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Una camera da letto discreta e a mensa insieme: vi racconto da Santa Marta come vive Papa Francesco

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Papa Francesco

Sono coinquilino del Papa. Beh, almeno per tre giorni. Ma in tre giorni – Gesù Cristo insegna – si possono fare grandi cose. Io, grazie a questa curiosa convivenza con l’uomo più importante del mondo, ho avuto la possibilità di sfatare il mito della “strategia di marketing” e toccare con mano quelle che credevo fossero solo leggende metropolitane, scoprendo una profonda coerenza nel forse unico uomo pubblico in cui non si ravvede alcuno “spread” tra parola e azione. Come partecipante dell’Assemblea generale della Pontificia Accademia per la vita dedicata all’intelligenza artificiale, mi ritrovo infatti ad essere ospite a Casa Santa Marta, l’albergo di Città del Vaticano fatto costruire da Giovanni Paolo II e in cui papa Francesco ha scelto di vivere, snobbando l’appartamento papale del Palazzo Apostolico, giudicato troppo grande e lussuoso per lui.

In realtà si tratta solo di uno dei tanti segnali della rivoluzione iniziata dal primo papa americano nella Chiesa Cattolica, e della quale fa parte il convegno stesso organizzato dall’Accademia: un istituto che fino a quattro anni fa si limitava quasi esclusivamente a ribadire il no della Chiesa ad aborto ed eutanasia, e che da quando è guidato dall’arcivescovo Vincenzo Paglia ha iniziato ad occuparsi di tematiche come robotica e – appunto – intelligenza artificiale, coniando neologismi come roboetica e algoretica e confrontandosi non solo con bioeticisti, ma anche come personalità come il creatore di androidi Hiroshi Ishiguro, il presidente di Microsoft Brad Smith, il vicepresidente di Ibm John Kelly III, il presidente del Parlamento Europeo David Sassoli e il direttore generale della Fao Qu Dongyu. Fino al 1870 la residenza del Papa era il Palazzo del Quirinale, che con i suoi 110.500 metri quadrati – venti volte la Casa Bianca – è stata per secoli la più grande abitazione al mondo di un capo di Stato.

Quando, con la presa di Porta Pia, il Quirinale è stato occupato dal Re d’Italia, il papa si è rifugiato nel Palazzo Apostolico del Vaticano. L’elezione del pontefice si svolge dal 1878 all’interno della Cappella Sistina e per un secolo i cardinali sono stati costretti a vivere “accampati” per tutta la durata delle consultazioni in alloggi improvvisati senza acqua e senza luce. Wojtyla, che di conclavi ne aveva fatti due, decise di risparmiare ai suoi anziani confratelli quell’esperienza “estrema” da campeggio scout, facendo realizzare, tra il 1992 e il 1997, una struttura apposita destinata ad accogliere anche funzionari e ospiti del Vaticano durante tutto l’anno: Casa Santa Marta, appunto, che sorge all’interno di Città del Vaticano, alla sinistra di San Pietro e a pochi metri dalla Sala Nervi, il grande auditorium voluto da Paolo VI.

Si tratta, ovviamente, di un luogo accessibile solo ad alti prelati, ospiti del Vaticano e dipendenti della Santa Sede: quando il Papa entra o esce viene fatto allontanare chiunque si trovi nel raggio di trenta metri, è severamente proibito scattare fotografie e per arrivarci bisogna passare almeno cinque posti di blocco tra polizia italiana, gendarmeria vaticana e guardie svizzere. Per chi non lavora in Vaticano l’unico lasciapassare sono le chiavi della propria camera, che peraltro non si possono copiare, visto che portano incisa una veduta della Basilica. Il primo conclave ospitato a Santa Marta è stato quello che nel 2005 ha eletto Joseph Ratzinger e in cui l’unico vero rivale del braccio destro di Wojtyla era stato proprio l’arcivescovo di Buenos Aires. Quando nel 2013 Bergoglio è stato infine eletto papa, a sorpresa ha deciso di non trasferirsi nel Palazzo Apostolico ma di restare proprio a Santa Marta, con un atto inaudito sul quale ancora molti si interrogano.

Una scelta, quella di Francesco, indubbiamente coerente con il nome, ma anche con la vita del cardinale che a Buenos Aires non aveva un segretario personale, viveva in una casa del clero, si cucinava da solo e viaggiava in metropolitana. Non si tratta – d’altra parte – solo di preferire la sobrietà di una camera di albergo al lusso di marmi, arazzi e lunghi corridoi, ma anche di un volersi sentire “pellegrino”, ospite e non padrone di casa, ripercorrendo in questo le orme di san Francesco e dello stesso Gesù Cristo che una casa loro non ce l’hanno mai avuta, ma anche vivere non da solo ma in una comunità, come il frate gesuita ha fatto sin dagli inizi della sua vita religiosa. È vero anche che alla luce dei misteri sulla morte di Giovanni Paolo I (pontefice che come Francesco avrebbe voluto rivoluzionare la Chiesa) e degli scandali sui documenti trafugati durante gli ultimi anni di Ratzinger, molti vedono nella scelta di Bergoglio anche una tutela della propria sicurezza.

