Icona app
Leggi TPI direttamente dalla nostra app: facile, veloce e senza pubblicità
Installa
Banner abbonamento
Cerca
Ultimo aggiornamento ore 22:17
Immagine autore
Gambino
Immagine autore
Telese
Immagine autore
Mentana
Immagine autore
Revelli
Immagine autore
Stille
Immagine autore
Urbinati
Immagine autore
Dimassi
Immagine autore
Cavalli
Immagine autore
Antonellis
Immagine autore
Serafini
Immagine autore
Bocca
Immagine autore
Sabelli Fioretti
Immagine autore
Guida Bardi
Home » Esteri

Francesco Meduri: “Così ho realizzato il mio sogno a Londra”

Immagine di copertina

Avvocato e notaio (uno dei pochi italiani in Inghilterra). "Facevo l'uomo delle pulizie, ora sono l'unico azionista di FidLaw", studio multidisciplinare che opera nella capitale inglese. "E pensare che dovevo rimanere solo un mese..."

Il mondo è pieno di italiani che con sudore e determinazione riscuotono successo nel mondo del lavoro. Persone che hanno trovato la loro strada lontano dalla loro terra di nascita. Uno di questi è Francesco Meduri, avvocato e notaio (uno dei pochi italiani in Inghilterra) che dal 1999 vive a Londra dove ha messo su famiglia e costruito una carriera lavorativa di altissimo livello che l’ha portato ad essere fondatore e unico azionista di FidLaw, uno studio multidisciplinare: notarile, commercialista e legale. «Da ragazzo avevo il sogno di fare l’avvocato internazionalista, d’impresa. Avevo un lavoro in Italia, guadagnavo bene, avevo il mio team. Poi, però, un evento a livello personale mi ha stressato particolarmente e chi mi voleva bene mi disse: «Vattene, vai in Inghilterra». Dovevo restare un mese, sono passati più di 20 anni…».

Qual è la sua formazione?
«Sono nato a Reggio di Calabria. Ho frequentato l’Università a Messina. Attraversavo lo Stretto per andare a studiare. Appena finita l’Università mi sono dedicato alla pratica forense a Reggio, ma poi già nel 1999 sono andato in Inghilterra. L’intenzione era quella di rimanere lì un mese, ma alla fine rimasi un anno. Trovai il modo di rimanere lavorando: facevo l’uomo delle pulizie. Pulivo i gabinetti della scuola di inglese che frequentavo. Alla fine dell’anno ero pronto a proseguire gli studi, ma mi mi chiamò Sviluppo Italia perché avevo vinto il concorso e quindi tornai a Reggio Calabria. Ma fu una brevissima parentesi perché volevo tornare qui, in Inghilterra. Infatti poco tempo dopo feci una richiesta per un master in Inghilterra che si chiamava “LLM”. Una volta finito il master (con lode in diritto internazionale comparato presso London Guildhall University, ndr) dovetti decidere cosa fare: tornare in Italia o restare a Londra. Decisi di rimanere e cercarmi un lavoro».

Fu facile trovarlo?
«Mandai mille curricula, nessuno mi filava. Una sera andai a divertirmi con degli amici e incontrai una ragazza che alle 4 del mattino mi disse: «Guarda, c’è una mia amica che sta cercando un avvocato italiano…». Pochi giorni dopo ho quindi fatto il colloquio e da lì è partito tutto. Se non fossi stato lì, a Londra, in quel momento non avrei mai avuto questa occasione…».

Di che lavoro si trattava?
«Si trattava di un lavoro in un grosso studio notarile che aveva sede nella City. La notaia voleva un avvocato italiano che la potesse aiutare a lanciare e sviluppare il dipartimento italiano. Aveva la necessità di avere dei dipartimenti specifici, multi-linguistici, per i vari paesi (Turchia, Russia, Spagna) e l’Italia era – ed è ancora – un buon mercato per l’Inghilterra. A Londra c’erano tutte le banche italiane… Divenni quindi il suo braccio destro. Poi incontrai i suoi più grossi clienti, un grosso studio di commercialisti, che nel 2005 mi chiesero di andare a lavorare con loro. Incontrai il manager director sudafricano che, ricordo ancora, mi disse: «Mi piaci, non so cosa farti fare, ma intanto vieni a lavorare con noi». Quindi mi trovai nella situazione surreale di lasciare il posto “fisso” che avevo nello studio notarile per andare a fare non so cosa… Già mio babbo era arrabbiato perché avevo lasciato Sviluppo Italia…».

