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Home » Esteri

Sulla pelle degli Ayoreo: c’è un legame tra l’Italia, il business della deforestazione e la distruzione dell’ultimo popolo “incontattato” del Paraguay

Immagine di copertina
Credit: Survival International

Gli Ayoreo sono l’ultimo popolo “incontattato” del Gran Chaco. Vivono nella foresta e da 30 anni lottano per difenderla dall'agricoltura e dagli allevamenti intensivi. Ma da qui l’Italia importa oltre 30mila tonnellate l’anno di cuoio per l’industria automobilistica

Joó alza a fatica lo sguardo verso la telecamera. È seria e triste. A tratti le sfugge un sorriso nervoso e imbarazzato dietro il velo lattiginoso di fumo che si alza tra lei e l’obiettivo come un filtro di protezione. Non ha più voglia di parlare. Ha 34 anni, e sulle spalle un vissuto difficile da immaginare per chiunque non appartenga al suo popolo o abbia fatto la sua stessa tragica esperienza.

S&D

È entrata in contatto con il mondo esterno solo nel 2004, insieme a un gruppo di altri Ayoreo Totobiegosode in fuga. Tra loro c’era anche Chicode, oggi padre dei suoi figli. Cercavano di sfuggire ai “coñone”, gli stranieri che li terrorizzavano con il rumore assordante dei loro motori e delle loro mandrie. Un bulldozer aveva appena raso al suolo una delle loro case e i loro orti. Insieme ad alcuni compagni, Joó correva nella foresta in cerca di un rifugio sicuro.

Quando si imbatterono in Porai, decisero di seguirlo al villaggio in cui lui viveva in modo stanziale insieme ad altri Totobiegosode già usciti forzatamente dall’isolamento. Fu un incontro casuale, non stavano cercando il contatto, ma avevano paura. Erano troppo terrorizzati per continuare a vivere una vita in fuga perenne.

In cerca di giustizia
Si stima che nel solo Brasile esistano oggi almeno 100 tribù incontattate. È la maggiore concentrazione al mondo. Ma gli Ayoreo del Chaco paraguaiano – un ecosistema straordinariamente biodiverso di savana e foresta arida – sono l’unico popolo incontattato sopravvissuto nel continente americano al di fuori dell’Amazzonia.

La loro è una storia di sofferenza e straordinaria resistenza allo stesso tempo, come quella di Joó che, raccontandosi a fatica, cerca solo di spazi di speranza e giustizia per sé e per il suo popolo.

Il primo contatto regolare degli Ayoreo con la società esterna è avvenuto tra gli anni ’40 e ’50, quando gli agricoltori mennoniti fondarono delle colonie nelle loro terre portando con sé due forze devastanti che avrebbero poi cambiato il volto del Chaco paraguaiano: l’imprenditoria agricola e la religione. Gli Ayoreo si opposero all’invasione e ci furono morti da entrambe le parti.

Molti altri gruppi furono progressivamente costretti a uscire dalla foresta verso la fine degli anni ’60. Il periodo più drammatico fu quello tra il 1979 e il 1986, quando “New Tribes Mission” (Ntm) – un gruppo evangelico fondamentalista statunitense oggi noto come Ethnos360 – contattò a forza vari gruppi di Ayoreo tra cui i Totobiegosode, il sottogruppo degli Ayoreo entrato in contatto con i colonizzatori nei tempi più recenti.

Ntm organizzava brutali “cacce all’uomo” durante le quali molti Ayoreo venivano strappati a forza dalla foresta, portati nei suoi accampamenti, schiavizzati e terrorizzati per costringerli a rinunciare al loro credo. Molti Ayoreo furono uccisi durante gli scontri e, poco dopo il contatto, molti altri morirono per malattie esterne verso cui non avevano immunità.

Alcune famiglie di Ayoreo Totobiegosode sopravvissute a quelle violenze sono uscite dalla foresta successivamente, nel 1998 e nel 2004. Tra loro, Joó e i suoi compagni. L’invasione della loro terra li costringeva ad abbandonare continuamente le loro case, rendendo la vita estremamente dura o impossibile.

Ma altre famiglie continuano a condurre una vita nomade nella terra ancestrale. I segni della loro presenza sono inequivocabili: case abbandonate, lance da caccia, cortecce intagliate e tronchi d’albero scavati alla ricerca del miele. Ma al di là di queste evidenze, a sapere con certezza che esistono e chi sono, sono proprio i loro parenti: la madre e i fratelli di Joó vivono ancora nascosti nella foresta. Insieme a loro ci sono altri genitori, altri figli e nipoti di cui i Totobiegodose stanziali ricordano tutti i nomi e persino il doppio albero genealogico.

