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Home » Esteri

Voterei ma non posso: così gli italiani all’estero sono stati dimenticati dallo Stato

Immagine di copertina
Credit: Ed Jones - AFP

Non solo i fuorisede, anche altri 5 milioni di nostri connazionali iscritti all’apposita anagrafe dovrebbero votare per posta. Ma per molti l’esercizio del loro diritto resta un miraggio

Molto probabilmente anche quest’anno, più di due terzi degli italiani residenti all’estero non voteranno per il rinnovo delle Camere il 25 settembre. Alle elezioni politiche tenutesi il 4 marzo 2018, l’affluenza dei connazionali residenti all’estero fu del 29%. Lo stesso trend potrebbe ripersi anche questa volta perché il sistema di voto estero italiano è sempre rimasto lo stesso dal 2001 ad oggi, nonostante la complessa varietà delle comunità italiane residenti all’estero e le esigenze sempre più nuove dei nostri connazionali emigrati. «Personalmente, le ultime due elezioni sono state le più complicate», spiega il giornalista italo-americano Filippo Ferretti, di Univision 41 Nueva York, «in un caso ho ricevuto la busta lo stesso giorno in cui doveva essere consegnata al consolato, quindi impossibile votare, e ancora peggio, per le politiche del 2020 la busta mi è arrivata addirittura una settimana dopo il limite massimo per il voto». Niente di nuovo sul fronte occidentale: di fatto, negli ultimi vent’anni la media affluenza degli italiani residenti all’estero che hanno espresso la loro preferenza agli appuntamenti elettorali è stata del 24%, meno di un quarto degli aventi diritto.

Come funziona

Per comprendere e circoscrivere il più possibile il fenomeno del voto perduto dei nostri connazionali italiani residenti all’estero, serve prima di tutto comprendere come effettivamente il voto all’estero sia stato strutturato nel corso della recente storia repubblicana e soprattutto chi sono gli italiani residenti all’estero e perché non votano. Secondo quanto stabilito dall’articolo 48 della Costituzione, alle elezioni del 25 settembre potranno votare anche i cittadini italiani residenti all’estero. A garantire il sistema di voto estero è la legge 27 dicembre 2001 n. 459, meglio conosciuta come legge Tremaglia. Così concepita, gli italiani iscritti all’Aire (Anagrafe italiani residenti all’estero) che potranno votare fuori dall’Italia per i candidati della circoscrizione Estero sono circa 5 milioni e mezzo. Saranno questi iscritti all’Aire che riceveranno in automatico, per posta, il plico elettorale con la scheda di voto e che potranno esprimere la propria preferenza entro il 22 settembre. Lo stesso plico, con la scheda votata e contrassegnata adeguatamente, deve arrivare al Consolato del Paese di residenza entro le 16 locali del 22 settembre. Dal Consolato viene poi spedito in Italia per lo scrutinio. Ma possono votare dall’estero, per corrispondenza, non solo gli italiani iscritti all’Aire, residenti stabilmente all’estero dunque; in alcuni casi, infatti, esiste la possibilità di votare fuori dal nostro Paese anche per alcune categorie che si trovano all’estero temporaneamente: studenti, lavoratori stagionali sono le categorie più coinvolte. Chi rientra in questo identikit, per votare il prossimo 25 settembre, avrebbe dovuto, entro il 24 agosto scorso, inviare una comunicazione al comune di iscrizione nelle liste elettorali, in cui dichiaravano di scegliere l’opzione del voto all’estero.

Voto giovane e voto vecchio

Ma gli italiani all’estero chi sono e perché tendenzialmente non votano? Un dato importante emerso dall’ultimo rapporto della Fondazione Migrantes 2021, è la giovane età degli italiani all’estero. Con una lenta zoomata sugli oltre 5,6 milioni di iscritti all’Aire, il 45,5% ha tra i 18 e i 49 anni (oltre 2,5 milioni), il 15% è un minore (848 mila circa di cui il 6,8% ha meno di 10 anni) e il 20,3% ha più di 65 anni (oltre 1,1 milione di cui il 10,7%, cioè circa 600 mila, ha più di 75 anni). Una platea di elettori che in maniera stocastica dovrebbe caratterizzare un voto estero fortemente marcato da un elettorato giovane. Ci racconta Marco, 27enne trevigiano che negli ultimi cinque anni ha sempre studiato e lavorato all’estero fino a trasferirsi definitivamente a Parigi: «Quando mi era possibile ho sempre cercato di votare dall’estero, ma al netto di tutto, mi piacerebbe iniziare a votare nel Paese in cui vivo, la Francia». Generalmente però, il voto estero interessa più la fascia di popolazione anziana che quella giovane.

