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Home » Cronaca

Donne che aiutano le donne ad abortire: così decine di volontarie tutelano il diritto all’interruzione di gravidanza

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Telemedicina, gruppi WhatsApp e Telegram: così ginecologhe, ostetriche, studentesse tutelano il diritto all'aborto

Tutto è cominciato con un gruppo di studentesse. Anzi, è ricominciato con un gruppo di studentesse. Scese in piazza per la libera scelta in tema di aborto e l’accesso gratuito ai contraccettivi, sono arrivate allo scontro verbale con l’ex presidente della Camera Laura Boldrini, presente nella stessa piazza. «Andatevene da qui! Perché le donne che sono venute a manifestare per il diritto all’aborto libero e gratuito non ce l’hanno anche per colpa vostra!» hanno urlato. E il video è subito diventato virale, riaccendendo il dibattito: una donna oggi in Italia ha davvero libertà di scegliere per sé stessa?

Secondo il ministero della Salute, sì. Perché analizzando i dati annuali sugli obiettori di coscienza nel nostro Paese conclude puntualmente che, seppur molto alti, questi numeri non pregiudicano l’applicazione della legge 194. E quindi anche il diritto all’interruzione di gravidanza.

Secondo chi invece quel diritto cerca di esercitarlo, cioè le donne, le cose non stanno proprio così: negli ospedali gli obiettori sono troppi, mancano indicazioni chiare su cosa fare e dove andare, e l’iter per una Ivg spesso è una corsa a ostacoli.

E allora, ecco che laddove non arriva lo Stato alle donne ci pensano loro: altre donne. Ginecologhe, ostetriche, studentesse o semplici attiviste. Volontarie organizzate in reti talmente capillari da riuscire a coprire tutta Italia.

È il caso del gruppo Telegram “Ivg spazio alle donne”, nato a ottobre di due anni fa e che oggi conta 134 membri. «Siamo un gruppo di auto e mutuo aiuto, riservato solo a chi voglia interrompere una gravidanza o a chi l’ha già fatto… non vogliamo “guardoni”», racconta con passione e un pizzico di irriverenza fiorentina Roberta Lazzeri, un’attivista tra le più presenti in questa chat. «Si entra mandando una mail a prochoice.rica@gmail.com e raccontando perché ci si vuole rivolgere al gruppo, che a quel punto si attiva per darti una mano». Mano che viene data sia a livello emotivo, con la condivisione di emozioni e consigli, sia a livello pratico. «Appena entri c’è una persona che ti dà il benvenuto, ti chiede a che settimana sei e come può aiutarti e ti accompagna nel tuo percorso», continua Roberta.

Un po’ come le “soccorristas” argentine, insomma: donne formate dall’esperienza che esorcizzano le paure delle altre donne, le indirizzano e poi le accompagnano anche fisicamente in ospedale. Con rispetto e senza giudizio.

Iniziative dal basso come questa si sono moltiplicate con la pandemia, quando, per fronteggiare l’emergenza pandemica, i servizi erano ridotti all’osso. Ma oggi le cose non vanno molto meglio. «Spesso le donne non trovano chi fa loro un’attestazione di interruzione di gravidanza, oppure non sanno come fare e soprattutto dove andare», spiega Marina Toschi, ginecologa e membro della European society of Contraception.

Lei dopo 40 anni di lavoro nei consultori e l’arrivo della pensione, ha deciso che non era certo il momento di smettere di lavorare: nella sua Umbria gli obiettori di coscienza sono il 78 per cento. Così, insieme ad altre cinque dottoresse di Rica pro-choice (la Rete italiana contraccezione aborto per la libera scelta) ha messo in piedi una vera e propria linea aperta, per dare un aiuto medico specialistico a chiunque voglia interrompere una gravidanza.

«È un numero WhatsApp a cui si può scrivere o telefonare, e a cui si accede mandando una mail a info@vitadidonna.it. Rispondiamo tutto il giorno e, a seconda della città da dove ci contattano, ci organizziamo tra noi per seguire al meglio queste pazienti», specifica la dottoressa.

E non è scontato, perché per ogni donna che chiama ci vuole tempo e comprensione. «La prima cosa che facciamo è chiedere alla paziente se si è già rivolta al proprio medico di base o a un consultorio della sua zona e, in caso, la mettiamo noi in contatto con la sua rete locale – continua -. Se invece si è già mossa ma ha trovato degli ostacoli o non riesce a recarsi in consultorio per farsi attestare la volontà di interrompere la gravidanza, possiamo farlo noi online».