Gli incontattati vivono insieme in case comunitarie dalla struttura a volta sorretta da un palo centrale e realizzata con piccoli rami d’albero ricoperti di fango secco. Coltivano zucche, fagioli e meloni nel terreno sabbioso e cacciano nella foresta. Apprezzano in modo particolare tartarughe, cinghiali e formichieri, e adorano il miele.

Al loro rito più importante hanno dato il nome di asojna, il succiacapre: il primo canto dell’uccello annuncia l’arrivo della stagione delle piogge e dà inizio a un mese gioioso di celebrazioni e festività. Ma gli Ayoreo insediati a forza, questo rito non possono più celebrarlo. È stato abolito insieme a molte altre celebrazioni dai missionari di Ntm, che condizionando ancora le loro vite da una base vicina ai villaggi.

Circondati dalla deforestazione, gli Ayoreo di recente contatto spesso non hanno altra scelta che lavorare come braccianti sottopagati, talvolta in condizioni di semi-schiavitù, negli allevamenti di bestiame che si spartiscono il loro territorio. Nel tempo, infatti, il governo paraguaiano ha consegnato la maggior parte della loro terra ancestrale ad aziende agroindustriali che oggi la occupano e sfruttano per produrre carne e pellame.

Molti ranch sono proprietà dei Mennoniti, ma gran parte della terra è concentrata nelle mani di pochi paraguaiani facoltosi e di commercianti di bestiame brasiliani che abbattono la foresta del Chaco senza sosta: prima tagliano gli alberi preziosi, poi incendiano la foresta e infine introducono il bestiame sulla terra disboscata. I bulldozer avanzano senza freni e la pressione sulla foresta è smisurata: è uno dei tassi di deforestazione più alti del pianeta. 

Ma gli Ayoreo Totobiegosode non sono disposti a soccombere. Lottano per proteggere legalmente la loro foresta dalla rapida espansione della frontiera agricola sin dal 1993, anno in cui hanno presentato una formale rivendicazione territoriale al governo. Senza la foresta non possono nutrirsi né sostentarsi, e temono per la vita dei loro parenti incontattati: circondati su tutti i lati, resistono in oasi di verde sempre più piccole, ma con l’avanzare spietato dei bulldozer e delle mandrie, presto potrebbero non avere più altro luogo in cui rifugiarsi. E sarebbe lo sterminio.

Una parte importante anche se parziale del territorio ancestrale degli Ayoreo è stato riconosciuto formalmente dal governo del Paraguay nel 2001. Misura 550mila ettari ed è noto come Pncat: Patrimonio Naturale e Culturale del popolo indigeno Ayoreo Totobiegosode.

Ma dopo 30 anni di lotte, ad oggi le autorità hanno trasferito agli Ayoreo titoli di proprietà solo su alcune migliaia di ettari di questa terra mentre i potenti latifondisti, con la complicità di funzionari e politici conniventi, continuano a spianare il resto del territorio e a invadere le aree già restituite. Nonostante le denunce alle autorità, finora non è stata intrapresa nessuna azione efficace per espellere gli invasori e fermare una deforestazione che dal 2016 è inequivocabilmente illegale.

Dal Sudamerica all’Italia
Chicode, è seduto accanto a Joó, e tossisce. Non morì subito dopo il contatto del 2004, come successo ad altri di quel gruppo, ma si ammalò, e oggi è troppo debole per lavorare o andare a caccia lontano, dove la foresta è ancora viva, per dare cibo sano ai figli.

Le tribù incontattate sono i popoli più vulnerabili del pianeta. Solitamente, nei due anni successivi al contatto con il mondo esterno, circa il 50 per cento della popolazione muore. In alcuni casi, muoiono tutti. A ucciderli sono le malattie introdotte dall’esterno, verso cui non hanno difese immunitarie, o le violenze dirette degli invasori. E gli effetti letali del contatto si trascinano anche nel tempo, come un veleno a lento rilascio che li condanna all’impoverimento, alla schiavitù, al suicidio o alla morte per malattia.

Quasi tutti gli Ayoreo sedentarizzati a forza soffrono di affezioni respiratorie. Non appena le temperature scendono, i colpi di tosse diventano la colonna sonora delle comunità, sovrastata al mattino solo dai muggiti delle mandrie che li circondano. Dilagano anche diabete e malattie muscolo-scheletriche provocate dal nuovo stile di vita sedentario e da un’alimentazione sempre più povera. È una storia che si ripete nel tempo e nello spazio, ovunque nel mondo. Ed è quello che gli Ayoreo Totobiegosode di recente contatto vogliono a tutti i costi evitare ai loro parenti ancora isolati.

Esattamente un anno fa, un gruppo incontattato di Ayoreo Totobiegosode si è avvicinato di notte a una comunità di parenti stanziali “cantando” le loro preoccupazioni per la continua invasione degli estranei e dei bulldozer, che chiamano “bestie con la pelle di metallo”. 