Una volta assunto, cosa faceva per lo studio?
«Per 6 mesi non mi hanno fatto fare nulla. Quindi, stressatissimo, mi misi a studiare per diventare avvocato. Andavo a lavoro e aprivo il libro… A un certo punto però mi venne un’idea. Loro erano uno studio di commercialisti che si appoggiava al mio vecchio studio notarile per tutte le pratiche necessarie, quindi – dato che io sapevo fare il notaio ed nel frattempo ero diventato avvocato – pensai di proporre di creare una società notarile (all’epoca c’era un legge che permetteva agli avvocati di detenere uno studio notarile), assumere dei notai e ridurre enormemente i costi. Portai questa idea al manager che mi disse: «Hai visto? Non ti ho fatto fare nulla per 6 mesi perché aspettavo una tua idea». Poi inizia ad andare in giro per il mondo ad aprire uffici: a Dubai, in Svizzera… Fatto sta che già nel 2008 ero diventato direttore della società. Poi nel 2009 decisi di aprire uno studio legale sempre all’interno dello stessa struttura dove i clienti mi piovevano a cascata. Loro quindi mi dissero: «Cosa vuoi fare? Vuoi diventare partner?». Al che io risposi che non volevo diventare partner, ma essere pagato bene, continuare a lavorare per loro e che questi due studi (quello notarile e quello legale) che avevo creato all’interno della loro struttura erano miei. E ho fatto bene perché poi nel 2020 quando il mio vecchio manager director è andato in pensione, l’altro si è ammalato, l’altro è andato via ecc, me ne sono andato anche io portando con me il pallone… In pratica mi sono portato via i due studi con tantissimi clienti dello studio dei commercialisti che, dopo 15 anni, volevano continuare a lavorare con me. Nel gennaio del 2021 ho poi assunto un paio di commercialisti e creato uno studio di commercialisti per seguire questi clienti anche in quel settore».

Tutto questo in piena pandemia Covid?
«Sì, pieno Covid. Essendo notaio però potevo muovermi e venire qui negli uffici a Portman House per incontrare soprattutto clienti stranieri che avevano necessità di smobilizzare asset altrove, c’era il panico ovunque… Lo studio commercialisti è partito così: eravamo in tre con una cinquantina di società da gestire, ora sono in 15 e abbiamo centinaia di società. Il gruppo si è allargato».

Gli studi fanno tutti capo a lei?
«Sì, non ho azionisti. Sono l’unico azionista e proprietario. Abbiamo più di 30 colleghi che lavorano nello studio e assistiamo il cliente sia dalla parte legale, commerciale e notarile. Sono tutte professioni che si alternano e si compensano. Riusciamo a fornire un servizio a 360 gradi. Assistiamo clienti di altissimo profilo ma anche il cliente più “piccolo” che magari ha aperto un ristorantino».

Tra notaio, commercialista e avvocato, qual è il lavoro che ama di più?
«Ho avuto la fortuna di fare quello che mi piace: l’avvocato. Sono esperto nelle frodi dei colletti bianchi. Quindi penale e finanziario. Negli anni ho avuto la fortuna di assistere clienti di alto profilo. Ho assistito ad esempio uno degli inquisiti nel caso del Vaticano qui a Londra e tanti altri».

Lei ha sempre sognato l’Inghilterra?
«E’ capitato. Io avevo il sogno di fare l’avvocato internazionalista, d’impresa. Però si è un po’ tutti incastrato. Avevo un lavoro in Italia, guadagnavo bene, avevo il mio team. Poi un evento a livello personale mi ha stressato particolarmente e chi mi voleva bene mi disse: «Vattene, vai in Inghilterra». Ma non era così facile: all’epoca era veramente costoso stare qui. Dal “faccio un mese” e torno sono passati più di 20 anni. Quando, dopo la primissima esperienza a Londra, per un breve periodo sono tornato a Reggio Calabria mi sono sentito stretto e ho deciso di ritornare qui».

A Londra ha messo su anche una famiglia.
«Sì, ho fatto tutto qui. Dalla prima moglie, una donna inglese, ho avuto una figlia che proprio in questi giorni ha iniziato l’Università per studiare legge. Dalla mia seconda moglie, Giuliana, italiana, ho avuto due figli (13 e 11 anni). Lei l’ho conosciuta a lavoro e continuiamo a lavorare insieme. I nostri figli amano molto Reggio, l’Italia e si sentono italiani però per loro Londra è casa e, devo dire, anche per me».

In effetti lei, ormai, ha passato gran parte della sua vita a Londra.
«Sì, ho passato più anni qui che in Italia… Mi reputo fortunato perché sono sempre riuscito a fare quello che volevo. Anche quando lavavo i bagni ero contento perché mi sentivo libero di fare quello che volevo. Quel periodo mi ha reso più forte e capace di gestire quello che faccio ora, interfacciarmi con tutti. Nel nostro studio si respira l’aria di Londra: una realtà multi-culturale, religioni diverse, lingue diverse… Questo ci rende diversi da un tipico studio inglese che, di solito, sono più chiusi rispetto a quelli di questa città».