Lui stesso parlando con un amico argentino, ha spiegato di sentirsi più libero a Santa Marta: “Se sei nel Palazzo devi fare quello che vogliono loro, ma io non glielo permetto”. Per un curioso scherzo del destino, la mia camera si trova esattamente sopra quella del Papa, al terzo piano dell’ala A. Per questo posso toccare con mano la realtà quotidiana di quelli che molti considerano trovate che rientrerebbero in una ipocrita operazione simpatia volta a cercare un nuovo consenso per la Chiesa: il papa che vive in un appartamentino di due stanze, che rifiuta i pantaloni pontifici e le scarpe rosse e continua ad indossare i suoi vestiti logori; il papa che va a farsi gli occhiali dall’ottico, che prende il caffè alla macchinetta, che mangia a mensa con gli altri, dice messa tutti i giorni e scherza con le guardie svizzere. Potrebbe sembrare, sì, una narrazione costruita ad arte, un’operazione di facciata, ma quando ti trovi a vivergli sopra alla testa, al Papa, ti rendi conto che invece – difficile a credersi – ma è tutto vero: papa Francesco è proprio così, e ha una coerenza, anche nelle piccole cose, che è ben più stupefacente delle notizie date in pasto ai giornali e delle immagini offerte ai fotografi.

Innanzitutto, sì, vive davvero in un appartamento di due stanze: le suite di Casa Santa Marta sono confortevoli ed eleganti, ma anche estremamente semplici: uno studio con poltrona e scrivania in legno, due armadi, un frigo, una credenza e una poltroncina per gli ospiti, comunicante con una camera con letto rigorosamente singolo, una sedia, un appendiabiti, un piccolo televisore e un bagno arredato con doccia e specchiera in legno bianco. Le suite hanno, in più, anche un salottino per le riunioni che il Papa utilizza per gli incontri meno formali, mentre per gli altri si sposta nel Palazzo Apostolico. Quando riceve delegazioni interreligiose, peraltro, il Papa anziché regalare il tradizionale rosario, fa omaggio di una medaglia.

Allo stesso modo, per rispetto dei non cristiani – e in particolare degli ebrei, molto sensibili in materia – durante questo tipo di incontri vengono rimossi tutti i crocifissi. Nelle camere di Santa Marta, nota bene, il wi-fi non c’è, e non stupisce visto che i cardinali durante il conclave devono vivere in isolamento assoluto. Il papa dorme nella suite 201, che si trova al secondo piano. Quando è diventato chiaro che non si trattava di una soluzione provvisoria ma che davvero il pontefice non aveva nessuna intenzione di abbandonarla (nemmeno per l’estate: Bergoglio è anche il primo papa che non va in vacanza, né a Castel Gandolfo né tantomeno in montagna) per ragioni di sicurezza e di privacy gli è stata riservata l’intera ala del secondo piano, dove ora trovano posto anche una biblioteca e gli alloggi dei segretari, e che è riconoscibile – rispetto agli altri piani – perché decorata con quadri e vari tavolinetti, fungendo un po’ da “soggiorno” della casa di Francesco.

Tuttavia non c’è niente che impedisca il transito degli altri ospiti nel piano papale, e ogni volta che salgo o scendo le scale posso dare una sbirciata ai giornali che finiscono sulla sua scrivania (non solo l’Osservatore Romano, ma anche il settimanale Il mio papa, interamente dedicato a lui), il kindle, una misteriosa valigia nera sempre presente e i segretari che entrano ed escono dalla sua camera. Non ci sono maggiordomi né servitù e la biancheria del pontefice finisce – come quella di tutti gli altri ospiti – nella lavanderia posta al seminterrato. Le sue attività si svolgono con grande discrezione, senza creare il minimo disagio agli altri inquilini, tanto che se non lo sapessi già potresti anche non accorgerti che sotto di te vive un capo di Stato. Nel mezzo del corridoio una guardia svizzera – una sola – veglia, ad ogni ora del giorno e della notte, sulla sicurezza del capo della cristianità. Bergoglio non ne ha volute di più e pare anche (come riferiscono testimoni oculari) che non ami molto quel loro essere sempre impettite. Ad una di loro, un giorno, ha anche offerto una merendina appena presa al distributore automatico cercando – inutilmente – di convincerla ad accettarla e a non stare sull’attenti. “Non posso, ordini del comandante!” ha fatto quella. “Sono io il comandante!” ha risposto il Papa.

