Israele-Palestina: corsi e ricorsi storici di una convivenza difficile
Accordi falliti, tregue violate e promesse mai mantenute. Ecco tutti i tentativi per risolvere il conflitto in corso da 80 anni. Dai piani per lo scambio dei territori occupati, alle iniziative per il riconoscimento reciproco. Fino alle ultime proposte di Donald Trump
Il piano di pace messo in campo dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump è solo l’ultimo di una lunga serie di tentativi per creare una forma di stabilità in Medio Oriente e un reciproco riconoscimento tra israeliani e palestinesi secondo il principio dei “due popoli, due Stati”. Una serie di piani che, tuttavia, non hanno mai portato al fine ultimo, talvolta compiendo passi significativi, altre volte naufragando o venendo disattesi.
Partition, scambi e risoluzioni
La prima di queste iniziative è proprio quella risalente alla fine del mandato britannico di Palestina, quando il territorio, che si estendeva dal fiume Giordano al mar Mediterraneo e dal Mar Rosso al confine col Libano, nel 1947 venne interessato dal piano di partizione tra ebrei e arabi al fine di creare due distinti Stati per i due diversi popoli: il rifiuto da parte araba e il deterioramento delle relazioni condusse quindi alla guerra arabo-israeliana, scoppiata dopo la proclamazione nel maggio 1948 dello Stato di Israele. Lo Stato ebraico uscì vincitore dal conflitto, prendendo il controllo di tutto l’ex mandato britannico a eccezione della striscia di Gaza e della Cisgiordania, che passarono sotto il controllo di Egitto e Giordania, senza che vi venisse proclamato alcuno Stato palestinese. Sarà proprio intorno a queste linee, sancite dall’armistizio del 1949, che si svilupperà la gran parte dei tentativi di pace.
Nel 1967 Israele sconfisse Egitto, Siria e Giordania nella guerra dei Sei giorni, prendendo il controllo di Cisgiordania, Gaza, Sinai e Golan. Immediatamente dopo l’Onu votò la risoluzione 242, in cui chiede il ritiro di Israele dai territori conquistati e un reciproco riconoscimento tra israeliani e altri Paesi della regione, secondo il principio “pace per territori” che tuttavia venne respinto dall’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) per l’assenza del riconoscimento di un diritto alla patria palestinese. Negli accordi di Camp David del 1978, Israele restituì all’Egitto la penisola del Sinai in cambio del riconoscimento dello Stato ebraico da parte del Cairo: un passo importante per la pacificazione della regione ma che non si occupò direttamente della questione palestinese.
Il fiasco di Oslo e Camp David
Tentativi di porre le basi per un dialogo più diretto arrivarono con la conferenza di Madrid del 1991, ma è nel 1993 a Oslo che Israele – guidato dal primo ministro Yitzhak Rabin – e l’Olp – guidato da Yasser Arafat – siglano uno storico accordo che per la prima volta pone realmente le basi per la nascita di uno Stato palestinese. In questa occasione nasce l’Autorità nazionale palestinese (Anp), che ha il compito di amministrare alcune aree della Cisgiordania, mentre – come sancito negli accordi Oslo II del 1995, siglati a Taba, in Egitto, a dispetto del nome con cui sono noti -, altre rimangono in mano alla sicurezza israeliana e altre ancora sono sottoposte a un controllo congiunto.
Negli anni successivi, protocolli e memorandum provarono a implementare la situazione senza però raggiungere risultati determinanti. Nel 2000, Bill Clinton organizzò l’incontro di Camp David tra il premier israeliano Ehud Barak e Arafat, al termine del quale l’inconciliabilità delle posizioni sullo status di Gerusalemme portarono a un nulla di fatto: il fallimento di tale accordo è ritenuto alla base dello scoppio della Seconda intifada lo stesso anno.
Iniziativa araba e “Road map”
Nel 2002 la Lega Araba propose l’Iniziativa araba per la pace, che chiedeva il ritiro di Israele alle linee del 1967 e il diritto al ritorno per i profughi palestinesi, ma non fu preso in considerazione dallo Stato ebraico che chiese la fine delle attività terroristiche da parte dei palestinesi per poter aprire un dialogo (in quei giorni un attentato suicida aveva colpito la città di Netanya). Lo stesso anno su iniziativa del Quartetto per il Medio Oriente (Stati Uniti, Ue, Russia e Onu) prese piede la “Road map for Peace”, che chiedeva uno stop al terrorismo palestinese e all’attività di insediamento israeliana nei territori, ma anche questo piano rimase poi bloccato. Per cercare di smuovere la situazione, il governo israeliano di Ariel Sharon nel 2005 sancì il disimpegno unilaterale da Gaza, con cui smantellò gli insediamenti dei coloni dalla Striscia.
Nel 2007 il premier israeliano Ehud Olmert riprese in mano, nella conferenza di Annapolis, il principio della “Road map for Peace” e propose al leader palestinese Mahmud Abbas un piano di pace basato sullo scambio di alcuni territori: un possibile principio che in quegli anni circolava e che anche il politico israeliano Avidgor Liberman aveva già proposto in campagna elettorale. Diversi aspetti territoriali, tuttavia, non trovarono soluzione: nel frattempo Hamas aveva preso il potere a Gaza e nel 2009 l’inizio dell’operazione “Piombo fuso”, con l’invasione israeliana di parte della Striscia, portò alla fine di ogni dialogo.
Gli “Accordi di Abramo”
La stagione dei tentativi di accordo si fece piano piano sempre più complessa, nonostante incontri e colloqui non mancassero. Nel 2020, Donald Trump propose quello che presentò come “Accordo del secolo”, che prevedeva due Stati, con alcuni scambi di territori. Tale accordo, tuttavia, creava in Cisgiordania un territorio palestinese molto frammentario e soprattutto circondato da Israele, cui era ceduta l’intera sponda del Giordano, ed era quindi visto molto male dai palestinesi.
La proposta, tuttavia, fu accantonata come parte della promozione dei cosiddetti “Accordi di Abramo” che hanno normalizzato i rapporti tra Israele e diversi Paesi arabi. A cinque anni di distanza, mentre si cerca di porre fine a una guerra sanguinosa, un nuovo piano Trump, relativo a Gaza e al suo governo, è protagonista dei sempre complessi tentativi di creare una pace duratura tra Israele e Palestina.