Ci spiega Natali Lazzari, imprenditrice italo-brasiliana che vive nella regione di Rio Grande Do Sul, dove guida dell’azienda Avanti Cidadania: «Molti anziani italo-brasiliani mi chiedono di aiutarli a leggere le schede perché le istruzioni sono in italiano e loro parlano solamente antichi dialetti italiani e allo stesso tempo, molti di loro, non sanno comprendere le istruzioni per il voto». Natali Lazzari ricorda molto bene il voto estero dell’ultimo referendum sulla giustizia: «Chiedono informazioni persone che hanno dai 50 ai 75 anni, ma i tempi stretti per il voto credo metterebbero in difficoltà anche le persone più giovani». È questa l’Italia a due tempi che vota dall’estero: schiacciata dalle tempistiche stringenti del voto via posta.

Le criticità

La prima grande criticità del voto all’estero è il numero di schede nulle. Se nel territorio nazionale la percentuale di schede nulle si attesta attorno al 1,5%, con il voto all’estero ci si aggira attorno al 10,45% con picchi del 15,27% – come accadde per i referendum abrogativi tenutesi il 15 giugno 2003. Il dato sulle schede nulle, al netto di qualsiasi considerazione, abbisogna di un adeguato approfondimento che fino ad oggi è pressoché mancato. Elettori troppo anziani che non comprendono l’italiano? Istruzioni di voto complicate? Fatto sta che il numero di schede nulle raggiunge stime da capogiro per nulla paragonabili a qualsiasi altra democrazia europea.

Ma la grande incompiuta del voto all’estero sembra proprio essere il voto via posta: lungo, farraginoso, capace di scoraggiare i cittadini ad esprimere il loro voto. Negli anni, questo sistema di voto ha lasciato spazio a sospette operazioni di manomissione all’interno del paradigma che prevede l’invio del plico elettorale a casa dell’elettore, ovunque egli risieda nel mondo. Il cosiddetto “furto dei plichi”: pochi giorni fa, il deputato leghista Simone Billi, candidato per la circoscrizione Europa, aveva invitato gli elettori esteri a vigilare sulle cassette della posta perché erano giunte segnalazioni di furti dei plichi per la manomissione diretta del voto. Un altro problema del voto via posta sono le tempistiche: «La staffetta postale restringe di molto i tempi di voto e molto spesso i nostri plichi per il voto arrivano quando il Consolato avrebbe già dovuto spedirli a Roma», spiega Natali Lazzari. Così capita anche a New York, come ricorda il giornalista Filippo Ferretti: «I plichi arrivano in ritardo, anche una settimana dopo il tempo massimo per l’invio delle nostre schede al Consolato».

Mancanza di servizi

Un altro aspetto da non sottovalutare, ma fondamentale nell’allontanare gli italiani dalla decisione del voto è la distanza fisica dello Stato italiano in alcune regioni del globo. Manca, in altre parole, l’adeguata rete consolare in grado di tenere unite tutte le comunità sparse per il mondo all’Italia. Quando a causa della Spending Review, nel 2014, l’ambasciata d’Italia a Santo Domingo fu chiusa – in seguito riaperta grazie al profuso impegno di alcuni noti imprenditori italiani residenti nella Repubblica Dominicana – decine di migliaia di italiani residenti nel Paese caraibico, avrebbero dovuto recarsi all’ambasciata italiana di Panama, la più vicina che al tempo assorbì gli archivi dell’ambasciata di Santo Domingo, per il rinnovo della documentazione necessaria, non solo allo scopo del voto estero, ma anche per il semplice rinnovo del passaporto, carta d’identità, patente. Vincenzo Odoguardi, imprenditore italo-americano, candidato al Senato per il Movimento Associativo Italiani all’Estero, Maie, spiega: «Ci sono comunità italiane in Canada che distano da un consolato o da un consolato onorario fino a due ore e mezzo di aereo. Stiamo parlando di 1200 – 1500 chilometri di distanza». Dunque, buste che non arrivano nelle case degli elettori e consolati rallentati dalla burocrazia o difficili da raggiungere: «Al mio consolato di Porto Alegre», conclude Natali Lazzari, «siamo a dodici-diciotto mesi di attesa per la prenotazione del primo appuntamento utile al rilascio del passaporto. Per fare un esempio, una settimana fa ho aiutato quattro italo brasiliani a prenotare l’appuntamento per avviare le pratiche per il rilascio del passaporto: gli hanno dato l’appuntamento per il 2024». Il 25 settembre prossimo, con ogni probabilità, l’Italia non riuscirà a dialogare con la seconda Italia chiamata al voto fuori dai propri confini.

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