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Home » Esteri

L’accordo sui dazi tra Usa e Ue visto da Pechino

Immagine di copertina
Credit: AGF

Prima il flop del vertice tra Xi e Von der Leyen e poi l'accordo con Trump. La guerra commerciale scatenata dalla Casa bianca non ha portato alcun avvicinamento tra il Vecchio continente e la Repubblica popolare, anzi. Per la Cina, Bruxelles deve fare “le scelte giuste”

Avrebbe dovuto celebrare il 50esimo anniversario dell’instaurazione delle relazioni diplomatiche tra due delle principali potenze economiche mondiali. Ma il recente vertice tra Unione europea e Cina si è tenuto in un clima tutt’altro che festoso. I problemi sono emersi già nella preparazione dell’incontro del 24 luglio. Prima il rifiuto di Xi Jinping di recarsi in Europa ha portato allo spostamento dei colloqui da Bruxelles alla capitale cinese. Poi, su richiesta di Pechino, la durata dell’appuntamento è stata ridotta da due giorni a uno solo.
Anche l’arrivo dei leader europei è stato oggetto di polemiche. Una volta scesi dall’aereo, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, non sono stati trasportati a bordo delle auto nere solitamente riservate al personale diplomatico. Ma come sottolineato da Alex Lo, commentatore del South China Morning Post, «sono stati ficcati senza tante cerimonie su un bus». Un’accoglienza immortalata in un video diventato presto virale.
Entrambe impegnate in trattative con gli Stati Uniti per contenere le ricadute della guerra commerciale scatenata da Donald Trump, Cina e Unione europea sono arrivate all’incontro di Pechino mostrando divergenze sempre più evidenti. Negli ultimi mesi le tensioni si sono infatti ampliate sia in ambito commerciale che dal punto di vista tecnologico e diplomatico. Smentendo chi prevedeva che i dazi di Donald Trump avrebbero portato a un avvicinamento, i contrasti tra Bruxelles e Pechino sono invece aumentati.

Tensioni crescenti
Una delle ultime decisioni ad aver allarmato Bruxelles è stata l’imposizione di controlli sulle esportazioni di terre rare e magneti, che lo scorso aprile ha scosso il settore automobilistico. Dopo il vertice di Pechino, l’Ue ha chiesto alla Cina di revocare le restrizioni a queste esportazioni e ha contestato una serie di politiche commerciali cinesi, chiedendo di porre fine a indagini su carne di maiale, brandy e latticini, che ha definito «ingiustificate e ritorsive». Sul versante europeo invece, nell’ultimo anno Bruxelles è intervenuta in ambiti disparati come le importazioni di veicoli elettrici cinesi, sottoposti a dazi, e le forniture di dispositivi medici, con l’imposizione di restrizioni alla partecipazione di aziende cinesi alle gare.
Questi sono alcuni degli strumenti con cui i leader europei cercano di contrastare le politiche di Pechino, a cui imputano una scarsa volontà di assorbire, o riequilibrare, l’enorme eccesso di capacità produttiva, che porterebbe a inondare i mercati europei di prodotti sovvenzionati, spiegando così in parte il recente boom delle auto elettriche dall’Estremo Oriente. Il vantaggio competitivo delle aziende cinesi in settori chiave come quello automobilistico è quindi frutto, secondo l’Ue, di un intervento deliberato che minaccia le imprese locali e distorce gli scambi. Un problema che, agli occhi dei funzionari di Bruxelles, i dazi trumpiani rischiano solo di acuire riversando in Europa merci cinesi in cerca di nuovi mercati a costo ribassato.
Accuse simili a quelle rivolte alla stessa Unione europea, a cui gli Stati Uniti chiedono di ridurre il proprio surplus commerciale. Come Washington, anche Bruxelles guarda con preoccupazione al deficit nello scambio di merci con la Cina, che lo scorso anno ha raggiunto la somma record di 305,8 miliardi di euro. Ma un altro elemento critico nei rapporti con Pechino è il sostegno di Xi Jinping a Mosca, senza il quale, nelle parole del portavoce della Commissione europea per gli Affari esteri, Anouar El Anouni, «la Russia non potrebbe continuare la sua aggressione» all’Ucraina «con la stessa potenza di fuoco».
Con queste premesse non sorprende che al vertice si siano registrati pochi risultati concreti. Dopo l’incontro tra von der Leyen e Xi Jinping, il primo dal 2023, non è stato rilasciato alcun comunicato congiunto. L’apparente stallo non ha impedito ai leader di riconoscere che le relazioni Cina-Ue stanno attraversando «un momento storico», come dichiarato dal presidente cinese nel suo intervento di apertura, o che, come sottolineato da von der Leyen durante il suo incontro con Xi, i rapporti si trovano a un «punto di svolta». Rimane da chiarire però verso quale direzione.

