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Un anno dall’omicidio Khashoggi: cosa sappiamo e cosa non sappiamo finora sulla feroce morte del giornalista saudita

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Un anno dall’omicidio Khashoggi: cosa sappiamo e cosa non sappiamo finora sulla feroce morte del giornalista saudita

Il 2 ottobre 2018 veniva ucciso nel consolato saudita a Istanbul il giornalista Jamal Khashoggi. L’omicidio dell’editorialista del Washington Post, di un’efferatezza enorme, ha scosso il mondo intero.

S&D

Oggi, a distanza di un anno esatto da quel giorno, si commemora a Istanbul la sua morte. La cerimonia è intitolata “Un minuto di non silenzio” per sottolineare la necessità di fare piena luce su autori e mandanti del delitto, inizierà alle 13:14 locali (le 12:14 in Italia), nel minuto esatto in cui Khashoggi entrò nel consolato, parteciperanno tra gli altri la sua promessa sposa Hatice Cengiz, ultima persona a vederlo in vita all’esterno dell’edificio, e la relatrice speciale delle Nazioni Unite sulle esecuzioni extragiudiziali

Il giornalista saudita era entrato nel consolato del suo Paese a Istanbul per ritirare alcuni documenti per le sue nozze. Secondo l’intelligence è stato fatto a pezzi e i suoi resti non sono mai stati ritrovati. Prima di entrare, l’uomo consegnò il suo cellulare alla fidanzata, Hatice Cengiz, per evitare che venisse spiato dalle guardie del consolato. Poi mise piede nell’edificio da cui non sarebbe mai più uscito. “Jamal mi disse solo: aspettami qui fuori, ci vediamo tra poco. Nulla di sentimentale. Non aveva idea che sarebbero state le sue ultime parole. Con lui ho trascorso i giorni più belli della mia vita. E ora, quando ci ripenso, mi sento fortunata ad averlo conosciuto”, racconta la donna.

La fidanzata di Khashoggi, non si è mai arresa nella ricerca della verità sull’omicidio del giornalista. “Voglio sapere chi ha dato l’ordine di ucciderlo. I leader mondiali non hanno agito contro i veri responsabili”, ha detto la donna, accusando la comunità internazionale di aver sacrificato la ricerca della giustizia ai rapporti economici e geopolitici con Riad.

Cengiz si è trasferita da Instanbul a Londra per concentrarsi nella ricerca della verità sul delitto.

Il 15 novembre 2018 la procura generale dell’Arabia Saudita ha incriminato 11 persone per l’omicidio: per 5 di queste, ritenute essere esecutrici materiali dell’uccisione, è stata chiesta la condanna a morte. Le autorità di Riad hanno negato che nell’omicidio sia implicato il principe ereditario, Mohammed bin Salman.

La relatrice speciale delle Nazioni Unite sulle esecuzioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie, Agnes Callamard ha redatto un rapporto che ha evidenziato “prove credibili” di una responsabilità del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman. Ma nonostante i risultati delle indagini, non è stato compiuto alcun passo nei confronti dei colpevoli.

Cengiz accusa anche il Consiglio di sicurezza dell’Onu, che non ha compiuto alcun passo serio.

La Turchia continua a schierarsi dalla parte del giornalista. Con un editoriale sul Washington Post, dalle cui colonne Khashoggi criticava aspramente proprio l’erede al trono saudita, il presidente Recep Tayyip Erdogan ha ribadito oggi di non aver alcuna fiducia nella giustizia del Regno e nel processo per l’omicidio in corso a Riad, dove sono state chieste 5 condanne a morte, promettendo che non si stancherà di cercare i colpevoli né di chiedere che fine abbia fatto il corpo del reporter, i cui resti non sono mai stati ritrovati.

Il rapporto Callamard sull’omicidio Khashoggi

In un rapporto lungo circa 100 pagine, pubblicato dalle Nazioni Unite, la relatrice speciale delle Nazioni Unite sulle esecuzioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie, Agnes Callamard afferma che Khashoggi potrebbe essere stato sedato con un’iniezione e poi soffocato con un sacchetto di plastica. Le ipotesi sull’omicidio di Khashoggi sono state formulate sulla base delle conversazioni intercettate all’interno del consolato e analizzate dall’intelligence turca e di altri paesi.

Stiamo venendo a prenderti”, avrebbe affermato uno degli aggressori di Khashoggi prima dell’omicidio, secondo quanto ripercorso da Callamard, che lo scorso gennaio si era recata in Turchia a capo di un gruppo di esperti ONU per indagare sul caso.

“Khashoggi è stato vittima di un’esecuzione deliberata e premeditata, un omicidio extragiudiziale per il quale lo stato dell’Arabia Saudita è responsabile ai sensi della legge internazionale sui diritti umani”, afferma Callamard. E responsabilità individuali sono da attribuire a funzionari sauditi di alto livello, compreso il principe ereditario bin Salman.

La relatrice speciale delle Nazioni Unite ha anche denunciato la mancanza di trasparenza che ha caratterizzato le udienze in Arabia Saudita nel processo che sta coinvolgendo undici imputati accusati dell’omicidio del giornalista. 

Chi era Jamal Khashoggi

Ex consigliere del governo saudita, Khashoggi aveva deciso di autoesiliarsi negli Stati Uniti nel 2017 per timore di un possibile arresto, dopo aver criticato alcune decisioni del principe ereditario saudita, nonché ministro della Difesa, Mohammed bin Salman. Il giornalista aveva anche espresso diverse critiche sull’intervento militare di Riad in Yemen.

Khasoggi aveva più volte denunciato intimidazioni, arresti e attacchi subiti da giornalisti, intellettuali e leader religiosi non allineati con la casa reale saudita. Ex redattore del quotidiano Al-Watan e di un canale di notizie tv saudita, Khashoggi ha anche partecipato ai programmi della Bbc sull’Arabia Saudita e sul Medio Oriente. Il giornalista è anche noto per la sua relazione con il giovane Osama Bin Laden, con il quale ha viaggiato molto in Afghanistan negli anni Ottanta durante l’occupazione sovietica.

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