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La corsa della Cina alla supremazia tecnologica globale

Immagine di copertina
Credit: AGF

Smartphone, pannelli solari e auto elettriche. L'ascesa del tech Made in China continua a spiazzare l'Occidente. Ecco che cosa dobbiamo aspettarci per il futuro e quali sono gli interessi strategici della Repubblica popolare

Nel 2015 il governo cinese aveva annunciato un piano ambizioso per rilanciare il settore manifatturiero e promuovere lo sviluppo di industrie considerate strategiche. L’obiettivo dell’iniziativa, di durata decennale, era quello di superare le difficoltà legate al rallentamento dell’attività manifatturiera puntando su produzioni ad alto valore aggiunto per diventare leader delle industrie del futuro, dai veicoli elettrici e autonomi alla robotica. Dieci anni dopo, il “Made in China 2025” può essere considerato «in gran parte un successo», come decretato da testate specializzate quali la statunitense Bloomberg.

Bilancio positivo
Sono cinesi infatti i principali produttori al mondo di pannelli solari (Jinko Solar, JA Solar e LONGi), di auto elettriche (BYD) e di batterie (Contemporary Amperex Technology Co, nota come Catl). Anche Huawei, da tempo leader nelle reti di telecomunicazioni, sta sfidando il dominio della statunitense Nvidia nel settore dei semiconduttori, nonostante i divieti e le sanzioni imposti da Washington durante le amministrazioni sia repubblicane che democratiche.
Dalla prima volta che Donald Trump è arrivato alla Casa bianca, gli Stati Uniti hanno infatti intrapreso uno sforzo bipartisan per frenare l’avanzata della Cina in ambito economico e tecnologico, cercando di limitare la capacità di Pechino di minacciare la superiorità militare di Washington. Neanche la sconfitta elettorale nel 2020 e il ritorno alla presidenza dei democratici ha cambiato l’approccio degli Stati Uniti alla sfida cinese. I dazi imposto dal suo predecessore sono infatti rimasti in vigore anche con Joe Biden, che ha posto limiti ancora più stringenti alla vendita di apparecchiature considerate strategiche per lo sviluppo di microchip di ultima generazione, cercando di difendere il vantaggio delle imprese occidentali dall’avanzata del Dragone nel campo dell’intelligenza artificiale e nelle applicazioni militari dei semiconduttori. Ma, nonostante le difficoltà causati da tariffe doganali, sanzioni e da una crisi immobiliare che ha pesato sui consumi interni, l’avanzata tecnologica della Cina è proseguita inesorabile.

Predominio nella ricerca
Lo conferma l’ultimo rapporto dell’Australian Strategic Policy Institute (Aspi), finanziato dal governo di Canberra, in cui la Cina si è riconfermata il Paese leader in quasi tutte le tecnologie avanzate. Il periodo di riferimento è il quinquennio tra il 2020 e il 2024, in cui sono state analizzate oltre 7 milioni di ricerche applicate alle tecnologie considerate «essenziali». L’ultima rilevazione del Critical Technology Tracker dell’Aspi, pubblicata a inizio dicembre, conferma che la Cina si è classificata al primo posto in 66 delle 74 tecnologie monitorate (l’89 per cento) nel quinquennio, mentre gli Stati Uniti sono leader nelle sole otto tecnologie rimanenti. Rispetto alle 10 nuove tecnologie aggiunte quest’anno, che comprendono l’intelligenza artificiale e le neurotecnologie, la Cina si è aggiudicata il primo posto in otto diverse aree.
Un cambiamento netto rispetto al 2003-2007, quando la Cina era al primo posto solo in 3 categorie su 64, mentre gli Stati Uniti dominavano in 60 aree. Ora invece la Cina domina 7 delle 8 categorie che riguardano l’intelligenza artificiale, 13 tecnologie del manifatturiero avanzato, 7 aree relative alla difesa e alla ricerca spaziale e 9 dei 10 campi delle scienze energetiche e ambientali. Nella rilevazione di quest’anno, riferita al periodo tra il 2020 e il 2024, gli Stati Uniti risultano leader in sole 8 tecnologie, tra cui l’informatica quantistica, l’ingegneria genetica e la medicina nucleare. Nessun primato invece per i Paesi dell’Unione europea, che riescono a imporsi solo se considerati collettivamente, collocandosi come leader in 4 delle 74 tecnologie. Il Paese più all’avanguardia a livello europeo è la Germania, che si classifica tra i primi cinque Paesi in 30 tecnologie, mentre l’Italia raggiunge i primi cinque in 14 tecnologie e la Francia in 4.
In base a questi risultati, non dovrebbe sorprendere che il principale istituto di ricerca al mondo sia l’Accademia cinese delle Scienze, al primo posto in 31 tecnologie critiche, mentre il Massachusetts Institute of Technology si colloca tra i primi 10 posti in sole 10 tecnologie critiche. Come le altre università statunitensi, anche l’istituto di Cambridge è attualmente alle prese con i tentativi di ingerenza dell’amministrazione Trump ed è diventato il primo ateneo a rifiutare un canale di finanziamento preferenziale offerto dal governo statunitense in cambio dell’imposizione di limiti alle ammissioni di studenti e ricercatori stranieri e alle proteste e a restrizioni sulle definizioni di genere. «L’America era la potenza manifatturiera durante la Seconda guerra mondiale e la Guerra fredda. Ma ora è la Cina a dominare la produzione di beni e materiali», ha dichiarato al quotidiano The Australian il direttore esecutivo di Aspi, Justin Bassi, parlando di «predominio globale» da parte di Pechino in molte aree considerate strategiche come «auto intelligenti, droni, batterie, pannelli solari, social media e ora lintelligenza artificiale». 

