È l’ora della “Rinascita”: torna la storica rivista che vuole rilanciare il pensiero politico della sinistra
In un Paese narcotizzato dall’immobilismo e dalle politiche meloniane, torna la rivista fondata da Palmiro Togliatti
È l’ora della Rinascita! Torna la storica rivista di cultura politica e influenza culturale che per quasi mezzo secolo è stata il più influente organo di confronto interno al PCI.
Stamattina, in una sala stracolma di Palazzo Ripetta a Roma, Goffredo Bettini, direttore della rivista, ha tracciato il solco di quella che si propone come un organo di rilancio del pensiero politico della sinistra, in un Paese narcotizzato dall’immobilismo e dalle politiche meloniane. Così, dopo quasi trent’anni di inattività, la rivista fondata e diretta da Palmiro Togliatti, che per prima pubblicò le Lettere dal carcere di Gramsci, gli articoli di Piero Gobetti e dei più grandi intellettuali che gravitavano intorno al Partito Comunista, riprende vita grazie a uno degli animatori politici, nonché fondatore del Pd, Goffredo Bettini, al direttore scientifico, già ministro della Giustizia, Andrea Orlando, e a una schiera di intellettuali di natura politica eterogenea e composita del campo progressista italiano. L’eredità è pesante: Rinascita ha registrato tra le sue pagine alcuni dei momenti più importanti del dibattito politico-culturale del Paese; lo scontro tra Palmiro Togliatti ed Elio Vittorini sul concetto di autonomia della cultura dalla politica o ancora l’apertura del dibattito sul compromesso storico con l’articolo Riflessioni sull’Italia dopo i fatti del Cile di Enrico Berlinguer sono stati affrontati in botta e risposta sulle colonne del periodico, che appartengono ormai alla letteratura politica italiana; per tale ragione Bettini si spinge a parlare anche di «conflitto», convinto che solo la dialettica accesa possa scuotere le coscienze di un pensiero armonizzato e prigioniero dei reel a 90 secondi di Instagram.
L’inizio sembra essere promettente: nella sua presentazione, il fautore dell’alleanza Pd–M5S liquida definitivamente il concetto di riformismo quale termine abusato, logoro, equivocato e svuotato del suo stesso significato: «Riformismo è una parola fraintesa, tradita e mal detta. Fuorviante», per questo «lasciamola cadere questa parola ideologica e pratichiamo il cambiamento necessario».
Ha parole precise e misurate anche sulla deriva guerrafondaia europea; è sul tema della pace, infatti, che vengono spesi i pensieri più netti, tutti – ad eccezione dell’intervento di Lucia Annunziata – con un appello esplicito al risveglio dell’Europa, vista come moribonda, immobile e silente. Un’Europa muta di fronte alla guerra e un’Italia sospinta – a suo giudizio – verso un riassetto autoritario sotto il governo Meloni, che spadroneggia sui dilemmi amletici di una sinistra frammentata e ripiegata sulle leadership. In questo quadro, Rinascita viene proposta come strumento per ricostruire un pensiero «radicale», capace di tenere insieme pace, uguaglianza sociale e ricomposizione del campo progressista, in aperta controtendenza rispetto all’effimero dei social, ai ganci di Instagram e TikTok, alla logica del titolo acchiappaclick che sostituisce il ragionamento, e che la classe dirigente – non solo politica – sembra ormai subire e al tempo stesso alimentare, rinunciando all’esercizio minimo della lettura e della riflessione.
Bettini parte dalla guerra. «Equiparare Putin a Hitler è uno sbaglio.» È una presa di posizione verso le parole di Mattarella, senza voler essere un’assoluzione di Putin, ma un rifiuto di quella semplificazione morale che riduce il presente alla fotocopia del Novecento e finisce per legittimare qualsiasi escalation militare. Da qui lo scarto sull’Europa: «L’Europa ha generato la politica, ha fondato la politica, e oggi resta silente.» Una costruzione nata per essere soggetto politico e non solo spazio di mercato, che oggi, nella sua lettura, abdica al proprio ruolo, allineandosi senza voce autonoma alla linea atlantica. Il passaggio successivo è il riarmo: «Alcuni fanno finta di non capire il riarmo europeo accompagnato da grida guerresche nel nome di una difesa comune fondata sulla deterrenza.» Non è in discussione l’idea di una difesa comune, ma il fatto che venga tradotta quasi esclusivamente in aumento della spesa militare e in retorica bellica, senza una corrispondente iniziativa diplomatica.
