La guerra delle spie del Cremlino per armare la Russia in Ucraina

Mosca continua a usare componenti elettroniche prodotte in Europa, insieme a un crescente numero di ricambi provenienti sempre più dalla Cina. Le sanzioni infatti non le hanno impedito di approvvigionarsi di nuove armi, anzi. Hanno solo alimentato una gara tecnologica tra 007. Così Putin ha addirittura aumentato la produzione bellica
Vadim Konoshchenok non è un contrabbandiere come gli altri. Cittadino russo con permesso di soggiorno in Estonia, per anni ha viaggiato e commerciato liberamente a cavallo del confine, importando prodotti statunitensi di vario genere da rivendere poi in Russia. Ma quando alla fine del 2022 fu arrestato dalle autorità di Tallinn, nella sua auto gli investigatori locali trovarono oltre una trentina di tipi diversi di semiconduttori e di circuiti elettronici, insieme a diverse casse di munizioni di fabbricazione americana. Dal suo telefono però emerse anche una sua foto in uniforme del servizio segreto interno russo Fsb e diversi contatti con funzionari dell’intelligence di Mosca.
Estradato dall’Estonia agli Stati Uniti nel 2023, Konoshchenok è rimasto in carcere fino al 1 agosto dell’anno scorso quando è stato rilasciato nell’ambito di uno scambio di prigionieri con gli Usa. Allora fu accolto all’aeroporto di Mosca addirittura dal presidente russo Vladimir Putin. Anche se ha sempre negato ogni addebito definendo artefatta la foto che lo ritrae in uniforme, l’imprenditore russo è accusato di essere un agente dell’intelligence del Cremlino, anche se non arruolato ufficialmente, e di appartenere a quella che i dipartimenti del Tesoro e della Giustizia americani definiscono la “Serniya Network”, una rete creata dalle società Serniya Engineering e Sertal, entrambe con sede a Mosca, che operano sotto la direzione dei servizi segreti russi per procurare elettronica avanzata e sofisticate apparecchiature militari per la guerra di Putin in Ucraina, eludendo le sanzioni occidentali.
Ma questa, secondo l’amministrazione di Washington, sarebbe solo una delle galassie di società fittizie e conti bancari usate dalle agenzie di intelligence russe Fsb, Svr e Gru per approvvigionare il Cremlino che, grazie alle sue spie, ha dato il via a una vera e propria corsa alle tecnologie belliche e dual use per fronteggiare le sanzioni. In questo modo Mosca, pur risparmiando sulla qualità, è riuscita addirittura ad aumentare la produzione bellica.
La pista cinese
L’ultima rete di fiancheggiatori della Russia a essere sanzionata (il 15 gennaio) dagli Usa conta almeno 150 tra individui, banche, aziende e istituti di ricerca sparsi per il mondo, per lo più con sede in Russia, Cina, Kirghizistan, Malesia, Turchia ed Emirati Arabi Uniti, che consentono al Cremlino il pagamento e l’approvvigionamento di microelettronica e altra componentistica utile in ambito militare.
Al centro di tutto ci sarebbe una banca kirghisa, la Ojsc Keremet Bank, di cui dall’anno scorso detiene una quota anche l’oligarca moldavo Ilan Shor, attualmente in esilio in Russia. Dall’estate del 2024, secondo Washington, l’istituto di credito si sarebbe coordinato con la Promsvyazbank, un’altra banca sottoposta a sanzioni, per permettere a Mosca di regolare le transazioni internazionali e di importare tecnologia bellica. Non a caso, secondo la ricostruzione del dipartimento del Tesoro statunitense, gli acquirenti finali di questa rete sono collegati all’agenzia russa di intelligence all’estero Svr e a quella marittima Gugi. Tra le merci importate in violazione delle sanzioni figurano infatti componenti fondamentali per le bombe plananti e i droni d’attacco Lancet e Garpiya-A1, utilizzati sempre di più nella guerra in Ucraina al fianco e spesso in sostituzione degli Shahed-136 di fabbricazione iraniana e del loro gemello russo Geran-2.