Calo delle collaborazioni
Mentre il primato cinese in molti ambiti di ricerca continua a rafforzarsi, la collaborazione tra Pechino e la principale potenza mondiale è scesa ai livelli più bassi degli ultimi 20 anni. L’intensità della cooperazione tra Stati Uniti e Cina, misurata sempre dal Critical Technology Tracker, è tornata infatti ai livelli del 2005. Ormai solo un quarto delle collaborazioni degli studiosi cinesi coinvolge infatti ricercatori statunitensi. Un declino iniziato dopo che nel 2018 il dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha lanciato la “China Initiative”, un programma avviato per stanare potenziali spie e che ha finito per coinvolgere centinaia di accademici e scienziati sino-americani. Anche se l’amministrazione Biden lo ha smantellato nel 2022, sull’onda di accuse di profilazione razziale a danno di cittadini e residenti di origine o discendenza cinese, le restrizioni sono continuate.
Negli ultimi anni anche altri Stati alleati degli Stati Uniti, come Regno Unito, Canada, Australia e Paesi Bassi, hanno ridotto le collaborazioni con la Cina. Per altre nazioni invece i rapporti con Pechino si sono fatti ancora più stretti. Tra questi spicca il Pakistan, diventato in 15 anni il settimo partner più importante della Repubblica popolare, da una collaborazione praticamente inesistente nel 2005, grazie soprattutto alla ricerca sui nanomateriali. L’Arabia Saudita è invece passata dal 46esimo posto del 2005 all’ottavo nel 2024.
I passi in avanti degli ultimi anni non si sono limitati alla sola ricerca. Anche il Congresso statunitense ha riconosciuto che nei dieci anni dall’avvio del programma “Made in China 2025” Pechino ha compiuto «progressi significativi» ed è diventata «più innovativa, ha scalato la catena del valore globale e ha consolidato il suo status di potenza manifatturiera mondiale». Come ricorda il rapporto della United States–China Economic and Security Review Commission, la quota della Cina nel settore manifatturiero mondiale è passata dal 25,9 per cento del 2015 al 28,8 per cento del 2023. Nello stesso periodo «la capacità produttiva cinese è cresciuta oltre quattro volte più velocemente della domanda globale tra il 2015 e il 2023».

Il futuro secondo Pechino
Per quanto riguarda il futuro, la Cina non sembra avere intenzione di fermarsi. Come ricorda The Economist, che ha dedicato a questo tema la copertina dell’edizione americana e asiatica, con approfondimenti sui settori che la Cina «dominerà» in futuro («What China will dominate next»), il dominio del Dragone non si fermerà ai pannelli solari, alle auto elettriche e agli smartphone, ma presto si allargherà ad altri due settori: i veicoli autonomi e i farmaci di nuova generazione.
Da una parte la produzione su vasta scala delle auto elettriche ha creato un mercato per la produzione di sensori necessari per i cosiddetti “robotaxi”, auto in grado di guidarsi da sole che promettono, secondo il settimanale britannico, di rivoluzionare «i trasporti, la logistica e la vita urbana di tutti i giorni». Dall’altra c’è il mercato farmaceutico cinese,  che ha visto le aziende cinesi passare in pochi anni dalla produzione di generici a occupare il  secondo posto al mondo per la produzione di nuovi farmaci, concessi in licenza anche ad aziende occidentali. Per questo «il giorno in cui un colosso farmaceutico emergerà dalla Cina non sembra più così remoto».
La corsa al predominio tecnologico, che la Cina considera essenziale per garantire lo sviluppo futuro, continuerà a essere una priorità per Pechino anche nei prossimi anni. Lo ha assicurato il Partito comunista cinese dopo la quarta sessione plenaria del Comitato centrale del Partito comunista cinese, in cui sono stati fissati gli obiettivi generali del prossimo piano quinquennale. Il plenum ha in parte vanificato le speranze di chi chiede un ribilanciamento della macchina produttiva cinese, sempre più orientata a contendere quote di mercato all’estero. L’espansione dei consumi è rimasta infatti al quinto posto tra le priorità, come nel precedente piano, mentre il rafforzamento del sistema industriale è passato al primo posto, sostituendo l’autosufficienza tecnologica. Secondo il think tank statunitense Brookings, «i documenti del plenum hanno trasmesso un maggiore senso di urgenza riguardo il raggiungimento degli obiettivi del Partito». Lo stesso Xi Jinping ha dichiarato nel suo intervento che i prossimi cinque anni saranno cruciali per «realizzare sostanzialmente» la «modernizzazione socialista» entro il 2035. Un appuntamento a cui il Partito non intende farsi trovare impreparato, invitando a «cogliere l’opportunità storica offerta dal nuovo ciclo di rivoluzione tecnologica e trasformazione industriale».

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