“Canapa nostra”: il reportage di TPI dalla filiera in Salento che resiste al Decreto Sicurezza
Coltivano legalmente per sfuggire alla disoccupazione. Ma ora la nuova legge mette a rischio quasi tremila aziende e 30mila lavoratori del settore in tutta l'Italia. TPI ha incontrato i rappresentanti del comparto che, nel Salento, promette di resistere
Vernole è un borgo poco distante da Lecce, costellato da cinque minuscole frazioni che lambiscono la costa adriatica. Questo lembo di terra, da cui nei giorni sferzati dal vento di tramontana si può scorgere l’Albania, è dedito in gran parte all’agricoltura e al turismo. Attività che, tuttavia, offrono solo posti di lavoro stagionali e precari. Per il resto, nell’intera provincia non ci sono grandi opportunità. Tra i salentini che hanno scelto di restare, sfidando la tendenza all’emorragia giovanile, ci sono Adriano e Alessandro Margiotta, due fratelli di 42 e 35 anni. Nel 2017 decidono di fondare l’impresa agricola Salento Canapa.
«Lavoravamo nel settore edile, realizzavamo muretti a secco ma, dopo l’ultima batosta – un cliente che non ha pagato una tranche di lavoro pari a migliaia di euro – abbiamo deciso di dire basta. Alessandro aveva il pallino della cannabis light. Io ero timoroso perché mi sembrava un tabù, ma poi mi sono convinto perché quello che produciamo non ha alcun effetto psicotico. Abbiamo fatto dei corsi e ci siamo specializzati. Siamo riusciti a comprare altri appezzamenti oltre a quello di famiglia», racconta Adriano a TPI, indicando strisce brulle e ancora incolte, in netto contrasto con la spianata di terra rossa addomesticata, circondata proprio dai caratteristici muretti a secco e interrotta da serre inondate dal pungente odore della pianta.
La produzione annuale dell’impresa, che impiega oltre ai proprietari altre due persone nei periodi di lavoro più intenso, si aggira attorno ai 400-500 chilogrammi di infiorescenze di canapa, acquistate poi da distributori e grossisti per essere trasformate in olio, prodotti cosmetici, carta, fibre tessili. Il loro business si basa anche sulla vendita di piante da seme certificato ad altri agricoltori che produrranno infiorescenze a loro volta. «I Paesi dell’Est Europa possono contare su minori costi di produzione, ma in Italia abbiamo una qualità più alta perché il nostro è il clima ideale per questo tipo di coltivazione».
Lo scorso 11 aprile il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha firmato il decreto Sicurezza, convertito poi in legge, che contiene, tra l’altro, alcune misure riguardanti proprio la filiera della canapa: l’articolo 18 del provvedimento modifica in senso restrittivo la legge 242/2016, il cui fine era incentivare e sostenere la filiera, e introduce il divieto di tutte le attività legate ai fiori di canapa. L’obiettivo è limitare l’utilizzo della cannabis light, consentendo solo la produzione di semi agricoli. Un provvedimento che in Italia potrebbe condannare alla chiusura o alla delocalizzazione circa tremila aziende, con un impatto su 30 mila lavoratori.
Riconvertire la loro impresa, dicono i fratelli Margiotta, comporterebbe un investimento di circa 70 mila euro. Al momento i due sono sospesi in una sorta di limbo, mentre l’associazione di categoria a cui appartengono, Canapa Sativa Italia, una delle più grandi in Europa, promette di dar battaglia con azioni legali al decreto, ritenuto liberticida e incostituzionale. «Tutte le regioni, anche quelle di centrodestra, sono contro la misura», chiosa Adriano.
In effetti le regioni italiane si sono espresse in modo contrario. In Puglia, dove il settore cannabico è stato promosso attraverso una legge regionale del 2017 e con investimenti di centinaia di migliaia di euro, il gruppo “CON Emiliano” ha presentato una mozione in Consiglio regionale per chiedere al Parlamento di modificare la norma e tutelare il comparto. «Perché una minoranza può decidere le sorti di tante aziende? La coltivazione della canapa è legale in tutta Europa, mentre in Italia si rischia di favorire la criminalità organizzata. Noi, con il nostro lavoro, abbiamo sottratto risorse al mercato nero».