Negli ultimi 25 anni Londra è cambiata tanto: ha vissuto diverse fasi. Tanti alti e bassi. Lei come ha vissuto questi cambiamenti?
«Sì, è vero: quando arrivai nel 1999 c’era una percentuale di disoccupazione bassissima, meno del fisiologico. Chi non lavorava era perché non voleva lavorare. C’era lavoro per tutti. Poi c’è stata la crisi finanziaria che ha intaccato il tessuto sociale. La City si basava sul settore finanziario quindi quando sono crollate le banche americane è stato un grosso problema. Io, fortunatamente, non ho sentito quella crisi perché ero in un settore completamente diverso da quello finanziario. Anzi, siamo riusciti a cavalcare un’onda sulla schiena di quella crisi. Poi Londra è tornata nuovamente su grazie alla stabilità del governo inglese che, anche con la pressione fiscale bassa, ha attirato investitori stranieri. Poi con la Brexit, ma anche con un cambiamento radicale nel settore politico (si è passato da destra e sinistra alla creazione di altri partiti), si è creato un vuoto nei servizi. C’è stato un incredibile abbassamento anche della qualità. Infine il Covid ha fatto scoprire a molti inglesi che possono non lavorare e avere comunque dei soldi. Hanno scoperto questo walfere sociale che era studiato per gli onesti e non per i disonesti. Nel 2022-2023 quindi c’era lavoro ma non i lavoratori».

E ora?
«Ora sembra essersi assestata la situazione ma il problema è che Londra non sembra più attraente per gli investimenti come era prima. E’ sempre interessante, ovviamente, ma non come prima. Questo perché c’è un’instabilità politica evidente. Dal nostro punto di vista, di professionisti italiani che lavorano qui, purtroppo qualsiasi crisi arriva noi riusciamo ad utilizzarla per il nostro business: c’è lavoro sia se gli investitori arrivano sia se vanno via. Comunque c’è un picco di lavoro ma ora è molto più stressante lavorare qui. L’era più bella di Londra? Direi il pre-Brexit: 2017, 2018… Io penso che la politica inglese recente è stata sbagliata o confusa: non ha fatto sentire gli investitori a proprio agio. L’Inghilterra, anche a seguito della guerra in Ucraina, non è riuscita ad adeguarsi al mercato odierno. Si è chiusa».

Anche Londra?
«No, Londra è un mondo a parte, ha un economia a parte. Non segue l’Inghilterra. Ecco forse perché la mia squadra riesce ad espandersi in periodo in cui dovresti contrarti. Comunque per quanto la situazione qui sia politicamente “instabile” non tornerei mai in Italia. Quello che ti riesce a dare una città come Londra è difficile trovarlo altrove. Ha una magia: qui puoi essere quello che vuoi, chiunque tu sia e da qualsiasi parte del mondo tu provenga».

Ti potrebbe interessare
Esteri / Terre rare e altre materie critiche: la pistola della Cina puntata alla testa degli Stati Uniti
Esteri / Sudan Connection: la geopolitica del massacro tra oro, armi e interessi internazionali
Esteri / L’esperta del Gruppo di Lavoro Onu contro le Sparizioni Forzate Aua Baldé a TPI: “Le vittime registrate in Sudan non sono nemmeno la punta dell’iceberg”
Ti potrebbe interessare
Esteri / Terre rare e altre materie critiche: la pistola della Cina puntata alla testa degli Stati Uniti
Esteri / Sudan Connection: la geopolitica del massacro tra oro, armi e interessi internazionali
Esteri / L’esperta del Gruppo di Lavoro Onu contro le Sparizioni Forzate Aua Baldé a TPI: “Le vittime registrate in Sudan non sono nemmeno la punta dell’iceberg”
Esteri / Il genocidio in Sudan di cui non parla nessuno
Esteri / La corsa della Cina alla supremazia tecnologica globale
Esteri / Il direttore del programma di Emergency in Sudan, Matteo D’Alonzo, a TPI: “Si combatte di casa in casa, persino tra familiari. E anche con i droni”
Esteri / Sudan: cronistoria di una guerra dimenticata
Esteri / Il piano di Trump è l’unica via possibile per la pace in Ucraina (di F. Bascone)
Esteri / Altro che trappola del debito: dalla Silicon Valley ai porti di mezzo mondo, ecco l’impero segreto dei prestiti della Cina
Ambiente / È uscito il nuovo numero di The Post Internazionale. Da oggi potete acquistare la copia digitale