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Il creatore della chat Shoah Party: “Era un gioco, mi è sfuggito di mano, ma ora sono pentito”

Immagine di copertina

Il creatore della chat Shoah Party: “Era un gioco”

Era solo un gioco, che non ha saputo più gestire: si giustifica così il 16enne creatore della chat Shoah Party in cui un gruppo di ragazzi tra i 13 e i 19 anni si scambiava contenuti a sfondo nazista e pedopornografico.

In un’intervista rilasciata a La Repubblica, il ragazzo racconta come è nata e come è degenerata la chat degli orrori che ha portato al coinvolgimento di 25 ragazzi in un’indagine aperta dalla procura di Siena.

Lui, 16 anni, appassionato di fisica quantistica e col sogno di diventare medico, ha creato quella chat solo per ridere: “Ma la situazione mi è sfuggita di mano“, confessa.

“L’anno scorso, ho voluto aprire un gruppo per mandare sticker e “meme”, le immagini con testo e battute sopra, per scherzare di tutto e tutti. All’inizio aveva tutt’altro scopo, solo far incontrare gente e fare ironia. Dopo invece i contenuti sono cambiati e mi facevano ribrezzo, ma non ne sono uscito per pigrizia”, rivela il 16enne, accompagnato dalla madre e dall’avvocato.

L’idea è nata prendendo ispirazione da una pagina Instagram di black humor di un suo amico: “Ho preso questo argomento e l’ho spostato su WhatsApp perché la gente con la stessa passione si potesse incontrare. Non mi aspettavo degenerasse così”.

“Vedendo che la pagina aveva avuto molti follower, più di mille in un mese, spesso ci veniva chiesto dagli utenti stessi di aprire il gruppo su WhatsApp. Ho fatto un sondaggio e con il mio amico l’ho creato e ho messo anche lui amministratore. Ho pubblicato il link e ho scritto: ‘Questo è il nome del gruppo, entrate e fate battute‘”. Nessuna limitazione, specifica il ragazzo alla giornalista di La Repubblica.

Il 16enne non pensava che essere amministratore di quella pagina potesse comportare qualche responsabilità: “Ho sempre pensato che sui social network e su Internet ognuno sia responsabile per ciò che scrive. Inizialmente scrivevo anche io e facevo battute, ma poi ho abbandonato a se stesso il gruppo”.

Dopo qualche tempo gli utenti della chat hanno iniziato a inviare video e foto di violenze su bambini, battute agghiaccianti sul nazismo, sui migranti e sui disabili. “Il mio errore è stato quello di cancellare i file dal mio telefono e di non uscire”, rivela il ragazzino.

Da amministratore non era gli era possibile cancellare quei messaggi orribili, ma solo espellere persone. Lui, invece, si limitava a cancellare foto dal suo smartphone: “Così facevo con tutto quello che era violento o non di mio gusto, cancellavo immediatamente. Mi turbava, lo tiravo via con il dito”.

I genitori non si sono mai accorti di nulla, anche perché, come spiega il 16enne, ha il cellulare dalle medie e lo usa anche per fare altro: “I faccio i compiti, le ricerche. A me interessa la fisica quantistica, guardavo lì le risposte alle mie domande”.

Nella chat non si conoscevano tra loro: gli utenti si nascondevano dietro nickname. I ragazzini si divertivano così: inviando centinaia di meme e immagini durante la giornata. Il creatore della chat Shoah Party spiega che anche il nome della conversazione era tutto un gioco: “Mi piace sdrammatizzare sulle cose, anche sul nazismo e simili, io prendevo tutto in giro, ma non è questa la mia ideologia. Io non sono razzista, ne ho passate tante da piccolo, sono stato discriminato per l’origine della mia famiglia: l’ironia mi serviva per ironizzare anche su me stesso. Preferivo prendere in giro la situazione indipendentemente dall’argomento e dal contesto”.

Quando ha visto i carabinieri piombare in casa all’alba del 16 ottobre non ha capito niente: “Non ho collegato. Poi hanno pronunciato quella parola: pedopornografia, ho capito. Ho letto le accuse: mi sono sentito svenire. Da allora non dormo la notte, ho vomitato per l’ansia. Sono pentito, so che ho sbagliato: ora andrò dallo psicologo, starò lontano per un po’ dal cellulare e per sempre dalle chat”.

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