Fallimento annunciato
Come a volerlo precisare, tre giorni dopo, la presidente della Commissione europea ha incontrato Donald Trump in Scozia per stringere quello che il tycoon statunitense ha definito «l’accordo più grande di sempre». L’intesa, accolta da dubbi trasversali, prevede dazi del 15 per cento sulla maggior parte delle esportazioni dell’Unione Europea negli Stati Uniti, senza aumentare i dazi sulle merci americane esportate verso i 27 Paesi membri dell’Unione. In precedenza, secondo Goldman Sachs, le esportazioni statunitensi verso l’Ue erano soggette a un dazio medio di circa l’1 per cento. L’Unione ha anche accettato di spendere 750 miliardi di dollari in importazioni energetiche dagli Stati Uniti e di effettuare 600 miliardi di dollari in nuovi investimenti negli Stati Uniti, tutto entro il 2028. Un accordo definito «asimmetrico e sbilanciato» dagli economisti di Société Générale, che si sono espressi in termini netti: «L’Ue ha accettato un cattivo accordo piuttosto che rischiare l’escalation della guerra commerciale». A livello politico i giudizi non sono stati più teneri. «Se l’è mangiata a colazione», è stata la reazione del premier ungherese Viktor Orban in riferimento all’inquilino della Casa bianca e alla presidente della Commissione Ue, mentre il primo ministro francese François Bayrou ha giudicato l’intesa equivalente a una «sottomissione» e ha parlato di «giorno buio».

L’opinione del Dragone
Entrambi i commenti non sono passati inosservati in Cina. Mentre il portavoce del ministero degli Esteri Guo Jiakun si è limitato a ribadire la ferma opposizione della Cina «a qualsiasi tentativo di qualsiasi parte di raggiungere un accordo a spese degli interessi» di Pechino, sulla stampa le prese di posizione sono state più esplicite. Hu Xijin, ex direttore del Global Times, ha ricordato le critiche a von der Leyen in un post sul social cinese Weibo, in cui ha anche citato «i partiti di sinistra italiani» che hanno parlato di «resa incondizionata».
Tra i fattori che spiegano il «cedimento» di una potenza economica come quella europea, Hu ha messo in evidenza il ruolo della Germania che in questa occasione è stata il membro «più timido» dell’Ue perché «la sua economia è maggiormente orientata all’esportazione e desidera proteggere le sue vendite di auto», ricordando che, a differenza della Francia, «il cancelliere tedesco Merz ha accolto con favore l’accordo subito dopo la sua conclusione». Nel post, rivolto ai suoi quasi 25 milioni di follower, Hu ha poi sostenuto che l’Europa «non è una vera e propria nazione e i suoi Stati membri hanno interessi divergenti» e «dipende fortemente dagli Stati Uniti per la difesa». Anche se «è impensabile che l’Europa si scontri con gli Stati Uniti e si impegni in un aspro conflitto per pochi vantaggi economici», Hu non considera ancora chiusa la partita, visto che gli accordi dovranno essere attuati da ciascun Paese, ognuno con i «propri interessi».
Le parole di Orban e di Bayrou sono state ricordate anche da Alex Lo sul South China Morning Post, quotidiano di Hong Kong. «L’Unione europea è determinata a parlare alla Cina con condiscendenza, da una posizione di notevole debolezza», ha scritto Lo in un articolo dai toni aspri, intitolato “L’Europa portata alla rovina da dilettanti e ideologi”, ricordando l’esito del «deludente» vertice di Pechino. «Considerate le sfide poste da Washington, si potrebbe pensare che Bruxelles avrebbe colto l’occasione per ampliare le opportunità commerciali con la Cina. No, non proprio», ha sottolineato Lo, prima di riprendere un’espressione «terribilmente sessista» con cui von der Leyen e Kaja Kallas, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, vengono chiamate nella blogosfera cinese, allargandola anche al segretario generale della Nato, Mark Rutte.

