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Home » Esteri

La Groenlandia e il suo ruolo strategico: ecco perché Trump la vorrebbe negli USA

Immagine di copertina
Donald Trump

Quando nel 2019 Donald Trump propose di acquistare la Groenlandia, trovando il rifiuto danese, sembrava una boutade destinata a concludersi lì. Oggi, però, che a pochi giorni dall’insediamento è tornato con insistenza sul fatto che la Groenlandia dovrebbe appartenere agli Stati Uniti e che una volta presidente non esclude l’uso della forza militare per riuscire nell’intento (nonostante la Groenlandia sia parte della NATO), comunque si evolva la situazione e qualunque cosa Trump riesca a ottenere è chiaro che questa apparente ossessione per la grande isola nordica non è stata e non è una semplice boutade. Ma allora è giusto chiedersi: perché la Groenlandia?

Diversamente da altre rivendicazioni territoriali, generalmente presentate all’opinione pubblica in base ad argomentazioni di natura storica o etnica, quella portata avanti da Trump per la Groenlandia è molto diversa: l’isola, infatti, nella sua storia non è mai stata parte degli Stati Uniti d’America e la sua popolazione è composta principalmente da Inuit, che non hanno alcun particolare legame storico con Washington. E infatti, le tre questioni territoriali trumpiane che il presidente eletto ha elencato nella sua conferenza stampa a Mar-a-Lago possono essere messe in tre categorie diverse: se il Canada è un Paese con strettissimi legami con gli Stati Uniti al quale Trump si è detto disposto a misure economiche verso Ottawa per spingerli a un’integrazione, verso il canale di Panama il tycoon ha fatto un discorso di natura storica, strategica ed economica e si è detto pronto anche a usare la forza militare. Per la Groenlandia, invece, Trump ha fatto un discorso improntato esclusivamente sulla necessità del controllo dell’isola per la sicurezza degli Stati Uniti, arrivando a parlare di un possibile uso della forza. Minacce insolite, dai tratti inquietanti e sicuramente inattese da un presidente americano, sui cui la comunità internazionale, oltre alle prese di posizioni fortemente contrarie dei governi interessati, è rimasta spaesata. Non è chiaro dove Trump voglia arrivare, se veramente punti a incorporare tali territori o sia un modo per ottenere vantaggi di altro genere, ma certo è che anche la seconda presidenza del tycoon sembra avere un punto di continuità con la prima: con lui alla Casa Bianca c’è da aspettarsi di tutto.

Ma a questo punto, vediamo: perché la Groenlandia? Cosa ha di strategico e perché Trump parla della sicurezza americana?

Più estesa isola al mondo ma abitata da appena 56mila persone (meno della popolazione del comune di Cerignola, per intenderci), la Groenlandia è oggi una dipendenza della corona della Danimarca, con un governo autonomo ma che riconosce il sovrano danese, ragione per cui come Copenaghen fa parte della NATO ma, per via della sua autonomia, non dell’Unione europea. Per quanto immensa e in gran parte disabitata, ha una posizione ritenuta altamente strategica e rappresenta un territorio ricco di risorse.

Una posizione strategica

La Groenlandia si trova infatti sulla rotta più breve tra America ed Europa e si affaccia sull’Artico, mare estremamente strategico in questo momento storico sia perché lì si toccano le acque territoriali degli USA e della Russia, sia perché le sue rotte possono essere altamente strategiche, soprattutto mentre il progressivo scioglimento di molti ghiacciai potrebbe creare numerose rotte navigabili nell’area. Rotte che tuttavia, in caso di guerra, possono rappresentare anche direttrici marittime per un attacco.

Questi elementi rendono la Groenlandia un luogo strategico non solo per aspetti logistici, ma anche militari. Durante la Guerra fredda, l’isola era parte del così detto GIUK Gap, il corridoio marittimo tra Groenlandia, Islanda e Regno Unito che la NATO temeva potesse rappresentare un passaggio da cui i sottomarini nucleari sovietici si sarebbero potuti avvicinare all’America. Tale valico ha poi perso la sua importanza con l’avvento delle armi nucleari a lungo raggio, ma rimane un passaggio importante dal punto di vista militare, tanto che la Danimarca nel 2022, dopo l’inizio della guerra in Ucraina, ha deciso di riaprire una base radar alle isole Far Oer che presidiava proprio il GIUK Gap ed era stata chiusa nel 2007. Gli Stati Uniti, inoltre, negli ultimi anni, con l’aumento della tensione con la Russia, si sono mostrati ad aumentare la presenza con basi e postazioni radar in Groenlandia e Islanda proprio per presidiare le numerose rotte strategiche dell’area.

Gli Stati Uniti hanno attualmente una base permanente all’estremità nord-ovest della Groenlandia, a Pituffik, e in virtù di un accordo con la Danimarca del 1951 hanno diritto a realizzare basi sull’isola, talmente vasta perché Copenaghen abbia una quantità di mezzi sufficiente a gestirne tutti gli aspetti militari. Proprio questo rapporto stretto e il fatto che l’isola è comunque parte della NATO hanno fatto sembrare molto singolare il fatto che Trump si sia detto pronto a usare la forza militare per portarla a far parte degli Stati Uniti.

Risorse minerarie

Oltre ad avere una posizione strategica, la Groenlandia rappresenta anche un territorio ricchissimo di risorse naturali. Uno studio del 2023 ha mostrato come l’isola abbia riserve di 25 dei 34 minerali che la Commissione europea ha inserito nell’elenco delle “materie prime critiche”, ovvero tutti quei minerali difficili da sostituire, spesso utilizzati per la realizzazione di importanti strumenti tecnologici. Secondo l’Economist i materiali sono invece ben 43 dei 50 ritenuti critici dal governo USA.

