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Cottarelli a TPI: “Governo lento. Mes? Ok ma all’Italia non può bastare. Quest’anno deficit al 10%”

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Intervista all'ex commissario alla spending review: "Questa crisi peggiore di quella del 2008-2012, c'è uno shock di offerta. I decreti del Governo? Troppa lentezza e incertezze normative, bisogna puntare sugli investimenti pubblici. Conte ragionevole sul Mes ma da lì arriveranno solo 36 miliardi, pochi"

Cottarelli a TPI: “Governo lento. Mes? Ok ma all’Italia non può bastare. Quest’anno deficit al 10%”

TPI intervista l’economista Carlo Cottarelli, direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani dell’Università Cattolica di Milano. Ex dirigente del Fondo monetario internazionale ed ex commissario alla spending review sotto il Governo Letta, nel maggio 2018 fu per tre giorni premier incaricato dal presidente della Repubblica Mattarella, salvo poi rinunciare per lasciare spazio al nascente Governo Conte 1.
Professore, l’economia italiana naviga nella tempesta. Cosa vede all’orizzonte?
Questo è un anno difficile per tutto il mondo e molto difficile in particolare per noi, perché abbiamo un’emergenza sanitaria più forte rispetto a tanti altri paesi, che determinerà anche una caduta del Pil più forte. E quindi abbiamo un problema di rischi di crisi finanziaria.

S&D

Come si agisce in questi casi?
Abbiamo la necessità di spendere, come Stato, molto di più di quanto era stato previsto. Ma c’è un problema di finanziamenti, perché siamo un paese con un debito pubblico molto alto. La questione è: da dove verranno questi finanziamenti?
Da dove?
Dobbiamo basarci sul sostegno dell’Europa. La Banca centrale europea ha già previsto di acquistare 220 miliardi di titoli di stato italiani.

L’Ufficio parlamentare di bilancio prevede che nel primo semestre del 2020 il Pil del nostro paese chiuderà a -15%. Stima verosimile?
Il Fondo monetario internazionale ha previsto una caduta per l’intero anno del 9 per cento. L’Istat ha calcolato che il 40 per cento dell’attività produttiva è oggi bloccato. La botta è sicuramente molto forte, però ancora nessuno può sapere quanto esattamente.
Andiamo incontro a una crisi peggiore di quella del 2008-2012?
Sicuramente sì.
Quali differenze ci sono rispetto ad allora?
Qui c’è uno schock di offerta che allora non c’era. Nel 2008-2012 c’era solo uno shock di incertezza, oggi invece non si può andare a lavorare. È molto diverso.

Quali sono i settori che soffriranno di più?
Tutti i settori che implicano spostamenti, in primis il turismo e in generale tutti quelli che esportano.
Come valuta la risposta del Governo alla crisi?
Il problema è il solito: la lentezza. E poi i provvedimenti di difficile interpretazione: tutti i commercialisti lo stanno lamentando.
Con il Decreto Liquidità il Governo ha stanziato 400 miliardi di euro a garanzia dei prestiti bancari alle imprese. La critica è: “Ennesimo regalo alle banche”.
Bah… Se lo Stato non avesse concesso la garanzia si sarebbe detto che le banche non avrebbero potuto prestare soldi, ora che si dà la garanzia si dice che è un regalo… È chiaro che quando lo Stato fa cose in deficit sta regalano qualcosa a qualcuno, ma in questo caso è una cosa necessaria, altrimenti chi sostiene l’economia?

Che ne pensa della proposta di un reddito universale?
Se fosse universale, nel senso che andrebbe anche a Cottarelli o a Berlusconi, non lo farei. Io ho una pensione che deriva dalla mia attività al Fondo monetario internazionale: perché dovrei ricevere dei soldi dallo Stato? Un reddito universale può essere pensato per dare una spinta macroeconomica, per aumentare la domanda. Ma il rischio sarebbe che una parte di questo reddito poi potrebbe non essere speso e finire in risparmi.
Come si può intervenire allora?
Se ci sono soldi pubblici da spendere, io punterei di più su acquisti diretti fatti dallo Stato. Se poi magari riuscissimo a fare anche qualche investimento pubblico… Ma bisogna muoversi rapidamente: bisognerebbe pensare già adesso a come rilanciare gli investimenti pubblici.
Qualcuno torna a parlare di Stato imprenditore.
In una fase di emergenza è possibile che lo Stato debba intervenire acquisendo la proprietà di attività produttive. Ma deve essere una cosa temporanea.