Una coppia in crisi
Anche secondo l’accademica Lucie Qian Xia, che in passato ha fatto parte dell’ufficio di rappresentanza delle Nazioni Unite presso l’Ue a Bruxelles, il vertice di Pechino è stato «una delusione sia nella sostanza che nella forma e una triste rivelazione che le relazioni hanno effettivamente raggiunto un punto di svolta». Come unico risvolto positivo Xia ha citato la dichiarazione congiunta sui cambiamenti climatici, in cui entrambe le parti hanno affermato che intendono presentare piani climatici aggiornati per il 2035, in vista della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che si terrà a novembre in Brasile. Xia, che si annovera tra chi ha «molto a cuore le relazioni Ue-Cina e crede nell’importanza di tale rapporto per la stabilità e la prosperità globale», ritiene che la Cina non sia arrivata alla rottura completa con l’Ue, paragonando entrambi a una coppia in crisi. Il vertice può essere quindi considerato «simile a una seduta di terapia di coppia» in cui «i leader dell’Ue hanno trasmesso alla Cina un elenco di lamentele e di pretese senza proporre soluzioni concrete».
La metafora coniugale è apprezzata anche da altri commentatori. Secondo il giornalista Chen Weihua, è vero che «i problemi esistono in qualsiasi relazione, tra migliori amici e persino tra mariti e mogli» ma «se si continua a tirare fuori gli aspetti negativi ogni giorno, l’amicizia e il matrimonio potrebbero non durare a lungo». Dopo il vertice di Pechino Weihua, a capo dell’ufficio di corrispondenza dell’Unione europea per il China Daily, giornale in lingua inglese del Partito comunista cinese, ha accusato l’Europa di ipocrisia per le accuse rivolte alla Cina per il suo surplus commerciale, mentre tentava di convincere l’amministrazione Trump che il suo stesso surplus non era un problema.
«Per trovare un capro espiatorio, alcuni politici dell’Ue hanno iniziato a dare la colpa alla Cina per i problemi economici dell’Ue, lamentandosi di tutto, dai deficit commerciali ai controlli sulle esportazioni all’accesso al mercato». Invece di essere «ossessionati» dai pochi aspetti negativi della relazione Ue-Cina, i politici europei dovrebbero, secondo Weihua, «concentrarsi sugli aspetti positivi» e cercare una cooperazione più approfondita con la Cina. 

Correggere la rotta?
Uno dei bersagli ricorrenti dei commentatori cinesi è la politica europea di “de-risking” (o riduzione del rischio). Volta a ridurre la dipendenza dellUe dalla Cina, è ritenuta da Pechino un velato tentativo di ostacolare l’ascesa della Repubblica popolare. Secondo Weihua quella del de-risking è infatti «retorica tossica» che porta a «darsi la zappa sui piedi» perché la Cina «potrebbe contribuire in modo significativo alla crescita dell’economia dell’Ue e aiutarla a realizzare la transizione verde».
Secondo Shi Mingde, ambasciatore cinese in Germania dal 2012 al 2019, il “de-risking” è frutto di un «ragionamento sbagliato». «Affermano che una maggiore dipendenza comporta maggiori rischi, ma la loro dipendenza dagli Stati Uniti rimane ancora più forte, sia in termini di sicurezza che economici», ha dichiarato durante un evento tenuto a Pechino per celebrare i 50 anni dei rapporti diplomatici con l’Unione europea. Secondo Shi, l’accordo raggiunto in Scozia «rafforza ulteriormente la dipendenza dell’Ue dagli Stati Uniti dal punto di vista della sicurezza e dell’economia» e non porterà ancora a una maggiore autonomia strategica per l’Europa.
Secondo Shi l’andamento futuro delle relazioni tra Cina e Unione europea non dipenderà tanto dall’atteggiamento di Pechino, che è stato finora «coerente», ma dall’Ue stessa. Il diplomatico cinese ha infatti sottolineato che la premessa a ogni discorso «è come l’Ue sceglie di definirsi in un mondo turbolento». Parole che richiamano l’esortazione rivolta dal presidente cinese Xi ai leader europei, a cui ha ricordato che «le sfide dell’Europa in questo momento non provengono dalla Cina», invitando entrambe le parti a «fare scelte strategiche corrette». In caso contrario, ha chiesto l’ex ambasciatore Shi, Bruxelles vuole davvero «uno scontro su vasta scala con la Russia, la sudditanza generalizzata agli Stati Uniti» oltre che «un rapporto sempre più conflittuale con la Cina?».

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