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Inferno produttivo

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Il colosso del rame cileno progetta l'espansione della seconda miniera a cielo aperto del mondo. E si teme il disastro ambientale

Santiago del Cile – Una miniera a cielo aperto assomiglia molto all’inferno dantesco: una voragine di cerchi concentrici, sempre più stretti, che scendono fino a 800 metri di profondità. La polvere delle ruspe e dei camion copre ogni cosa. E’ inevitabile: per ricavare una tonnellata di rame bisogna frantumare e spostare 730 tonnellate di minerale di scarto. Circa il 10 per cento di questi materiali finisce in polveri sottili che galleggiano nell’aria, trascinate dal vento, fino a ricadere sul terreno.

S&D

Questo inferno in miniatura si chiama Andina e si trova a 45 chilometri da Santiago del Cile, tra le regioni Metropolitana e Valparaiso. In 43 anni di attività la miniera ha fruttato allo Stato circa 100 miliardi di dollari, trasformando il Cile nel primo esportatore mondiale di rame: un metallo indispensabile per l’elettronica e le nuove tecnologie di tutto il mondo.

Per difendere il primato, la Codelco (la compagnia statale del rame), ha lanciato il progetto “Expansión Andina 244”: la miniera a cielo aperto arriverà a coprire 510 ettari di terreno, mentre la produzione salirà da 92mila a 244mila tonnellate di rame estratte ogni giorno. Oltre 18mila lavoratori parteciperanno all’ampliamento della futura miniera di rame più importante del mondo.

Ma quest’impresa avrà notevoli ricadute ambientali. La miniera si trova a un’altitudine di 4mila metri, tra le valli andine del Rio Blanco e Aconcagua. Qui, 5mila ettari di ghiacciai custodiscono la più importante riserva idrica del Cile, che alimenta con i suoi fiumi stagionali l’agricoltura dell’intera regione. L’ampliamento della miniera rischia di accelerarne lo scioglimento.

«E’ davvero un problema molto grave», spiega Flavia Liberona, direttrice esecutiva della Fondazione Terram. «La mappa della Codelco evidenzia esclusivamente l’impatto diretto, cioè con scavi e carotaggi, su appena sei ghiacciai. Ma il vero danno ambientale è molto più ampio e sottovalutato». L’impatto maggiore deriva proprio dalle polveri sottili causate dall’estrazione di roccia. «Il particolato che si deposita sul ghiaccio, anche a grande distanza dalla miniera, crea un effetto serra in miniatura e aggrava il ritmo di scioglimento del ghiacciaio».

Diversi studi dimostrano quest’accelerazione. Greenpeace afferma che dal 1955 al 2011 un terzo dei ghiacciai andini è andato distrutto, e la stessa miniera di Andina ha causato lo scioglimento di 210 ettari di calotta glaciale negli ultimi 18 anni.

La minaccia ambientale si estende anche a valle della miniera. A sette chilometri da Andina sorge il Parco Naturale Yerba Loca, unico esempio di ecosistema mediterraneo in America Latina. Specie protette come il falco pellegrino, l’aquila, il condor e l’avvoltoio dalla testa rossa sono minacciate nel loro habitat naturale, a causa dell’inquinamento atmosferico e della ricaduta delle polveri. La stessa Codelco, nello studio di fattibilità ambientale, ammette che l’espansione della miniera impatterà anche sul Parco.

Dal punto di vista economico, le valutazioni sulla miniera sono contrastanti. Il presidente della Federazione dei lavoratori del rame cileni (Ftc), Raimundo Espinoza, appoggia l’espansione della miniera, assicurando che «Il progetto coniuga sviluppo economico e rispetto dell’ambiente». Di tutt’altra opinione Juan Carolus Brown, vicepresidente di Fedefruta, sindacato dei produttori agricoli: «Il progetto Andina non ci preoccupa, ci terrorizza», spiega. «Le risorse idriche della Valparaiso sono seriamente minacciate: rischiamo di perdere l’uso delle acque che alimentano e sostentano le coltivazioni dell’unica zona davvero fertile del Cile».

Codelco insiste che i pro sono superiori ai contro: maggior produzione di rame significa, nei prossimi 65 anni, più sviluppo e più risorse per l’intero Paese. Quanto all’ambiente, in un comunicato ufficiale la Codelco dichiara che «si farà il possibile per salvare i ghiacciai, ma il loro scioglimento è in atto da tempo».

A ben vedere, il progetto Andina 244 rappresenta solo la punta dell’iceberg di un più vasto conflitto tra centro e periferia. Come spiega Liberona: «In Cile il modello economico dominante è il neoliberismo selvaggio, in cui attraverso cavilli legali sono state svendute a compagnie private o semi-private la proprietà e la gestione delle risorse naturali, come l’acqua, il sottosuolo, la foresta e la pesca». Le comunità locali sono state tagliate fuori dalle decisioni e dallo sviluppo, di cui vedono solo gli effetti negativi. «Nel caso della Codelco», prosegue la direttrice di Terram, «è vero che l’azienda statale garantisce una quota significativa delle entrate pubbliche con il rame estratto. Ma il prezzo pagato dalle comunità locali non viene compensato dagli investimenti pubblici. Non c’è federalismo fiscale: le comunità più sfruttate in termini di risorse perdute spesso ricevono meno delle altre, a causa del sistema fiscale centralizzato che vige in Cile».

Una lotta impari. Il Cile è un vero paradiso fiscale per le compagnie minerarie. Lo Stato non pretende alcuna royalty dalle compagnie private e il livello di tassazione è molto basso. Senza contare che non esiste una norma che tuteli le risorse idriche e in particolar modo i ghiacciai: una legge d’iniziativa popolare attende da due anni di essere discussa in Parlamento – senza risultato.

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