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Home » Cronaca

Terremoto centro Italia, 6 anni dopo: cosa è rimasto delle promesse, cosa sarà di quelle terre. Il reportage

Immagine di copertina
credit: ansa foto

La vita nei quartieri prefabbricati. L’edilizia intasata dal bonus. Le leggi da inventare. Nell’Italia delle emergenze, a sei anni dal terremoto, la ricostruzione sta iniziando ora

Passeggiando tra le panchine del quartiere di prefabbricati ai bordi di Norcia sembrano trascorsi solo pochi mesi dal terremoto del 2016. Gli alberi che punteggiano il prato tra le soluzioni abitative di emergenza sono ancora tenuti in piedi con lo spago, come se il tempo si fosse fermato quando la terra nel centro Italia ha iniziato a tremare riducendo in macerie migliaia di case, lasciando senza abitazione circa 65mila persone e causando oltre 300 morti. Sono trascorsi sei anni, secondo i dati forniti dalla Protezione Civile circa 31mila abitanti non sono ancora rientrati a vivere nelle proprie case. Tanti hanno abbandonato il territorio di montagna considerato all’unanimità bellissimo, ma fragile.

La vita nei prefabbricati

«La ricostruzione della mia casa non è ancora iniziata» spiega Fernanda Sammarone del Comitato Rinascita Norcia, «L’ultimo ostacolo è stato il Superbonus 110 a favore dell’edilizia, che ha avuto l’effetto di rendere più difficile la pianificazione della ricostruzione». In poche parole: «le agevolazioni hanno saturato il lavoro degli studi tecnici. Oggi sul territorio non si trova facilmente un professionista disponibile a realizzare il progetto di ricostruzione di una casa».

A Norcia oggi non c’è un ospedale. Per curarsi le persone devono rivolgersi alla struttura di Foligno, a quasi quaranta chilometri di distanza, oppure è necessario andare a Terni, a settanta chilometri. 

Le vie di collegamento con le città più grandi, come ad esempio la galleria delle Forche Canapine, di notte sono chiuse per lavori. Oltre all’ospedale mancano una caserma dei pompieri, una caserma dei carabinieri e il cimitero è dissestato. Le attività lavorative si svolgono prevalentemente nei prefabbricati. 

Ad aggravare la situazione nel 2020 è arrivata l’epidemia di Covid.

Fernanda commenta: «Ha dato il colpo di grazia ad una situazione che era in stand-by. Se dopo il terremoto ci sostenevamo l’un l’altro, con l’epidemia ci siamo sempre più allontanati e le relazioni sociali si sono disintegrate».

Tra i prefabbricati negli spazi verdi non passa quasi nessuno. Solo Elena che stringe la mano di Marco, il suo bambino di un anno: «Io con mio marito e mio figlio viviamo in una Sae (Soluzione abitativa di emergenza) di quaranta metri quadrati. I prefabbricati sono abbastanza comodi. Se hanno il pavimento in ceramica sono ben isolati» e aggiunge «l’unico errore è stata la misura di 40 metri quadrati: sono troppo piccoli. Mio padre che vive in un prefabbricato di quelle dimensioni quando si è ammalato di tumore, durante il Covid-19, non poteva essere assistito facilmente: per stargli a fianco, noi, la famiglia, non sapevamo dove alloggiare».

E continua raccontando perché ha deciso di restare: «Come tanti italiani abbiamo scelto di investire nel mattone. Avevamo appena comprato casa a Norcia e pagavo il mutuo da sei anni, per questo abbiamo scelto di aspettare la ricostruzione. Credevamo ci sarebbero voluti un paio di anni». Ma non è andata così. Mentre tutto si fermava in un tempo sospeso nell’attesa, ciò che invece continuava a scorrere nel silenzio delle case dichiarate inagibili era il contatore della luce, del gas e dell’acqua. Chi non ha avvisato l’azienda dei servizi per l’interruzione della fornitura nelle strutture inagibili, dopo circa cinque anni di sospensione, ha ricevuto bollette per migliaia di euro. Elena racconta: «Con il mio condominio ci siamo dimenticati di staccare la corrente elettrica e adesso abbiamo ricevuto una bolletta di circa 800 euro. Tutto il condominio la dovrà pagare, per fortuna a rate».

Dopo sei anni la ricostruzione è appena iniziata

Il terremoto del centro Italia ha riguardato un’area di 8mila chilometri quadrati colpendo quasi 140 comuni in quattro regioni: Abruzzo, Umbria, Lazio e Marche. Lo sciame sismico è durato otto mesi e le scosse più impattanti sono state quattro. Se la prima con epicentro ad Accumuli ha raso al suolo alcuni paesi come Amatrice e Arquata del Tronto, i terremoti del 26 e 30 ottobre hanno cambiato le proporzioni del danno complessivo moltiplicandolo per oltre dieci volte. L’ultima scossa, quella del 18 gennaio 2017, è avvenuta in concomitanza con una grande nevicata.

