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La storia di Dominic Ongwen, il bambino rapito diventato un sanguinario guerrigliero in Uganda

Immagine di copertina

Da bambino-soldato a comandante dell'Esercito di Resistenza del Signore, Ongwen deve rispondere di 70 capi d’accusa di fronte alla Corte penale internazionale

È ricominciato lunedì 16 gennaio 2017 alla Corte Penale Internazionale dell’Aia il processo contro Dominic Ongwen, l’ex bambino-soldato rapito dall’Esercito di Resistenza del Signore (Lra) e divenuto egli stesso uno dei più feroci leader del gruppo ribelle ugandese. 
Ongwen dovrà rispondere di settanta capi d’accusa per crimini di guerra e contro l’umanità.

S&D

Nonostante una carriera di 25 anni con i guerriglieri ugandesi, il processo del Tribunale si focalizza su quattro attacchi avvenuti tra il 2002 e il 2005 contro dei campi profughi nel nord dell’Uganda. Quello che lo vede protagonista, però, sarà un processo particolare per la duplice posizione dell’imputato: vittima e carnefice.

Ongwen – su cui pendeva una taglia di 5 milioni di dollari – si era consegnato il gennaio del 2015 dopo anni di latitanza. Di fronte ai giudici del Tribunale Penale, rigetta tutte le imputazioni.

“I crimini di cui mi si accusa”, ha dichiarato ai giudici dell’Aia, “sono stati perpetrati dall’Lra. Io non sono l’Lra, io sono una vittima dell’Lra”.

La storia personale di Ongwen è difficile da ricostruire anche perché quasi certamente ai suoi rapitori dichiarò un nome falso per proteggere il resto della sua famiglia. Ciò che sappiamo è frutto dei resoconti di chi lo ha conosciuto nelle fila dell’organizzazione ribelle e ha raccontato le atrocità di cui è stato prima vittima, poi carnefice.


Dominic Ongwen fu rapito mentre andava a scuola. Lo stesso Ongwen dichiarerà che all’epoca aveva 14 anni ma le testimonianze raccolte da più parti raccontano di un ragazzino di circa 10 anni che non aveva nemmeno le forze per camminare da solo e per questo fu trasportato nel bosco da altri bambini catturati con lui.

A rapirlo furono gli uomini di Joseph Kony che nel 1987 aveva fondato il Lord’s Resistance Army, un gruppo fondamentalista cristiano che da allora combatte contro il governo ugandese per instaurare uno stato teocratico basato sui dieci comandamenti e sulla tradizione Acholi (l’etnia di cui lo stesso Ongwen fa parte).

Troppo piccolo per iniziare a combattere, Ongwen fu preso in custodia da Vincent Otti, uno dei leader dell’Lra, per inculcargli un senso di lealtà verso l’organizzazione e per prepararlo ai futuri combattimenti.

L’addestramento a cui i bambini rapiti venivano sottoposti era particolarmente duro e cruento.

Il primo passo era un rito di iniziazione che prevedeva 250 bastonate. Lo scopo era quello di eliminare totalmente ogni senso di paura. E se qualcuno piangeva per il dolore le bastonate aumentavano.

Un ex soldato del gruppo fondamentalista cristiano racconta così ai ricercatori del Justice and Reconciliation Project le atrocità di cui è stato testimone: “di fianco a me c’era un bambino di circa 10 anni, molto piccolo e malnutrito. Duecentocinquanta bastonate per lui erano troppe”.

“Alle prime il bambino iniziò a piangere poi all’improvviso smise. Il comandante si avvicinò a lui e gli intimò di alzarsi ma ormai era morto. Avrei voluto aiutarlo ma non potevo far nulla”.

È a questo tipo di atrocità che Ongwen fu sottoposto nel corso del suo addestramento militare che veniva accompagnato da un indottrinamento psicologico sulle capacità ultraterrene del capo dell’organizzazione.

Joseph Kony definisce se stesso come un mistico guidato dallo spirito santo. Ai bambini-soldato veniva presentato come un’entità sempre presente in grado di leggere la mente e di predire il futuro.

