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Home » Cultura

Cinema per amore, François Cluzet si racconta a TPI: “Faccio l’attore per provare emozioni e poterle donare”

Immagine di copertina
L’attore francese François Cluzet (al centro) in una scena del film “Guida pratica per insegnanti”. Per gentile concessione della produzione

È uno degli interpreti francesi più apprezzati. Ma dopo 50 anni di carriera preferisce lavorare con registi indipendenti. “Ho avuto successo tardi, lentamente, e questo mi ha permesso di restare lucido”, spiega a TPI. "Ho bisogno di ruoli che denunciano: eroi quotidiani"

Una lunga carriera prestigiosa alle spalle, punteggiata da film come “Round Midnight” di Bertrand Tavernier, “French Kiss” di Lawrence Kasdan, “L’inferno” e “Rien va plus” di Claude Chabrol, “L’avversario” di Nicole Garcia, “Grandi bugie tra amici” di Guillaume Canet, “Masquerade – Ladri d’amore” di Nicolas Bedos. Impossibile citarli tutti. Attraverso commedie, tragedie, teatro e cinema, François Cluzet, 69 anni, è diventato uno degli attori francesi più amati, ma è stato l’enorme successo di “Quasi amici” di Olivier Nakache ed Eric Toledano a fargli ottenere il riconoscimento mondiale rendendolo popolare a carriera già avanzata. 

«Ho avuto successo tardi, molto lentamente e questo mi ha permesso di rimanere lucido, di non cedere alle illusioni e alle sirene del successo…», ci racconta con ironia l’attore francese quando lo incontriamo a Firenze, ospite d’onore del festival del cinema francese France Odeon. Oggi, dopo tanti anni di carriera, Cluzet preferisce lavorare con registi indipendenti, in film corali, in ruoli più piccoli ma significativi anche dal punto di vista sociale, come “Guida pratica per insegnanti”, di Thomas Lilti (al cinema dal 17 aprile) dove interpreta un appassionato insegnante di scuola secondaria che aiuta un giovane supplente a superare le difficoltà del mestiere.

«Il supplente è interpretato da Vincent Lacoste, un giovane attore straordinario che proprio grazie a questo gruppo di insegnanti di vecchio corso, scopre quanto sia viva la passione per l’insegnamento all’interno di un’istituzione sempre più fragile. Ed è la stessa cosa che mi succede nella realtà. Sono ormai cinquant’anni che faccio questo mestiere. È chiaro che per continuare a farlo, ho bisogno di un percorso diverso: ruoli che denunciano, che affrontano temi sociali come la difficoltà di insegnare oggi nelle scuole. Eroi quotidiani». 

Oppure ruoli di “cattivi” come in “Un’ombra sulla verità” di Philippe Le Guay.
«Mi diverte cambiare le carte in tavola, mettere un po’ di umanità nel ruolo del cattivo, e magari dell’egoismo nel buono. Potrebbe sembrare strano ma la vita vera è così, non c’è bianco o nero. Un vecchio regista mi disse che un attore non capirà mai sé stesso, se non interpreta un mostro. E quale mostro peggiore se non l’antisemita e il complottista del film di Le Guay. Uno che nega la realtà, la scienza e odia tutti».

Ha dichiarato di aver scelto questo mestiere per sentirsi amato. È vero?
«Assolutamente sì, ma come la gran parte degli artisti. Dicono una bugia se affermano il contrario. Sicuramente dipende anche dalla mia storia personale: mia madre è scomparsa quando avevo otto anni e mio padre faceva parte di una generazione in cui la tenerezza non era accettata. All’epoca era difficile, un ragazzo non doveva dimostrare emozioni. Mi pesava tanto. Ho cominciato a fare questo mestiere sia per provare un’emozione, sia per poterla donare agli altri. Vedere in teatro persone che sorridono, altre che si commuovono, è qualcosa che mi riempie di gioia. Sentirti dire bravo, ricevere complimenti è un amore che mi ha fatto bene. È ancora per questo che continuo a fare l’attore».

Qui a Firenze e a France Odeon è stato sommerso dall’affetto del pubblico. Qualcosa che è sembrato stupirla. Non credeva di essere noto in Italia?
«Sì certo, è che non mi sento una “star”. Sono un uomo di mezza età, un anonimo, un papà, un marito. Mi vivo così (sorride ironico, nda). Certo quando ero ragazzo volevo diventare famoso, venire a festival come questo ed essere accolto come è successo qui, con la sala piena, gli applausi. Un’emozione profondissima. Voglio essere quello che continua a fare questo mestiere con gioia, incontrare persone, giornalisti, con curiosità e disponibilità».

Ha dichiarato che non avrebbe mai perdonato Bertrand Cantat, leader dei “Noir Desir” per aver ucciso a pugni Marie Trintignant, attrice e madre del primo dei suoi figli, Paul. Come si fa superare un dramma del genere a un figlio?
«È difficile che parli di lui rispetto a questa terribile storia. Spesso in Francia mi fanno questa domanda, soprattutto quando Cantat è uscito dal carcere dopo solo quattro anni, libero di fare quello che gli pareva. Fare concerti, continuare ad essere idolatrato, mentre la mamma non c’è più. Inoltre i media sono stati omertosi rispetto a Cantat buttando fango su Marie Trintignant e mettendo in dubbio anche la sua rispettabilità, avendo avuto quattro figli da quattro uomini diversi. Come se questo fosse un’attenuante. Paul non vuole parlare, non vuole ricordare l’uomo che gli ha ammazzato la madre e così, la pensano i suoi tre fratelli. Io non lo perdonerò mai».

Oggi i casi di femminicidio sono addirittura aumentati. Com’è possibile secondo lei?
«Credo che tutto questo porta all’educazione degli uomini, alla famiglia, è lì che va sgominata questa piaga terribile. Non si insegna il rispetto, si dà ancora il privilegio all’uomo di essere il più forte. L’educazione è sbagliata: al maschio si permettono determinate cose e alle donne no. Un ragazzo cresce con l’idea di essere superiore. È ancora una questione di possesso. Oggi che le donne stanno avendo una vita indipendente dagli uomini, la situazione si va aggravando. Bisogna insegnare ai figli che l’amore non è possesso, ma indipendenza. La donna deve essere libera di decidere, di rompere un rapporto, di dire di no e niente legittima la violenza». 

Torniamo al cinema. Ha detto che l’amore salva tutto. Può salvare anche il cinema? Perché in Italia va sempre peggio.
«Non è l’amore che può salvare il vostro cinema, perché quello c’è. Avete dei grandi sceneggiatori, dei talentuosi registi, attori e attrici straordinari. L’unica cosa che può salvarvi sono i soldi. In Francia proteggiamo il nostro cinema: se un film americano esce in Francia una parte degli incassi viene versato allo Stato per finanziare il nostro cinema. In Italia non lo fate. Ecco perché produciamo tanto e non temiamo le piattaforme. Inoltre abbiamo una struttura, l’Unifrance, che promuove il cinema francese nel mondo».

L’unica esperienza italiana l’ha fatta proprio con il film Netflix, “L’incredibile storia dell’isola delle rose” con Elio Germano. Come mai questa scelta?
«Adoro Elio Germano, lo trovo un attore straordinario. Ho accettato perché mi piaceva l’idea di lavorare con lui».

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