Come rivelato da un’inchiesta dell’agenzia di stampa britannica Reuters, lo sviluppo del nuovo drone a lungo raggio Garpiya-A1, che si avvale di servomotori e componenti cinesi, era già cominciato nel 2023 mentre nel luglio dell’anno scorso la produzione aveva raggiunto almeno i 2.500 esemplari. Con un peso e una gittata paragonabili all’equivalente iraniano, l’obiettivo era integrare proprio la flotta di Geran-2, la cui fabbrica in Tatarstan era stata bombardata ad aprile scorso dall’Ucraina e per cui sono necessarie numerose componenti sotto sanzioni. Per questo Mosca, secondo un’altra inchiesta pubblicata dal quotidiano statunitense The Washington Post, si è rivolta alla componentistica cinese, avvalendosi delle proprie reti di intelligence per aggirare le barriere all’importazione di tecnologia bellica e dual use e puntando a produrre migliaia di nuovi droni all’anno.
Il costo maggiore sostenuto dal Cremlino non si misura infatti nella mancanza di materiali per la produzione di armi ma nella loro efficacia. Il continuo sforzo profuso dai governi del G7 per impedire alla Russia di ottenere componenti avioniche avanzate, chip e sensori per droni, missili e carri armati ha portato Mosca a sostituirli con equivalenti cinesi a basso costo che, come nel caso dei droni Geran-2, portano i velivoli senza pilota a perdere più facilmente il controllo ma che al contempo consentono di puntare ad aumentarne la produzione fino a seimila esemplari all’anno. Anche su questo fronte infatti le spie di Putin si sono organizzate.
Scatole inglesi e olandesi
Soltanto a ottobre, secondo quanto denunciato lo scorse mese dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky, la Russia ha lanciato più di duemila droni Geran-2 sull’Ucraina. «Un numero così massiccio richiede oltre 170mila singoli componenti a cui avrebbe dovuto essere impedito di arrivare in Russia», ha denunciato il leader di Kiev su Telegram. «Provengono da aziende in Cina, Europa e America: tanti piccoli ma costanti contributi al terrore russo». Come dire che le sanzioni non funzionano.
Il Cremlino continua infatti a sfruttare norme e regolamenti, anche in Europa, per approvvigionarsi di armi. Secondo un’inchiesta realizzata dal portale Bellingcat, solo tra il 24 febbraio 2022 e il 31 marzo 2023, almeno 17mila operazioni di importazione in Russia sono passate attraverso società intermediarie registrate nel Regno Unito, i cui soggetti controllanti risiedevano tutti al di fuori delle isole britanniche, schermati dalla loro veste di soci di limited partnership. Oltre 3.200 di questi affari riguardavano componentistica bellica e almeno la metà prodotti sotto sanzioni.
Altri due casi sono stati invece segnalati l’anno scorso alle unità di intelligence finanziaria olandese Fiu-Nl e canadese Fintrac. Il primo ha coinvolto un gruppo di aziende del settore difesa che operava dal 2017 in Grecia e nei Paesi Bassi, producendo tecnologie aerospaziali, sistemi anti-drone e altra componentistica usata in ambito militare, tra cui programmi di crittografia quantistica, equipaggiamento tattico da battaglia e test nucleari. I beni importati, spesso dagli Usa, dovevano ufficialmente restare in Europa e invece finivano regolarmente in Russia, tra l’altro presso le strutture di ricerca nucleare e quantistica e la famigerata Unità militare 33949 dei servizi segreti Svr. L’altro caso riguarda invece una rete di riciclaggio di denaro istituita con società di comodo registrate in paradisi fiscali che permettevano a individui residenti in Russia e Azerbaigian di finanziare l’approvvigionamento bellico di Mosca, tra l’altro concludendo transazioni con intermediari di stanza a Cipro, in Estonia, Lettonia, Liechtenstein e Svizzera.
Un’altra organizzazione, svelata a luglio scorso grazie alla denuncia dell’ong ucraina Trap Aggressor alle testate tedesche Süddeutsche Zeitung, Ndr e Wdr e al quotidiano francese Le Monde, era invece riconducibile a una rete di aziende del gruppo russo Promtekh, che acquistava prodotti essenziali per il settore difesa realizzati in Europa tramite una società turca fondata da un’impresa francese. Il tutto in aperta violazione delle sanzioni.