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La tradizione più forte della legge

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La storia del Kanun, il codice medievale albanese che ammette la vendetta di sangue e costringe ancora oggi centinaia di famiglie a vivere rinchiuse nelle proprie case

L’Albania settentrionale è un territorio aspro e montuoso, costellato da piccoli villaggi sparsi in ampie vallate alpine e spesso raggiungibili solo tramite lunghe strade sterrate.

S&D

In questi luoghi remoti alcune famiglie sono costrette a vivere barricate in casa senza mai poter uscire per paura della gjakmarrje, la vendetta di sangue privata che provoca in media 500 morti ogni anno. Ma per capire un’usanza così antica, bisogna tornare indietro nel tempo fino al Medioevo.

In questo territorio è infatti ancora ufficiosamente in vigore un antico codice medievale trascritto nel XV secolo – il Kanun – che regolava la vita degli albanesi sotto il dominio dell’impero ottomano e comprendeva diverse norme riguardanti la famiglia, il lavoro, la giustizia, i beni di proprietà, ma anche l’onore, il perdono e la vendetta di sangue.

Secondo il Kanun le azioni disonorevoli e i torti venivano considerati alla stregua di un crimine ed erano quindi passibili di pene molto severe. Qualora ad esempio un uomo commettesse un omicidio, alla famiglia della vittima era concessa una duplice modalità di risposta: la prima prevedeva appunto la gjakmarrje e concedeva dunque il diritto di vendicare la morte dei propri familiari uccidendo i parenti maschi dell’assassino fino al terzo grado di parentela.

Contrariamente si poteva scegliere una seconda via, giudicata più onorevole, che consisteva in un rito di perdono da eseguire pubblicamente.

In un territorio così strettamente legato ai valori della famiglia, questa consuetudine è riuscita a rimanere in vigore durante i secoli, riuscendo anche a oltrepassare i 40 anni di governo – dal 1945 al 1985 – del dittatore comunista Enver Hoxha.

Dopo la caduta del regime il regolamento è tornato a interessare le famiglie dell’Albania del nord nella sua forma più scellerata.

I casi di perdono si sono ridotti esponenzialmente e un numero crescente di omicidi hanno coinvolto anche le donne, che secondo il Kanun sarebbero tassativamente escluse dalla vendetta.

Il regolamento di conti è quindi spesso degenerato in un ricorso incondizionato alla giustizia fai da te che prevarica di fatto lo stato di diritto. Oggi queste regole non sono più in vigore per lo stato albanese ma la tradizione continua a resistere: a farne le spese sono spesso i parenti dei colpevoli, costretti a vivere rinchiusi in casa per evitare di essere uccisi dalla famiglia nemica.

Molti bambini per questo motivo non possono nemmeno andare a scuola e vivere la propria infanzia come gli altri coetanei, dovendo rinunciare all’istruzione di base e a una preparazione adeguata per il proprio futuro.

Per fronteggiare questa situazione – spesso sminuita e ignorata dal governo albanese – dal 2009 è attivo il corpo nonviolento di pace Operazione Colomba della onlus Associazione comunità Papa Giovanni XXII.

La comunità incontra le famiglie condannate a vivere nascoste nelle proprie abitazioni per portare loro un’occasione di dialogo e confronto che difficilmente potrebbero avere in altre occasioni. Ogni mese viene inoltre organizzata una manifestazione per le vie del capoluogo dell’Albania settentrionale, Scutari, per cercare di sensibilizzare sempre di più la popolazione e soprattutto l’amministrazione statale.

Secondo alcuni rapporti pubblicati da Operazione Colomba, dal 1991 al 2009 più di 9.800 persone sarebbero morte a causa della gjakmarrje, mentre sarebbero circa 6mila le famiglie costrette a vivere tra le mura di casa.

Nell’Albania che sta crescendo, questo è ancora un retaggio del passato che andrebbe affrontato dalle autorità senza sminuirne il peso  e con proposte strutturate per combattere i fattori – povertà, isolamento e carenze di istruzione in primis – che permettono al Kanun di sopravvivere.

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