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Home » Esteri

Brexit, la Banca d’Inghilterra: “Rischiamo la peggiore crisi dal 1945”

Immagine di copertina
PHILIPPE LOPEZ/AFP/Getty Images

L'allarme del governatore della Bank of England, la Banca centrale del Paese: senza accordo con l'Ue la sterlina potrebbe perdere il 25 per cento

Brexit, ora anche la Banca d’Inghilterra suona l’allarme: se la Gran Bretagna lasciasse l’Unione Europea senza accordo il rischio è quello di una recessione “profonda e dannosa”.

S&D

Le conseguenze per l’economia, secondo il governatore della Bank of England, Mark Carney, potrebbero essere addirittura peggiori non solo rispetto alla grande crisi finanziaria del 2008, ma addirittura dalla Seconda Guerra Mondiale.

Un divorzio dall’Ue senza accordo, infatti, si tradurrebbe – secondo le stime – in un crollo dell’8 per cento del Pil. E già dal primo anno. Un dato, questo, che supererebbe la profondità della recessione che seguì la crisi finanziaria di dieci anni fa.

Il primo rischio, secondo Mark Carney, sarebbe il crollo del 30 per cento del valore delle case, con un tasso di disoccupazione che salirebbe dall’attuale 4,1 per cento a circa il 7,5 per cento.

I tassi di interesse, poi, si impennerebbero e l’inflazione arriverebbe a toccare quota 6,5 per cento.

Ma il vero allarme riguarda, ovviamente, la Sterlina: secondo stime un’uscita dall’Ue senza accordo potrebbe dar vita a un crollo della moneta reale del 25 per cento.

Le stime della Bank of England mostrano uno scenario potenziale paragonabile a quello del 1945, subito dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Tuttavia per la Banca d’Inghilterra l’intesa raggiunta dalla premier Theresa May ha il potenziale per incoraggiare un balzo della crescita economica nei prossimi cinque anni, rispetto alle previsioni attuali. “Ma solo se la Gran Bretagna manterrà i legami commerciali più stretti con l’Ue”.

Brexit, cosa succede adesso? Tutti gli scenari possibili

Brexit, cosa prevede l’accordo tra Londra e Bruxelles

L’accordo, un documento di 585 pagine, contiene previsioni che vanno nella direzione di una Brexit soft, che piace poco ai sostenitori più intransigenti dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea.

Per quanto riguarda il nodo più spinoso, quello della questione nordirlandese, si è sostanzialmente deciso di posticipare la soluzione: l’Irlanda del Nord continuerà in via temporanea a far parte del mercato unico europeo fino a quando non si troverà un accordo definitivo.

In questo modo si eviterà, almeno nel breve periodo, un confine fisico tra Irlanda del Nord, territorio del Regno Unito, e la Repubblica d’Irlanda, territorio dell’Unione europea. I Brexiter auspicavano invece una netta separazione, anche dal punto di vista commerciale, tra i due paesi.

In base all’accordo raggiunto, inoltre, il Regno Unito continuerà a far parte dell’unione doganale finché non si troverà un’intesa commerciale bilaterale con Bruxelles. Su questo punto, gli anti-europeisti britannici temono che Londra sia vincolata per anni al rispetto di regole europee, senza avere abbastanza voce in capitolo.

Numerosi gli articoli dell’intesa dedicati alla cooperazione giudiziaria, di polizia, allo scambio di informazioni e alla protezione dei dati personali. Ci sono norme anche sul trattamento di rifiuti radioattivi.

Importante l’articolo 132 che stabilisce che, entro il primo luglio 2020, un Comitato congiunto, copresieduto da Ue e Regno Unito, potrebbe decidere di estendere, senza alcun limite prefissato, il periodo di transizione, per il momento fissato al 31 dicembre 2020. In questo caso il Comitato congiunto deciderà l’entità del contributo di Londra alla Ue dal primo gennaio 2021 in avanti.

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