Nel settembre 2016 il governo Renzi ha nominato il primo commissario straordinario per la ricostruzione, Vasco Errani, già noto per aver dato il via ai lavori dopo il tragico evento sismico che ha colpito l’Emilia Romagna nel 2012.

«Il piano normativo per la ricostruzione post-sismica nel centro Italia inizialmente ha preso a modello il progetto ideato per l’Emilia Romagna, senza tenere conto delle caratteristiche morfologiche né dell’ampiezza del nostro territorio». Marco, attivista dell’associazione Brigate di Solidarietà Attiva, dal 2016 si è impegnato nell’affiancare le popolazioni terremotate con oltre 800 volontari, fornendo beni di prima necessità, promuovendo la ricerca scientifica sul dissesto idrogeologico del territorio e sugli effetti riscontrati nella popolazione e offrendo, insieme all’organizzazione Alterego, assistenza legale. Nonostante l’Italia sia riconosciuta dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia come territorio a rischio sismico per il 45 per cento – di cui il 70 per cento solo al sud – non esiste oggi una normativa di riferimento da applicare per la ricostruzione.

«Dopo il 2017 sono state compiute modifiche alla normativa iniziale cercando di ideare soluzioni nuove, che però non impattavano appieno nel far partire la ricostruzione». Nel 2017 a Errani è succeduta la dirigente Paola De Micheli, incaricata con il governo Conte Uno e nel 2018 il geologo Piero Farabollini. Nel frattempo sono trascorsi tre anni, dal 2016 al 2019, dopodichè è arrivata l’epidemia. Nel 2020 ha assunto il ruolo di commissario straordinario per la ricostruzione Giovanni Legnini.

Di professione avvocato, dal 2014 al 2018 vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, nel 2020 è subentrato nel procedimento di avvio della ricostruzione. Oggi sta intervenendo in materia di legiferazione. Marco continua: «Con Legnini gli organismi dello Stato hanno riavviato un dialogo con i cittadini allo scopo di semplificare le procedure per la ricostruzione post-sismica e di farlo una volta per tutte per avere una normativa unica. La ricostruzione adesso sembra stia ripartendo».

Nonostante la buona notizia il percorso della ricostruzione continua a trovare nuovi ostacoli. Nel 2022 il conflitto tra Russia e Ucraina, iniziato a febbraio, ha impattato sulla reperibilità dei materiali edili. Per contenerne le speculazioni a maggio è stato pubblicato il nuovo prezzario governativo.

Le promesse dei politici e le speranze dei terremotati

«Prima del terremoto avevo appena ristrutturato con i miei soldi il bar situato nella piazza principale di Arquata del Tronto» racconta Antonio, di professione barista. «Il locale era situato in una zona di passaggio, al tempo lo frequentavano abitanti e turisti. Dopo il terremoto mi è stato offerto un prefabbricato che è stato posizionato ai bordi di un quartiere Sae. Se prima le persone trascorrevano il tempo libero in queste zone, oggi non accade più. Il quartiere è un dormitorio e pochi turisti si fermano a bere qualcosa. Ancora non è stato attuato un piano per la rinascita dei business ed è tutto fermo».

Ma forse c’è speranza. Secondo il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza a luglio è stato sbloccato un fondo che dovrebbe donare nel prossimo futuro nuovo ossigeno alle imprese. Si tratta di circa 700 milioni di euro divisi in 11 bandi per il rilancio economico e sociale delle regioni colpite dal sisma.

Antonio ripensa agli anni in cui la ricostruzione è rallentata, fino quasi a fermarsi: «Abbiamo creduto ai politici quando ci hanno promesso che la ricostruzione sarebbe stata compiuta in tempi brevi. Li abbiamo visti con i nostri occhi arrivare nei paesi dell’Appennino, c’è stato tantissimo interesse che poi è scomparso e ora ci sentiamo abbandonati».

«Per molte delle persone che hanno creduto alla promessa di una veloce ricostruzione post-sisma questa è la fase della disillusione e della rabbia» commenta Roberto Ferri, presidente della Società Italiana Psicologia dell’Emergenza Marche.

«La delusione è dovuta alle tante aspettative alimentate negli anni scorsi dalla politica, nella speranza di una ricostruzione immediata. Desiderio che è andato a sbattere contro la burocrazia italiana e contro tutte le questioni che rallentano il sistema. L’errore dei politici è stato quello di dire che avrebbero ricostruito in breve tempo, quando le caratteristiche del territorio lo rendevano impossibile». Ma la disillusione alimenta disillusione: «I social incanalano questo tipo di sentimento, tendono a sminuire quello che di buono è stato fatto dal governo. I cittadini devono stare attenti perché rischiano di essere strumentalizzati».

Soprattutto in tempo di campagna elettorale, quando la delusione di alcuni per ciò che non è stato fatto potrebbe materializzarsi in voti di protesta.

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