Il suo discorso tiene insieme geopolitica e questione sociale. «L’Occidente non reggerà isolato, il valore smisurato della sola forza configura un assetto sociale fondato sulla disuguaglianza.» L’ossessione per la forza – economica, militare, finanziaria – produce un ordine interno segnato da diseguaglianze strutturali e da una progressiva desertificazione democratica, fino alla previsione cupa: «Diventeremo volontari e infelici consumatori che non voteranno più.» Cittadini ridotti a consumatori rassegnati, apparentemente liberi, politicamente disattivati. In questo quadro la destra di governo viene descritta come del tutto indifferente ai nodi materiali: «La destra pare del tutto indifferente: lo sviluppo economico e industriale è fermo, i salari sono i più bassi d’Europa, la condizione delle donne è l’ultima in Europa.» Mentre occupa l’agenda simbolica e identitaria, lascia irrisolte le fondamenta della coesione sociale. Da qui il ritratto tagliente della Presidente del Consiglio: «Giorgia Meloni non è la destra sociale: è piuttosto la stabilità della svolta autoritaria, servilismo atlantico, chiusura delle frontiere, repressione legalitaria. Nulla c’è più della sua giovinezza. Così si porta l’Italia alla decadenza.»
In questo scenario di crisi, Bettini intravede però uno spazio: «Appare un’ancora di salvezza, serpeggia delusione: è l’ora di un’alternativa, contingente e futura. Stimolare la crescita è un’esigenza civica: Rinascita sarà un motore politico.» La crescita di cui parla non è solo economica ma civile, culturale, politica. «Serve un cambiamento necessario.»
Da qui la proposta di un campo largo reale: «La Rinascita parte dall’urgenza: serve unità dalla sinistra radicale fino alle forze liberali, laiche e cattoliche. La condizione è smettere con le manovre di vertice.» Non un’ennesima architettura di leader, ma un’aggregazione che si costruisce a partire da nodi concreti: «Salario minimo, tassazione progressiva, necessità di pace: sono temi che non mettono al centro la leadership.»
Il riferimento alla Costituzione è esplicito: «Serve tornare ad alcuni principi fondativi della Repubblica: il ripudio della guerra, la sacralità della persona, delle donne, il rispetto del lavoro.» Non come richiamo retorico ma come piattaforma politica effettiva, con un compito preciso: «Il patto di rimuovere gli ostacoli alla dignità e alla realizzazione dell’individuo è il compito che dobbiamo assumerci.» Il capitalismo contemporaneo viene letto come conquista delle coscienze: «La ricchezza si crea e si fonda sull’egemonia e sulla colonizzazione delle coscienze. La società del benessere e del consumo lascia spine nel corpo e nell’animo.» Per spezzare questa colonizzazione servono soggetti collettivi all’altezza: «Servono partiti in grado di essere intellettuali collettivi: Rinascita vuole aiutare a promuovere tutto ciò.»
Qui si coglie il nesso più profondo con la tradizione delle grandi riviste politiche italiane: luoghi dove l’elaborazione teorica non è separata dalla pratica e dove il pensiero non viene ridotto a didascalia per i post sui social. Non sfugge, tra le citazioni, «l’assalto al cielo», concetto caro alla generazione del ’77, il movimento del «Manifesto contro la repressione» firmato da intellettuali come J. P. Sartre, M. Foucault, G. Deleuze, R. Barthes, P. Sollers e diversi altri, a suo tempo pesantemente attaccato dal PCI.
La suggestione di osare oltre e farlo per dignità, per provare a riaprire uno spazio di conflitto intelligente, critica radicale, organizzazione politica che non si esaurisca nei frame del consumo digitale delle coscienze.
Anche per questo, nel finale, cita «le parole di Francesco, la sua azione profetica: la parola è azione.» In questo incrocio tra memoria delle lotte, Costituzione, critica della guerra e della società dei consumi, Rinascita viene proposta come tentativo di restituire alla parola scritta – e al tempo della lettura e della riflessione – una funzione politica che oggi, nell’epoca dell’effimero social, sembra quasi impossibile e proprio per questo tanto più necessaria.