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La fine del World Wide Web

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Il futuro di internet sarà in reti regionali?

Internet è, per definizione, universale. Il web supera i confini nazionali e crea una comunità mondiale di persone, informazioni e dati collegata da un protocollo comune e poche regole. Tre miliardi di persone al mondo sono sulla rete, e ogni giorno altre se ne aggiungono tramite personal computer o smartphone. I governi stanno cercando, fino a ora senza successo, di regolamentare questo sistema. I loro tentativi di creare un controllo universale sono falliti per le diverse priorità che ogni Paese ha nei confronti di diritto d’autore, censura, commercio, etc.

La conseguenza di queste divisioni potrebbe essere la frattura di internet da rete globale unica a una federazione di reti indipendenti fra di loro, ognuna con proprie regole e protocolli. Fantascienza? Se a sostenere questa tesi è Gordon M. Goldstein, membro della delegazione degli Stati Uniti alle conferenze che si occupano di definire le regole di internet, forse bisogna iniziare davvero a preoccuparsi. In un articolo su The Atlantic ha argomentato questa sua tesi sulla “balcanizzazione” del web.

La premessa da cui si deve partire è che internet, a differenza delle altre forme di comunicazione del passato, non è nata come un coacervo di sistemi locali che poi sono stati standardizzati a livello internazionale. I diversi sistemi postali nel mondo furono armonizzati nel 1874 con il trattato di Berna e la creazione dell’Unione Postale Universale. Nel 1865 nacque l’Unione Internazionale delle Telecomunicazioni (Itu) con lo scopo di regolare i diversi sistemi prima di telegrafi e poi di telefoni.

Internet, a differenza di telegrafi e poste, è nata come un sistema globale integrato (il world wide web appunto). Nel dicembre 2012 a Dubai si provò a porre la governance di internet sotto il controllo dell’Itu, che fa riferimento alle Nazioni Unite. I Paesi della UE e gli Stati Uniti si rifiutarono di firmare l’accordo. Dopo le vicende di Snowden, però, gli stessi Paesi occidentali hanno cambiato attitudine, e questo autunno l’Itu proverà nuovamente a definire il suo mandato come regolatore di internet.

Il controllo di un ente come l’Itu, che ha avuto successo con telefoni e telegrafi, difficilmente porterà i medesimi benefici agli utenti, a causa della maggiore complessità di internet come sistema di comunicazione. Se l’Itu diventasse il controllore ufficiale del web i diversi Paesi membri comincerebbero una lotta per guadagnare posizioni e ritorni economici. Goldstein cita due esempi di battaglie legali che potrebbero sorgere: l’imposizione di “dazi” per il passaggio di dati attraverso le reti di altri Paesi e la fine del controllo americano sul copyright dei domini.

L’effetto della regolamentazione universale dell’Itu porterebbe invece che maggiore standardizzazione maggiore divisione: Paesi con visioni affini sarebbero portati a creare delle internet regionali con propri protocolli e proprie regole “tagliate” su misura per le proprie esigenze. Avremmo probabilmente un’internet americana e europea, un internet russa e un internet cinese. Dovranno sorgere poi sistemi per permettere alle diverse internet di dialogare, con protocolli di “traduzione”. Impossibile? Angela Merkel ha lanciato l’idea di costruire una rete cloud europea chiusa all’esterno, primo step per creare una internet della UE.

Chi ne pagherà le conseguenze più di tutti, oltre che gli utenti di Paesi dove già oggi internet è censurata, saranno i grandi colossi del web mondiale (Google, Amazon, Facebook, etc) i quali si ritroveranno limitati a singole regioni e non più a tutto il globo. Eric Schmidt, presidente di Google, ha coniato il termine “splinternet” (da split/internet, “internet divisa”) per definire questo processo di “balcanizzazione” del web e grande minaccia per il futuro della sua azienda.

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