Queste materie fanno gola a molti: si tratta di risorse molto rare di cui la Cina il primato globale, cosa che le rende ancora più ambite in un momento in cui l’Occidente cerca di diminuire la dipendenza da Pechino.

Queste riserve, tuttavia, sono poco utilizzate: il governo autonomo della Groenlandia ha infatti proibito l’estrazione di petrolio e gas naturali per tutelare l’ambiente, mentre i progetti per lo sviluppo delle attività minerarie hanno sempre incontrato l’opposizione della popolazione locale, elementi che rendono anche difficile conoscere precisamente la vastità delle riserve minerarie groenlandesi. Le entrate economiche per l’isola arrivano quindi soprattutto dalla pesca, che rappresenta la principale attività economica, e da ingenti aiuti da parte del governo centrale danese.

Lo status attuale della Groenlandia

La Groenlandia è un territorio appartenente al Regno di Danimarca con governo autonomo. Tale regno, infatti, è composta da tre entità autonome: la Danimarca continentale, le isole Far Oer e, appunto, la Groenlandia, ciascuno con un proprio governo che ha sede nella città di Nuuk. Questa formula garantisce autonomia da Copenaghen sotto molti aspetti: nel 1985, ad esempio, in seguito a un referendum tenuto tre anni prima la Groenlandia ha abbandonato la Comunità economica europea, di cui faceva parte dal 1973 in qualità di territorio danese. La popolazione dell’isola da molto tempo preme per ottenere maggiore autonomia: ha ottenuto maggiori poteri nel 2009 in seguito a un referendum e il governo locale vorrebbe tenere nel 2025 un referendum per l’indipendenza, referendum guardato con attenzione anche da Donald Trump che potrebbe puntare a far leva sulla volontà di separarsi dalla Danimarca per fare della Groenlandia un territorio statunitense.

Perché fa parte della Danimarca?

La Groenlandia, da sempre scarsamente popolata, è da secoli abitata dagli Inuit e nel Medioevo fu meta di numerosi viaggi vichinghi, tanto che compare in diverse saghe di questo popolo. Nel XV secolo, tuttavia, l’abbassamento delle temperature rese meno abitabile l’isola, che fu abbandonata dai vichinghi. Nei secoli successivi entrò a far parte del Regno di Norvegia e Danimarca, e dopo la sua separazione diventò una colonia danese: da quel momento rimase sempre sotto il controllo della corona di Copenaghen. L’unico momento in cui la Groenlandia si separò di fatto dalla Danimarca fu durante l’occupazione nazista della penisola danese, periodo in cui l’isola si avvicinò politicamente al Nord America, salvo poi essere restituita a conflitto finito.

I tentativi di acquisto degli USA

La proposta di acquisto da parte di Donald Trump del 2019, reiterata negli ultimi giorni, non è il primo caso di tentativo americano di incorporare questo territorio. Nel 1823 gli Stati Uniti iniziarono a mettere in atto la cosiddetta “Dottrina Monroe”, dal nome del presidente James Monroe, secondo cui le Americhe sarebbero dovute entrate nella sfera d’influenza statunitense e le potenze europee ne sarebbero dovute rimanere fuori, ma nonostante questo la Groenlandia riuscì a rimanere sotto il controllo danese. Nonostante questo, proprio in virtù dell’egemonia esercitata sul Nord America, Washington cercò diverse volte di annetterla. Nel 1867, ad esempio, quando gli States acquistarono l’Alaska dalla Russia, presero in considerazione di fare lo stesso con Groenlandia e Islanda dalla Danimarca, senza tuttavia sortire risultati. Un nuovo tentativo fu messo in campo nel 1910 nell’ambito di un complesso scambio territoriale che prevedeva il passaggio di due isole delle Filippine (allora territorio USA) alla Danimarca in cambio di Groenlandia, Islanda e possedimenti danesi dei Caraibi, in seguito al quale Copenaghen avrebbe dovuto scambiare le isole filippine con la Germania per ottenere lo Schleswig settentrionale. La discussione rimase confidenziale e non prese mai piede.

Nel 1916, gli Stati Uniti acquistarono dalla Danimarca i loro possedimenti ai Caraibi, che divennero così le Isole Vergini. Nell’ambito dell’accordo, tuttavia, gli USA dissero che non avrebbero posto obiezioni all’aumento della presenza danese in Groenlandia, con un’insolita eccezione alla dottrina Monroe.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, in cui l’occupazione nazista della Danimarca aveva aumentato l’influenza americana sulla Groenlandia per evitare potesse cadere in mano al nemico e minacciare il Nord America, nel 1946 il presidente Harry Truman propose nuovamente a Copenaghen l’acquisto dell’isola offrendo la somma di 100 milioni di dollari, dal momento che gli alti comandi militari americani ritenevano che l’isola, vista come inutile per la Danimarca, fosse di importanza vitale per gli States. Il governo danese, tuttavia, declinò la proposta.

La Guerra Fredda dette un ruolo ampiamente strategico alla Groenlandia, come scritto in precedenza, e questo portò al trattato del 1951 che autorizzò gli USA a realizzare basi militari sul territorio dell’isola e portò alla costruzione della base di Thule, oggi conosciuta come Pituffik. Il trattato dette un ampio potere militare sull’isola agli USA e questo frenò i tentativi di acquisto e acquisizione, fino agli sviluppi recenti.

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