Anche di fronte all’ingresso dell’albergo è stato diminuito il contingente: a differenza di qualche anno fa, oggi si trova una sola guardia svizzera, accompagnata da un gendarme. Guardia svizzera e gendarmeria, per chi non lo sapesse, sono i due corpi di polizia di Città del Vaticano: si distinguono bene non solo dall’abito ma anche dalla voce: perché le guardie personali del papa hanno l’accento tedesco mentre i gendarmi parlano tutti immancabilmente e marcatamente romano. Capita relativamente spesso che il papa eluda la sorveglianza e, saltato su una Smart, si faccia accompagnare dal primo che trova in giro per Roma, magari per andare a trovare qualche vecchio amico, o per accompagnare l’elemosiniere “elettricista” Krajewski nel suo giro tra i poveri del quartiere. Che, peraltro, possono usufruire di strutture di accoglienza e di un servizio mensa allestito tutte le sere in via della Conciliazione, a pochi metri dal Colonnato del Bernini.

Nel parco macchine di Casa Santa Marta – superfluo dirlo – non ci sono auto di lusso: Bergoglio ha mandato in pensione anche l’automobile pontificia targata SCV1 e gira abitualmente con una Ford Focus, non disdegnando utilitarie come la Peugeot 107. Pare che il suo sogno sia andare a mangiare la pizza in via Gregorio VII, ma non lo ha ancora potuto realizzare perché per far entrare lui dovrebbero far uscire tutti gli altri clienti, e questa è una cosa che il papa argentino non accetterebbe mai. Francesco non ama infatti stare solo a pranzo e a cena e i pasti li consuma abitualmente nella mensa di Santa Marta insieme agli altri ospiti. Anche questa sembrava essere una sorta di leggenda: avevo sentito dire che per evitare che qualcuno potesse disturbarlo venissero montati dei paravento. Invece ieri sera sono andato a cena e mentre riempivo il mio piatto nel tavolo del buffet ho visto un saio bianco seduto al tavolo di fronte a me. Inizialmente ho pensato che si trattasse di un frate domenicano, ho guardato meglio e invece era proprio lui, che chiacchierava tranquillamente, seduto ad un tavolo da quattro, con alcuni preti.

Che non sia un’operazione-simpatia lo dimostra il fatto che finita la cena il Papa non ha fatto discorsi, né preso applausi, né salutato nessuno: se ne è andato silenziosamente come un ospite qualsiasi, senza che nessuno di noi se ne accorgesse.  È capitato anche di incrociarlo in corridoio e sentirsi chiedere di pregare per lui: il pontefice argentino non gira con la scorta ma viene accompagnato da pochissime persone. Va a letto molto presto (rientra in camera intorno alle 21) anche perché la sua sveglia suona alle 4.45: si veste da solo (e secondo i prelati più radical chic, veste molto male) e alle 7.30 celebra la messa nella cappella, preparando ogni giorno anche una predica. In pieno allarme Coronavirus, nonostante egli stesso rientri nelle categorie a rischio, non ha cambiato nessuna delle sue abitudini: e se in tutta la Lombardia, con una scelta senza precedenti, sono state addirittura sospese le messe (anche se qualche prete ribelle le celebra abusivamente), lui continua non solo a condividere la mensa con gli ospiti di Santa Marta, ma ad incontrare e a stringere le mani di persone provenienti da ogni angolo del mondo.

E quando tosse e raffreddore si sono fatte sentire anche per lui, ha rinunciato solo agli appuntamenti più impegnativi, continuando a ricevere le persone nella sua camera. Quello che più colpisce di quest’uomo, tuttavia, è soprattutto la coerenza che si ritrova nei minuscoli dettagli, come il celebre distributore automatico di caffè, bibite e merendine nel seminterrato dell’albergo, in cui lui stesso si serve spesso. Nella casa del pontefice che condanna la cultura del profitto economico e che ha dedicato un’enciclica e un sinodo alla difesa dell’ambiente, un caffè costa solo 50 centesimi, una lattina di Coca-Cola 90 centesimi, e i bicchieri sono tutti in materiale biodegradabile e riciclato. Non solo, ma a fianco ai distributori c’è anche un erogatore di acqua – liscia o frizzante, fredda o a temperatura ambiente – in cui chiunque può riempire la propria bottiglia, senza pagare niente. Perché è soprattutto nelle piccole cose che si sperimenta la credibilità di un uomo. Che predica bene, e razzola come predica. Che ci siano o meno telecamere in giro.

 

 

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