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“Non si può morire a 30 anni”: il surreale silenzio di Trieste dopo la sparatoria

Immagine di copertina
Fiori per ricordare gli agenti uccisi deposti davanti alla Questura di Trieste. ANSA/Alice Fumis

Il sindaco, il parroco, l'ex ispettore: la sfilata silenziosa di Trieste davanti alla Questura dove sono stati uccisi due poliziotti

Di Kevin Ben Alì Zinati, inviato a Trieste – Il nastro bianco e rosso corre teso tra gli angoli della strada. Delimita la zona, isola la Questura in un silenzio surreale. Accanto, invece, in Corso Italia, auto e moto sfrecciano nel tardo pomeriggio di un sabato drammatico a Trieste. Tra le sue mura, due poliziotti, Pierluigi Rotta, 34 anni di Pozzuoli, e Matteo Demenego, 31 anni, di Velletri, sono stati uccisi. A sparare è stata la mano di Alejandro Augusto Stephan Meran, domenicano, 29 anni e affetto da problemi psichici: si trovava in Questura insieme al fratello Carlysle, 32 anni, per un’indagine dopo il furto di uno scooter, è riuscito a sottrarre la pistola in dotazione a Rotta e a fare fuoco su di loro.

Un gruppo di adolescenti costeggia il nastro, lo accarezza, uno di loro allunga il collo per provare a capire che cosa sono quei lampeggianti accesi di fronte alla Questura. Al di là del nastro, il poliziotto ha una voce calma, le parole escono piano, come gocce. “Hanno ucciso due dei nostri, ragazzo”. I loro occhi si incrociano fugaci e a turno sfilano allungando una mano. “Siamo con voi”.

Al di qui del nastro è buio, sul posto giornalisti scrivono e raccontano, gli obiettivi delle telecamere inghiottiscono immagini, volti, gesti. Lì davanti figure vestite di bianco, occhiali e torce si muovono agili e silenziosi, sono gli agenti della Polizia Scientifica. Accovacciati a terra setacciano l’asfalto, sotto le auto, dietro gli pneumatici. Di fronte alla Questura, c’è l’Antico Teatro Romano, è vuoto, osserva.

A passo lento e testa bassa, si allontana Don Stefano Canonico, parroco della chiesa Beata Vergine del Rosario e Cappellano Civico di Trieste, accorso per rendere un abbraccio “al questore e a tutto il corpo di Polizia”. Con lui c’è Salvatore Porro, ex Ispettore di Polizia, oggi in pensione. Lì, ci ha lavorato 30 anni. Gli occhi sono gonfi, la voce rotta. “Trieste non meritava questa tragedia. Non è possibile perdere la vita a 30 anni. I poliziotti sono amati dalla popolazione, è un colpo alla città”.

Il sindaco Roberto Dipiazza è appena passato sotto il nastro bianco e rosso e cammina verso l’ingresso della Questura. Ha annunciato il lutto cittadino e la bandiera tricolore è a mezz’asta. Da un’uscita laterale il medico legale Fulvio Costantinides torna sulla strada per ricontrollare la scena, provare a fare chiarezza. “Non posso dire nulla”. Ha lo sguardo vitreo.

Da lontano, a poche centinaia di metri, clacson e strepitii di auto riempiono l’aria. È la settimana della Barcolana, la città si sta riempiendo. Quando l’ingresso della Questura brilla al blu delle sirene, l’aria è pungente. La ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, fa il suo ingresso in Questura, insieme al presidente del Friuli Venezia, Giulia Massimiliano Fedriga, e al Capo della Polizia, Franco Gabrielli: le salme dei due poliziotti, dei due ragazzi, sono ancora lì.

La Scientifica continua le ricerche, si muove lenta, come in punta di piedi. Il tempo passa, le istituzioni escono e non parlano. Poi più nulla. La mezzanotte è passata da ventidue minuti quando dall’uscita laterale, la stessa che ha usato il medico qualche ora prima, si intravede una luce. Il portone di legno e vetro si apre, i medici escono e adagiano delicatamente sul carro funebre i corpi di Pierluigi Rotta e di Matteo Demenego.

L’auto sfila lenta, davanti alla Questura, sotto la bandiera a mezz’asta, di fronte ai colleghi poliziotti: alcuni fanno il segno della croce, altri salutano sull’attenti. La notte si prende il resto. È tardi e tra poche ore le luci del sole illumineranno le gradinate del’Antico Teatro Romano. Intanto il nastro bianco rosso è caduto, Trieste trattiene il respiro. Ma non è sola.

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