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Home » Cronaca

Vittorio Zucconi, chi era il giornalista di La Repubblica morto a 74 anni

Immagine di copertina
Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi chi è

Vittorio Zucconi, storica firma del quotidiano La Repubblica e ex direttore di Radio Capital, è morto all’età di 74 anni il 26 maggio 2019 in seguito a una lunga malattia.

S&D

Nato in provincia di Modena, a Bastiglia, il 16 agosto del 1944, Vittorio Zucconi era figlio del giornalista Guglielmo, direttore del Giorno. L’infanzia la trascorse tra la città natale e Milano, dove, insieme alla famiglia, si trasferì presto e frequentò il noto liceo Parini.

La passione per il giornalismo nasce proprio a ridosso degli anni del liceo, quando Vittorio inizia a scrivere per il giornalino scolastico La zanzara, balzato agli onori della cronaca nel 1966 per un articolo sulla sessualità che portò a processo tre dei suoi redattori.

A La Zanzara Zucconi ha modo di conoscere Walter Tobagi, quello che poi divenne una firma nota del Corriere della Sera e tristemente noto per la morte violenta per mano delle Brigate rosse nel 1980.

Dopo il liceo, Vittorio Zucconi sceglie la facoltà di Lettere e a indirizzo moderno dell’Università degli Studi di Milano, dove si laurea con una tesi sulla storia dei movimenti anarchici italiani. È all’inizio degli anni Sessanta che diventa giornalista.

Il giovane Zucconi prende confidenza con il mestiere scrivendo di cronaca nera milanese, al quotidiano La Notte di Milano. Nel 1969 passa a La Stampa e diventa presto corrispondete, prima da Bruxelles e poi dagli Stati Uniti.

Da La Stampa a La Repubbòlica, dove scrive come corrispondente da Parigi. Sempre all’estero, da Mosca, scrive per il Corriere della Sera, negli anni caldi della guerra fredda. Dopo la Russia è la volta del Giappone: sempre per La Stampa Zucconi scrive da Tokio, per poi tornare a Roma nel 1977.

Sono gli anni di piombo: il terrorismo e l’omicidio Moro catalizzano l’attenzione mediatica. È lui a scoprire gli intrighi del caso Lockheed nel 1976, in seguito al quale l’allora presidente della Repubblica Giovanni Leone si dimise.

Presto, però, Vittorio Zucconi capisce che la sua strada è fuori dall’Italia. Gli Stati Uniti diventano, dal 1985, la sua seconda casa. Da Washington diventa editorialista per La Repubblica. Qui resterà per il resto della sua vita.

Il legame con l’Italia e con il quotidiano La Repubblica non si spezza mai. Fino al 2015 Zucconi è il direttore del web del giornale fondato da Scalfari e fino al 2018 è direttore di Radio Capital (dello stesso gruppo editoriale). Oltre alla radio, Zucconi cura delle rubriche su D – La Repubblica delle Donne e su Kids, dove firma la rubrica Parola di Nonno.

Nel 1985 Zucconi si trasferisce definitivamente a Washington, dove ricopre l’incarico di editorialista dagli Stati Uniti per la Repubblica e dove vive tuttora. Dall’esperienza nata dal suo lavoro come corrispondente e inviato speciale ha tratto il libro Parola di giornalista.

Zucconi è autore di diversi libri. Stranieri come noi, del 1993, diventa una antologia per ragazzi adottata come testo per le scuole medie. Ma diversi sono gli scritti sul giornalismo: Parola di giornalista, edito da Rizzoli nel 1990, è il più noto, ma tanti sono i testi che raccontano le sue esperienze in giro per il mondo nelle vesti di reporter: dagli Stati Uniti al Giappone, passando per la Russia.

Giornalista di spessore, Zucconi riceve vari riconoscimenti: tra i tanti, anche il Premiolino, il premio Tento ma anche il premio “Luchetta” alla carriera e il “Saint Vincent”.

La sua vita privata Zucconi la divide dal 1969 con la moglie Alisa Tibaldi, dal cui matrimonio nascono Chiara e Guido. Vittorio Zucconi è nonno di sei nipoti.

Mario Calabresi, ex direttore di La Repubblica, nel giorno della morte del giornalista lo ricorda così: “Quanta America ci hai raccontato caro Vittorio, ti affascinavano i cowboy ma amavi gli indiani. Eri irrequieto, polemico, sfrontato, non ti tiravi mai indietro e scrivere era la tua vita. Lasci un grande vuoto, Vittorio Zucconi”.

Il Tweet di Mario Calabresi

Uno degli ultimi tweet risale al 2 maggio: “Sono già passate le inutili Europee?”. Un tweet che a leggerlo oggi lascia l’amaro in bocca.

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