La corsa agli armamenti che nessuno può più permettersi
Miliardi di dollari investiti, debiti pubblici record e arsenali in piena attività. Il riarmo in corso è il braccio di ferro più costoso al mondo. Ma nessuno osa indietreggiare. Così però rischiamo di correre verso il baratro
La corsa agli armamenti più costosa della storia sta minacciando la stabilità economica e politica globale. Nel 2024, le nazioni hanno speso 2.700 miliardi per i loro eserciti – un record assoluto – nonostante i livelli del debito post-pandemia, l’inflazione e la crisi delle infrastrutture.
Cifre mai viste
Il 2024 è stato l’anno in cui il mondo ha speso più soldi in armi nella storia, con una spesa militare globale record di 2,718 miliardi di dollari, la più alta mai registrata dall’Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma fino ad oggi. L’aumento percentuale rispetto al 2023 è stato del 9,4 in termini reali, il più forte incremento annuo dalla fine della Guerra Fredda. La spesa militare è aumentata in tutte le regioni del mondo, con una crescita particolarmente rapida in Europa e in Medio Oriente. I cinque Paesi che investono di più nell’apparato bellico – Stati Uniti, Cina, Russia, Germania e India – ammontano al 60 per cento della spesa globale, per un totale di 1.635 miliardi di dollari.
Gli Stati Uniti hanno speso da soli 886 miliardi di dollari per la difesa nel 2024, superando il Pil di molti Paesi. A questa somma si aggiungono finanziamenti straordinari: 30,6 miliardi per le scorte di munizioni e altri 113 miliardi per aiuti esteri e rimpiazzo delle armi spedite all’estero. Leader indiscussa negli export d’armi grazie alla sua rete senza pari di alleanze militari, l’America finanzia tre fronti principali: la guerra in Ucraina, il conflitto in Medio Oriente e la corsa tecnologica militare con la Cina. Ma la realtà è che il complesso industriale della difesa statunitense non è strutturato per la produzione di massa richiesta da un conflitto su larga scala, e l’Ucraina ha messo in luce i limiti di tale modello. Secondo un rapporto del think tank Bruegel, nel 2024 la capacità produttiva annuale stimata dei missili Patriot era di circa 700 unità, con l’obiettivo ufficiale di raggiungere le mille unità entro il 2027. Per avere un termine di paragone, la Russia ha lanciato oltre 10mila razzi offensivi dall’inizio della sua invasione dell’Ucraina.
Ritmi forsennati
Un esempio è la fabbrica General Dynamics Ordnance and Tactical Systems di Scranton, Pennsylvania, che per decenni ha mantenuto un ritmo di uno o due turni giornalieri al massimo. La linea di produzione di artiglieria da 155 mm sfornava dai 10 ai 14 mila proiettili al mese – abbastanza da mantenere pieni gli arsenali americani e rifornire gli alleati. Non più. Ora la fabbrica è un brulicare di attività: i saldatori fanno sprizzare scintille dai gusci d’acciaio, enormi presse idrauliche stampano corpi di granate da barre d’acciaio da 900 kg con precisione meccanica e l’aria vibra al suono dei colpi di artiglieria che escono dalla catena di montaggio ogni quattro minuti.
Oggi, l’impianto lavora a pieno ritmo: tre turni, sette giorni su sette, producendo quasi 40mila proiettili al mese, molti dei quali destinati a rifornire l’Ucraina. Ogni proiettile rappresenta una piccola fortuna per una famiglia media, ma fa parte dell’aritmetica disperata e vertiginosa della guerra moderna.
Competizione feroce
La Cina ha risposto con un aumento significativo del proprio budget militare, stimato ufficialmente in 296 miliardi di dollari per il 2025, ma secondo le stime occidentali i costi reali potrebbero avvicinarsi a 450 miliardi, tenendo conto dei programmi nucleari e delle tecnologie dual-use. Pechino possiede ora la più grande marina del mondo per numero di scafi, ha raddoppiato le testate nucleari dal 2020 e dispone di armi ipersoniche che le difese Usa non riescono a intercettare. Ogni avanzamento cinese scatena contromisure americane multimiliardarie, in un ciclo di azione e reazione che alcuni esperti hanno definito «la partita di scacchi più costosa del mondo».