La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen ha evocato il Piano Marshall. Che analogie ci sono tra il dopoguerra e questa fase?
Il Piano Marshall comportò regali dagli Stati Uniti all’Italia per circa il 2 per cento del Pil all’anno per cinque anni. Per la maggior parte si trattava di importazioni di prodotti dagli Usa. Noi invece adesso abbiamo bisogno di un’altra cosa, cioè di domanda di prodotti italiani. Il Piano Marshall è stato clamoroso e senza precedenti, in termini quantitativi però 2 punti di Pil all’anno sono utili ma non ti cambiano la vita.
E allora?
La ricostruzione nel dopoguerra non è avvenuta per il Piano Marshall, è avvenuta perché i lavoratori e gli imprenditori italiani si sono rimboccati le maniche e sono ripartiti.
Anche oggi servirebbe “uno scatto” del settore privato, come dice il presidente del Censis De Rita?
Certamente.

La Commissione europea ha sospeso il Patto di Stabilità. Ora quindi potremo fare deficit libero?
Sì, quest’anno si andrà al 9-10 per cento del Pil.
Eurobond, Coronabond, Recovery bond. Facciamo un po’ di ordine.
La confusione deriva dal fatto che il termine Eurobond veniva usato in passato per indicare la mutualizzazione del debito passato. Cosa che sarebbe bella ma non avverrà mai, perché quello è un tipo di altruismo che non esiste neanche in paesi che hanno raggiunto unità politica: negli Stati Uniti, ad esempio, ogni Stato rimane responsabile per il proprio debito. I Recovery bond, o Coronabond, invece, sono soldi che si prendono a prestito insieme e si decide insieme come utilizzarli.

Germania e Olanda non vogliono i Coronabond, Italia e Spagna temono che il Mes sia il passepartout per la Troika. Chi ha ragione?
Il problema principale è che c’è un preconcetto per cui il Mes significa austerità e gli Eurobond significano mutualizzazione del debito.
E invece?
Se per il Mes l’unica condizionalità riguarderà le spese sanitarie dirette e indirette, non vedo perché dire di no.
Non è chiarissimo cosa si intende per spese indirette.
Bisognerebbe capirlo meglio. Ma mi sembra ovvio che se una fabbrica resta chiusa perché c’è un’emergenza sanitaria, le spese fatte per sostenere quella fabbrica dovrebbero essere considerate spese indirettamente sanitarie.

Obiezione che viene fatta: le condizionalità potrebbero cambiare più avanti.
Al momento io continuo a pensare che, se si comincia con una condizionalità legata alla sanità, non è possibile poi introdurre condizioni macroeconomiche. Ma va certamente verificato. Conte ha assunto una posizione abbastanza ragionevole su questo punto. Dice: “Vediamo le condizioni”. Fa bene a lasciare la porta aperta. Ma il punto fondamentale è un altro.
Quale?
I soldi del Mes sono pochi: all’Italia arriverebbero circa 36 miliardi di euro. Ci serve di più. La cosa principale sono i 220 miliardi in titoli di stato della Bce. I Recovery bond potrebbero essere una cosa utile anche come segnale ai mercati finanziari. E da lì potrebbero arrivare più soldi.
Quanti?
Se l’emissione sarà, come sembra, di 1.000 miliardi di euro, all’Italia potrebbero arrivare 150 miliardi.

La cancelliera tedesca Merkel sbaglia a dire no ai Recovery bond?
Secondo me sì, perché il costo per la Germania sarebbe molto basso. Tra l’altro, la garanzia verrebbe data solo pro-quota dalla Germania. Ma c’è un problema politico: Merkel deve convincere i tedeschi che non si tratta del primo passo verso la mutualizzazione del debito passato.

Leggi anche: 1. Buffagni a TPI: “Il M5S resta fermo sul no al Mes. Lombardia? Quel modello ha fallito” / 2. Tremonti smentisce Conte: “Il premier sbaglia e non conosce la storia degli eurobond” / 3. Sandro Gozi (Italia Viva) a TPI: “Mes? Conte non credibile. La Francia coraggiosa riapre, ha un piano: l’Italia no”

4.  “La BCE fa la cosa giusta, il MES ora va utilizzato, i Coronabond sono impraticabili”: a TPI parla Bini Smaghi / 5. ESCLUSIVO TPI – La catena di comando che poteva fermare il virus all’ospedale di Alzano Lombardo ma non l’ha fatto

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