Grazie alle sue abilità – raccontano alcuni ex bambini-soldato – Kony poteva capire chi aveva intenzione di scappare. Questi bambini dovevano essere subito messi a morte e ad ucciderli erano i propri compagni.

(Dominic Ongwen alla Corte dell’Aia. Credit: Peter Dejong. Il pezzo continua dopo la foto)

Cresciuto in questo contesto Ongwen si ritrovò ben presto a fare propri gli atroci rituali dell’organizzazione. La sua disponibilità ad uccidere e a combattere gli assicurarono una vita migliore all’interno del bosco. Chi lo ha conosciuto racconta che Ongwen dimenticò ben presto la sua vita precedente ed entrò nelle grazie dei comandanti e dello stesso Kony e a 14 anni gli furono affidate le prime operazioni militari come comandante.

In questo periodo il gruppo di Kony si spostò nel Sud Sudan portando con sé le atrocità commesse in Uganda.

Qui Ongwen uccise, rapì bambini e li indottrinò allo spirito dell’Lra. Secondo un report delle Nazioni Unite tra il 1987 e il 2012 il gruppo guidato da Kony ha ucciso oltre 100mila persone e rapito tra i 60 e i 100mila bambini in quattro nazioni africane (Uganda, Sud Sudan, Repubblica Democratica del Congo e Repubblica Centrafricana).

Molte delle operazioni in quegli anni furono organizzate ed eseguite da Dominic Ongwan che nel frattempo aveva scalato le vette dell’organizzazione.

Due furono i fattori che portarono alle repentine promozioni di Ongwen: la sua ferocia e le abilità sul campo.

“Kony – ha dichiarato un ex combattente – promuoveva i bambini-soldato che facevano le cose peggiori perché sapeva che questi non avrebbero mai più voluto scappare e tornare a casa”.

Oltre all’atrocità delle sue gesta (secondo alcuni testimoni, in un’occasione ordinò ai suoi sottoposti di mangiare i civili uccisi in un’incursione), Ongwen – ormai cresciuto – dimostrò di essere un ottimo combattente, stimato dai leader per la sua fedeltà all’organizzazione e dai sottoposti perché sapevano che sotto la sua guida non sarebbero morti.

Questa è la storia di Ongwen il sanguinario. Eppure le testimonianze raccontano anche un altro aspetto della sua personalità.

Raccontano di un Ongwen premuroso con i suoi tanti figli nati e cresciuti nel bosco. Raccontano di un Ongwen buono con le “mogli” che gli venivano assegnate. Le bambine rapite dai villaggi diventavano prima sguattere dei capi poi, una volta cresciute, loro schiave sessuali.

Una di loro nel 2013 raccontò ad un giornalista del quotidiano statunitense Washington Post che “lui voleva una vita migliore per i propri figli. Voleva che andassero a scuola e non che crescessero nel bosco”.

In più occasioni Ongwan dimostrò un vero affetto verso le propri “mogli” e a molte di loro fu concesso di ritornare a casa con i propri figli. Il loro ritorno in Uganda sarebbe uno dei fattori che hanno spinto Ongwen a consegnarsi, soprattutto dopo l’isolamento al quale fu sottoposto dal resto del gruppo.

Non sono chiari i motivi per cui Kony, ad un certo punto, ha perso fiducia nel suo ex prediletto, ma una volta consegnatosi ai soldati statunitensi lo stesso Ongwen dichiarerà di temere per la sua vita.

Oggi, poco più che quarantenne, Ongwen tornerà davanti ai giudici del Tribunale Penale Internazionale e forse racconterà la sua versione dei fatti e proverà a difendersi contro i capi d’accusa che gli vengono mossi.

La storia di Dominic Ongwen dimostra che egli fu vittima delle circostanze. Le atrocità di cui fu testimone e vittima potrebbero essere considerate un attenuante nel corso del processo che lo vede imputato. Un processo che è destinato a fare storia.

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