In Europa, la Germania ha accelerato la spesa militare, arrivando a superare il 3,5% del Pil dopo l’invasione russa dell’Ucraina nel 2022. Anche Polonia, Svezia, Finlandia e Svizzera hanno aumentato drasticamente i loro bilanci, abbandonando in. alcuni casi secoli di neutralità. La Svezia, ad esempio, ha ripristinato la leva militare, ampliato i programmi di difesa civile e inviato armi direttamente in Ucraina. La Svizzera ha autorizzato l’acquisto di caccia F-35 nonostante l’opposizione interna e sta modernizzando le sue fortificazioni alpine.
Il Giappone, con un debito pubblico pari al 260% del Pil e un terzo della popolazione sopra i 65 anni, ha stanziato 50,2 miliardi di dollari per la difesa, prevedendo un aumento del 65% nei prossimi cinque anni per contrastare la Cina. La pandemia di Covid-19 ha aggravato la situazione, aumentando il debito globale e lasciando i Paesi costretti a spendere migliaia di miliardi per la difesa dopo averne già spesi altrettanti per mantenere in vita le proprie economie.
Salasso in arrivo
La corsa agli armamenti comprende sistemi dai costi stratosferici: un missile ipersonico statunitense costa oltre 14 milioni di dollari, il bombardiere stealth B-21 Raider circa 2 miliardi a velivolo, e ogni F-35 costa fino a 109 milioni senza contare la manutenzione. Una guerra su Taiwan potrebbe provocare uno shock economico globale da 10 mila miliardi di dollari, considerando che metà dei semiconduttori mondiali proviene da quell’isola e quasi tutta la produzione è concentrata ad appena 160 km dalla possibile zona di invasione.
Le spese militari continuano a crescere anche in Asia: India (75 miliardi), Filippine (35 miliardi) e Giappone rafforzano le proprie difese. Il principio di deterrenza, che una volta alimentava le corse agli armamenti tra superpotenze si manifesta chiaramente: uno Stato si riarma, i rivali reagiscono e i costi crescono vertiginosamente. È il braccio di ferro più costoso al mondo: tutti spendono miliardi e nessuno osa indietreggiare.
In Ucraina, gli artiglieri bruciano 50mila dollari di munizioni al minuto. I missili HIMARS costano 168mila dollari a colpo, i proiettili guidati Excalibur tra 60mila e 112mila dollari, e i droni Bayraktar TB2 5 milioni di dollari l’uno. Anche la guerra cibernetica richiede cifre astronomiche: l’Estonia spende 50 milioni l’anno, gli Stati Uniti quasi 10 miliardi, mentre la produzione resta il vero collo di bottiglia, con carenze di semiconduttori e il controllo cinese sulle terre rare. Un rapporto dell’International Institute for Strategic Studies, pubblicato alla fine del 2024, ha evidenziato l’importanza del controllo esercitato dalla Cina sulla nitrocellulosa, una materia prima fondamentale per la produzione di propellenti e componenti combustibili.
Esempi inascoltati
La storia insegna che questa corsa agli armamenti può essere devastante: l’Unione Sovietica crollò dopo aver speso miliardi in Afghanistan; il Regno Unito vinse la Seconda Guerra Mondiale, ma ne uscì indebitata fino al collo. Gli Usa hanno speso oltre 12 miliardi al mese durante le guerre in Iraq e Afghanistan, e un’invasione cinese di Taiwan gli potrebbe costare oltre mille miliardi di dollari l’anno, pari al 6,7 per cento del Pil.
Oggi, ogni misura difensiva appare offensiva ai rivali. Ogni sistema d’arma richiede contromisure e i nostri obblighi verso gli alleati comportano spese che nessun tesoro può sostenere indefinitamente. Con i bilanci militari alle stelle e i Paesi gravati da debiti record, resta una domanda fondamentale: ci stiamo preparando a una vittoria o all’autodistruzione? Nella corsa disperata per evitare il proprio annientamento, il paradosso è che le grandi potenze forse stanno garantendo proprio quest’ultimo. La psicosi della guerra ha portato il mondo a spendere migliaia di miliardi in armamenti per prepararsi a un conflitto che nessuno può davvero permettersi e che nessuno potrebbe sopravvivere.