sondaggi turchi Metropoll ha però rilevato che il 44 per cento delle persone intervistate ritiene che la questione Hagia Sophia sia oggi all’ordine del giorno per distogliere l’attenzione degli elettori dagli attuali problemi economici della Turchia.

Le reazioni

La questione Hagia Sophia è molto sentita e molto spinosa per le ragioni che abbiamo visto finora. Lo dimostra ad esempio l’Unesco, l’agenzia Onu che si occupa della cultura, che ha fatto sapere all’agenzia di stampa Reuters che la Turchia dovrebbe discutere preventivamente con loro qualsiasi modifica dello status di Hagia Sophia, dal momento che è stata iscritta all’elenco dei patrimoni dell’Umanità come museo e con le caratteristiche architettoniche e le funzioni che ricopre attualmente.

Ma quella dell’UNESCO non è stata l’unica posizione critica verso la possibilità che Hagia Sophia torni a essere una moschea. Il Patriarca ecumenico ortodosso Bartolomeo, “primus inter pares” dei cristiani ortodossi, ha notato come trasformare Hagia Sophia in una moschea avrebbe causato una grave frattura tra mondo occidentale e mondo orientale. A fargli eco c’è stato poi il patriarca russo ortodosso Cirillo, che ha definito “una minaccia per il cristianesimo” la possibilità di una conversione in moschea della Hagia Sophia.

La Grecia, che oltre a essere un vicino della Turchia è un Paese con una popolazione in grande maggioranza cristiana ortodossa, ha reso noto che una trasformazione in moschea di Hagia Sophia rischierebbe di causare un “enorme abisso emotivo” con i Paesi cristiani. Sulla vicenda è intervenuto anche il segretario di Stato americano Mike Pompeo, che ha detto come una trasformazione dello status di Hagia Sophia le farebbe perdere il ruolo di ponte tra diverse fedi e tradizioni.

La Turchia, tuttavia, rivendica la propria possibilità di prendere qualsiasi decisione sulla vicenda, con il ministro degli Esteri Mevut Cavusoglu che ha criticato qualsiasi interferenza dicendo che “è una questione di sovranità nazionale” e che ciò che è importante è “ciò che il popolo turco vuole”.

Leggi anche: 1. Turchia, dopo 85 anni Santa Sofia tornerà a essere una moschea /2. Il tempio di Istanbul dove nessuno può pregare

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