Quel canto attraversa l’oceano e arriva fino a noi. Mentre la carne degli allevamenti paraguayani finisce infatti per lo più in Cile e Russia, quasi due terzi delle 50mila tonnellate di pelli esportate ogni anno confluisce in Italia, ad oggi il più grande acquirente di pelli paraguaiane al mondo.

D’accordo con gli Ayoreo Totobiegosode, con cui collabora da decenni, il movimento mondiale per i diritti dei popoli indigeni Survival International ha depositato presso l’Ocse una istanza contro la Pasubio Spa, l’azienda italiana che più di ogni altra si rifornisce dalle concerie che commerciano con gli allevamenti colpevoli di occupare la loro terra ancestrale e di disboscarla illegalmente. Pasubio dipende per oltre il 90 per cento dei suoi 313milioni di euro di ricavi annuali dall’industria automobilistica a cui fornisce pellame per volanti, sedili e interni di auto a marchio Bmw e Jaguar Land Rover, tra gli altri. 

A dispetto delle rassicurazioni fornite alle aziende da un governo corrotto come quello del Paraguay o da enti di settore privati che evidentemente non tracciano l’intera filiera dei prodotti che pretendono di certificare, una cosa è certa: gli Ayoreo lottano disperatamente per sopravvivere a un commercio che gli sta togliendo tutto ciò che è loro di diritto; tutto tranne la determinazione a non arrendersi e la speranza di poter dare ai loro figli un futuro di libertà e indipendenza sulla terra dei padri.

Loro hanno il diritto di vivere, le aziende la responsabilità di scegliere, e i consumatori la libertà di rifiutare un lusso realizzato sulla pelle di Joó, di Chicode, dei loro due figli e di tutti gli altri Ayoreo Totobiegodose, “il popolo del luogo dei cinghiali”.

* In data 18 gennaio 2023, in seguito alla pubblicazione dell’articolo, la società Pasubio Spa precisa a TPI quanto segue:

“Pasubio è profondamente determinata a condurre la propria attività in modo sostenibile e responsabile e dedica grande impegno al miglioramento costante del proprio impatto positivo sulla comunità e sull’ambiente circostante.

In data 7 dicembre 2022, Pasubio ha dato risposta alla lettera di Survival International Italia ETS, in continuità con l’impegno a un dialogo aperto e trasparente. Le questioni sollevate erano già state analizzate nel dettaglio e valutate come infondate, confermando così che Pasubio ha sempre rispettato puntualmente ogni applicabile obbligo di legge. Tali questioni stanno venendo affrontate in modo approfondito anche con il Punto di Contatto OCSE presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, a cui Pasubio ha inviato una nota di dettaglio in data 13 gennaio, e in un confronto diretto e costruttivo con Survival International che è stato già richiesto esplicitamente.

Per quanto riguarda i dati riportati nell’articolo, si precisa che, tra il 2019 e il 2022, Pasubio ha sensibilmente ridotto le proprie importazioni dal Paraguay, che rappresentano oggi per valore unicamente, approssimativamente, il 5% delle pelli importate dalla Società, provenienti per l’80% dall’Unione Europea. Inoltre, grazie a un aggiornamento costante delle valutazioni sui rischi collegati alla propria supply chain e sulla scelta dei propri fornitori, l’azienda ha dismesso ogni fornitura da quei gruppi con sede in Paraguay i cui standard di tracciabilità, a seguito di un’approfondita attività di due diligence, non si sono rivelati in linea con i rigorosi requisiti imposti da Pasubio e con il rispetto della normativa vigente in Paraguay così come in Europa, incluso il nuovo Regolamento Europeo per i prodotti a “zero deforestazione” di prossima adozione.

Pasubio presta grande attenzione ad agire nel rispetto valori etici fondamentali ai quali conforma la propria attività. Tale impegno include la protezione e la salvaguardia delle persone fisiche, dei diritti territoriali e dell’ambiente. Questi impegni sono tutti riflessi nelle politiche aziendali, nelle procedure e nei nostri processi di due diligence. L’azienda conferma il nostro impegno a un dialogo aperto con i principali stakeholder su questo tema”.

** In data 20 gennaio 2023, in riferimento alla risposta che l’azienda Pasubio ha inviato a commento dell’articolo, Survival precisa a TPI quanto segue:

“In riferimento alle dichiarazioni di Pasubio, Survival International precisa che, alla data odierna, non è in corso nessun dialogo tra le due parti. Pasubio si è dichiarata infatti disponibile a un confronto solo dopo il deposito dell’Istanza al PCN dell’OCSE da parte di Survival, chiedendo oltretutto che l’associazione non coinvolga nella propria campagna soggetti terzi (ovvero i suoi clienti).”

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