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Biografia di un killer

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Squilibrato, tiratore scelto, attivista comunista. Chi era Lee Harvey Oswald?

A cinquant’anni dall’omicidio Kennedy, la figura del suo presunto assassino Lee Harvey Oswald rimane avvolta nel mistero. La sua vita è un rebus che non è stato ancora del tutto decifrato. Soggetto mentalmente instabile, diviene tiratore scelto nel corpo dei Marines, prima di disertare fuggendo oltre la cortina di ferro per diventare un elettricista in catena di montaggio. Stufo della vita comunista, Oswald decide nel 1963 che è giunto il momento di tornare negli Stati Uniti, dove , in Aprile, proverà a uccidere un generale dell’esercito, secondo lui capo di un’ “organizzazione fascista”. Finisce poi, per caso, a lavorare in un palazzo di Dallas dal quale si può osservare la parata presidenziale del 22 Novembre. Il suo destino è legato a doppo filo a quello di JFK, tanto che finiranno per morire entrambi nel giro di quarantotto ore, tra il 22 e il 24 Novembre del 1963, nello stesso ospedale, il Parkland Memorial Hospital di Dallas.

L’infanzia del giovane Oswald è segnata dai continui traslochi della famiglia e dall’assenza del padre, Robert Edward Lee Oswald, colpito da un infarto un mese prima della nascita di Harvey. Quest’ultimo, negli anni Cinquanta rimbalza tra numerosissime scuole dei quartieri poveri di Dallas, New York e New Orleans. Più di un preside comincia a preoccuparsi di quelli che vengono definiti comportamenti “anti-sociali”: il giovane Oswald sembra vivere in una realtà fittizia, distaccato dai suoi compagni e con tendenze a comportamenti violenti.

Il giorno del suo diciassettesimo compleanno, Oswald decide di arruolarsi nei Marines. Nel test standardizzato di tiro ottiene l’ottimo punteggio di 212, che lo qualifica a tutti gli effetti come cecchino. Ma la sua esperienza nelle forze armate non è destinata a durare. Finirà davanti alla Corte Marziale due volte, la prima per essersi accidentalmente sparato a un gomito e la seconda per aver picchiato un ufficiale responsabile del primo processo.

Ѐ in questo periodo che Oswald comincia a distanziarsi dalla tipica ideologia “a stelle e strisce”, leggendo volantini pro-sovietici e guadagnandosi il soprannome di “Oswaldskovitch” tra i commilitoni. L’allontanamento dai marines culmina nella decisione, presa l’11 settembre 1963, di ritirarsi dalle forze armate, ufficialmente per prendersi cura della madre ammalata.

Ma Oswald ha ben altri piani in mente. Dopo essere arrivato in Inghilterra si dirige in Finlandia e da qui verso la sua meta reale: la Russia. Il 16 ottobre del 1959 Oswald incontra per la prima volta la sua guida turistica sovietica Rima Shirokova e le rivela il desiderio di ottenere la cittadinanza russa. Quando la Shirokova, sbigottita dall’inusuale richiesta del turista americano, gli chiede quali siano le ragioni che lo spingono a tanto, Oswald le risponde “Sono un comunista!”

Le autorità sovietiche sono scettiche e gli intimano di lasciare il Paese entro le otto di sera, ora in cui sarebbe scaduto ufficialmente il suo visto. Il rifiuto da parte di una società che idolatrava turba Oswald enormemente. Un’ora prima della scadenza del visto, si procura una ferita profonda al polso sinistro. Nel suo diario Oswald lo definisce un tentativo di suicidio in preda alla disperazione, ma sono diversi gli storici che sostengono che non fosse altro che un tentativo scaltro di estendere il proprio visto nel Paese.

Ad ogni modo, l’escamotage di Oswald va in porto, e dopo venti giorno di isolamento in un manicomio russo gli viene permesso di trasferirsi a Minsk, capitale della Bielorussia. Qui lavora come elettricista nella societa di elettronica Gorinzont, dove perfeziona il russo sotto la supervisione di un giovane Stanislaw Shushkevich, che diventerà il primo capo di stato della Bielorussia post-sovietica fino all’ascesa al potere del despota Alexander Lukashenko nel 1994.

Tuttavia Oswald si stuferà in fretta del freddo inverno bielorusso. Già nel Gennaio 1961 scrive nel suo diario: “Sto cominciando a dubitare del mio desiderio di rimanere. Il lavoro è monotono, non c’è posto dove spendere il denaro che guadagno. Niente nightclubs, niente piste da bowling, niente al di fuori dei balli dei sindacati. Ne ho avuto abbastanza”.

Proprio a uno di quei balli del sindacato conosce Marina Prusakova, con la quale si sposerà in meno di sei settimane e dalla quale avrà la sua prima figlia, June, nel Febbraio del 1962. Dopo mesi di contenziosi diplomatici con i rappresentanti di Washington in Bielorussia l’ ambasciata gli consegna un assegno di rimpatrio per 435 dollari e 71 centesimi e i permessi necessari per tornare negli Stati Uniti con tutta la famiglia

Oswald fa quindi ritorno a Dallas, senza riuscire però a trovare pace. Nel periodo tra il 1962 e il 1963 perde numerosi lavori a causa del suo temperamento focoso, prima di comprare un fucile sotto falso nome e tentare di assassinare il generale Edwin Walker, figura apertamente segregazionista e anti-comunista. Oswald non verrà collegato al tentato omicidio di Walker fino al 1963, dopo la vicenda Kennedy.

Tra maggio e settembre del 1963 Oswald affitta una casa a New Orleans, dove apre un club filo-cubano di cui è però l’unico membro, essendo stato rifiutato dagli emigrati cubani. Si reca quindi in Messico per ottenere un visto per visitare Cuba e fare la sua parte nella rivoluzione, ma l’ufficiale che lo incontra si ritiene “non incline al rilascio del visto” in quanto secondo lui Oswald sta danneggiando la causa cubana anzi che sostenerla.

Il 2 Ottobre 1963 Oswald lascia Città del Messico in pullman e torna a Dallas. Il caso vuole che qualche giorno più tardi egli venga a sapere da un vicino di un posto di lavoro che si è liberato nell’edificio da cui secondo la Commissione Warren – l’indagine ufficiale del governo americano sulla morte di JFK – il 22 Novembre esploderà i colpi fatali verso il presidente.

Quel fatidico 22 Novembre, tuttavia, Oswald non viene arrestato per l’omicido di JFK, accusa che gli verrà mossa solo in un secondo momento, bensì per quello del poliziotto J.D. Tippit, ferito a morte non lontano dall’abitazione di Oswald lo stesso giorno.

Ѐ una strana coincidenza del destino che ,oltre alla morte di Kennedy, anche quella di Lee Harvey Oswald sia avvenuta davanti alle telecamere, consegnandola così ai posteri. Erano passati solo due giorni dalla morte di JFK: Oswald si dichiarava prigioniero politico e negava qualsiasi coinvolgimento nell’assassinio del presidente. Fu Jack Ruby, proprietario di un nightclub, a spuntare dalla folla che attendeva Oswald fuori dal commissariato di Dallas, e a sparargli al petto, uccidendolo. Ruby avrebbe raccontato alle autorità di aver agito per “evitare alla signora Kennedy la pena di dover assistere a un processo”. Ma forse questa è un’altra storia.

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