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Home » Esteri

Chi era Mahak Hashemi, la 16enne iraniana uccisa perché indossava un cappello da baseball al posto del velo

Immagine di copertina

Iran, chi era Mahak Hashemi: la 16enne uccisa per un cappello da baseball

Uccisa perché indossava un cappello da baseball al posto del velo: è quanto accaduto in Iran a Mahak Hashemi, una 16enne la cui unica colpa è stata quella di scegliere la libertà di vestirsi a suo piacimento infrangendo le regole del regime.

La vicenda risale al 24 novembre scorso quando la giovane è uscita di casa per unirsi ai giovani che protestano contro la Repubblica teocratica di Teheran.

Per 48 ore circa non si sono avute più sue notizie fino a quando il padre non ha ricevuto una telefonata da parte della polizia che lo invitava a riconoscere due cadaveri.

Uno dei due corpi era proprio quello di Mahak Hashemi: metà del volto è stato completamente distrutto dai colpi ricevuti e la schiena è stata spezzata dalle bastonate.

Secondo gli attivisti che protestano contro il regime iraniano, funzionari dell’IRGC avrebbero chiesto un grosso riscatto alla famiglia per la restituzione del corpo proibendone anche il funerale, ipotesi smentita dalla polizia che ha parlato di un incidente, così come già accaduto con le precedenti vittime.

 

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Chi era Mahak Hashemi

Nata a Shiraz, città nel sud dell’Iran, la 16enne viveva insieme al padre e alle due sorelle minori di cui si occupava dopo la morte della madre a causa di un tumore.

Mahak Hashemi

Intanto, l’Unicef, a proposito della repressione delle proteste in Iran, ha condannato “tutte le violenze contro i bambini”: secondo l’organizzazione, infatti, sono stati uccisi almeno 50 bambini tra 450 vittime.

“L’Unicef rimane inoltre profondamente preoccupato per le continue incursioni e perquisizioni condotte in alcune scuole. Le scuole devono sempre essere luoghi sicuri per i bambini. L’Unicef ha comunicato direttamente la propria preoccupazione alle autorità iraniane da quando si sono verificati i primi casi di vittime tra i bambini in risposta alle proteste” scrive l’Unicef.

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