Insomma, grazie alla telemedicina, la paziente può collegarsi in videochiamata con queste ginecologhe, fare un colloquio che viene registrato e messo agli atti, mostrare l’ecografia e ricevere un attestato con firma digitale valido per l’ospedale, che poi eseguirà l’ivg. «Nel caso in cui la donna abbia tempi stretti, possiamo fare anche certificati urgenti», specifica Toschi. Perché ricordiamolo: l’interruzione con metodo farmacologico è possibile solo entro le 9 settimane; altrimenti poi c’è il metodo chirurgico, entro le 12 settimane(+ 6 giorni).

Sembra fantascienza, ma in altri Paesi la telemedicina è realtà già da tempo. In Irlanda, per esempio, dove l’aborto non è più reato dal 2018, viene somministrata in telemedicina anche la pillola abortiva Ru 486: dopo una semplice video consultazione con la ginecologa, i due farmaci – il mifepristone e il misoprostolo – vengono inviati via posta all’indirizzo della persona che vuole interrompere la gravidanza, senza così la necessità che si rechi in una struttura sanitaria. La stessa cosa succede anche in Inghilterra, Francia e Portogallo.

Certo, non è sempre facile. «Ci troviamo spesso a schivare gli attacchi dei Pro-life – racconta Lisa Canitano, la ginecologa che ha ideato questa linea aperta e che fa da primo filtro alle richieste di chi chiede aiuto – non sono rare le volte in cui ci scrivono fingendo di essere donne in difficoltà: ci chiedono di fare cose che in Italia sono illegali, come spedire a casa le pillole abortive. Cercano di coglierci in fallo, ma noi qui facciamo tutto secondo legge».

A rendere il lavoro di queste dottoresse così prezioso ma anche complicato c’è la mancanza di informazione. «Una volta c’erano i consultori, che orientavano e davano un supporto psicologico e medico – aggiunge Toschi –. Adesso purtroppo manca il personale, spesso mancano gli ecografi, le strutture non sono mappate… così le persone, soprattutto quelle più giovani, non sanno dove sono e neanche cosa sono».

Per non parlare degli ospedali. In Italia infatti non esiste una mappa ufficiale, “governativa”, di dove si possa fare una interruzione di gravidanza. Per fortuna ci hanno pensato le ginecologhe di Laiga194, la libera associazione italiana ginecologi per l’applicazione della legge 194: hanno letteralmente mappato tutte le strutture che sul territorio nazionale offrono il servizio di Ivg. «Abbiamo chiamato gli ospedali proprio come farebbe una paziente – racconta la dottoressa Silvana Agatone – e così abbiamo costruito una mappa interattiva pubblicata sul nostro sito, dove specifichiamo dove viene effettuata l’Ivg e di che tipo: farmacologica o chirurgica».

Ma non sono solo le ginecologhe a muoversi davanti a questa inerzia di Stato. Le ragazze di “Obiezione Respinta”, nate come collettivo di studentesse universitarie, hanno mappato gli obiettori di coscienza non solo negli ospedali, ma anche in consultori e farmacie. «Abbiamo indicato ciascuna struttura con un segnaposto di colore verde se tutti i servizi vengono garantiti, o con un segnaposto di colore rosso se invece qualcosa non va», racconta Eleonora Mizzoni, una delle prime fondatrici del progetto. E gli utenti possono contribuire a migliorare la mappatura lasciando delle recensioni.

«Ho chiamato per sapere se disponessero della pillola del giorno dopo, ma la farmacista mi ha risposto che in quel momento non avrebbe potuto vendermela in quanto le presenti colleghe erano tutte obiettrici», scrive una ragazza riguardo una farmacia in provincia di Pisa. «Sono due settimane che il consultorio inventa scuse per non certificare la gravidanza», racconta l’utente di un consultorio di Cremona. E così via, struttura per struttura.

«Non siamo solo una vagina e non siamo sceme, sappiamo di avere dei diritti e vogliamo che ci vengano garantiti», dice Serena Mammavi traducendo il famoso proverbio che è diventato lo slogan e il progetto di quest’altro gruppo di attiviste: “’Ccà nisciun’ è FESSA”.

Oggi sono una pagina Instagram, un sito con la mappa dei centri dove fare Ivg nel Comune di Napoli (SOSabortonapoli.com) e un numero di telefono da contattare per avere una bussola in territorio campano, che in quanto a obiettori vanta cifre da record: l’80 per cento. «Siamo 15 persone,  rispondiamo al telefono e accompagniamo anche le donne che hanno bisogno di noi – continua Serena – Condividendo il tuo percorso sai di non essere sola, in due è tutto più facile».

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