Un sogno resiliente
A mezz’ora di auto da Vernole, poco più a sud di Maglie, cittadina dove nacque Aldo Moro, si trova Vaste, un piccolo comune considerato uno dei siti archeologici più importanti del Salento. La casa e il terreno di Gianluca Carluccio sorgono proprio a ridosso del parco archeologico che ospita resti paleocristiani e bizantini. È qui che l’uomo, 41 anni, ha dato vita nel 2013 alla sua impresa, Vivere la canapa, che oggi porta avanti con l’aiuto dei suoi genitori. «Ai tempi mancava proprio il know-how su questo tipo di coltivazione, soprattutto qui da noi. Ho imparato dagli errori», spiega a TPI, sottolineando quanto il Salento sia il luogo ideale per l’attività «perché abbiamo un microclima particolare: la vicinanza al mare, il caldo soprattutto, le ore di sole che ci sono lungo tutto l’anno». Gianluca, tra i primi nel nostro Paese a produrre infiorescenze di canapa, è stato l’artefice di una rete locale di circa trenta coltivatori, ora dissoltasi a causa delle incertezze legislative che caratterizzano il settore, e si è fatto promotore di una coltura priva di pesticidi e sostanze chimiche in provincia di Lecce e in tutto il territorio nazionale. La sua impresa sorge su un terreno proprio accanto alla casa in cui vive, un’abitazione dal vivace color rosso mattone, immersa nel mezzo di un campo inondato dalla luce adamantina del Salento. Gianluca produce la materia prima che viene conferita ad aziende terze perché la trasformino nel prodotto finale, venduto con il suo marchio. «L’età media di chi lavora in questo settore è più o meno la mia, 35-40 anni. Qui, dove l’offerta lavorativa non è granché, ci siamo letteralmente inventati un mestiere, cercando di impiegare anche altre persone. Ho avviato tante collaborazioni nel corso di questi anni, anche per un senso di convivialità, di ritorno alla terra». Una piccola grande vittoria in un territorio che, negli ultimi dieci anni, secondo i dati della CGIA – Confederazione Generale Italiana dell’Artigianato – di Mestre, ha perso oltre 27 mila abitanti tra i 15 e i 34 anni, registrando un calo nella popolazione giovanile del 15,2 per cento, più del doppio rispetto alla media nazionale.
Gianluca snocciola con passione le infinite proprietà di questa pianta straordinaria. «È il maiale delle piante: della canapa non si butta via niente, dai fiori al fusto, che viene usato per realizzare la fibra per la tessitura e produrre materiali per la bioedilizia e anche la carta. Da un ettaro di canapa in appena sei mesi si ricava la quantità di cellulosa di quattro ettari di foresta equatoriale. Negli anni Trenta è stata usata persino da Henry Ford nella costruzione del telaio delle sue mitiche auto», racconta. E, parlando dei frequenti ostacoli imposti al settore da parte della politica, conclude con amarezza: «Ci sono stati momenti di sconforto e panico. Si è stanchi quando si deve lottare anche per poter lavorare». Ma, considerati alcuni aspetti controversi dell’art. 18 del nuovo decreto e la mancata notifica al TRIS, l’organo europeo che vigila su provvedimenti nazionali potenzialmente lesivi della libera circolazione delle merci nell’Ue, Gianluca coltiva la speranza di poter superare per l’ennesima volta il momento di difficoltà e tornare a lavorare tranquillamente.
Un comparto in crescita
La canapa, varietà di cannabis coltivata per usi industriali e terapeutici, selezionata per avere un contenuto di THC, il principale composto psicoattivo responsabile degli effetti alterati, inferiore allo 0,5 per cento, rappresenta una coltivazione molto duttile, usata anche per la bonifica dei terreni, a basso impatto ambientale e oggi sempre più diffusa in Europa. Ma mentre gli altri Paesi dell’Unione incentivano una filiera dalle grandi potenzialità economiche e occupazionali, l’Italia pare volerla affossare: se negli ultimi anni, infatti, la coltivazione di canapa nell’Ue è aumentata dell’84,3 per cento, soprattutto in Francia, nel nostro Paese lo sviluppo del settore è ostacolato da norme incomplete e ambiguità legislative, specie sulla commercializzazione delle infiorescenze. L’art. 18 del decreto Sicurezza, equiparando la cannabis light a una sostanza stupefacente, trasforma di fatto in reato sia la produzione che il consumo, attività ritenute finora lecite. Il provvedimento parla espressamente di “alterazioni dello stato psicofisico del soggetto assuntore”, in riferimento al consumo di prodotti a base di infiorescenze, comportamento che potrebbe esporre “a rischio la sicurezza o l’incolumità pubblica”. Eppure un contenuto di THC inferiore o pari allo 0,5 per cento non può essere considerato psicoattivo, producendo al massimo un blando effetto tranquillante. «C’è un Paese che non riesce a interrompere il vento proibizionista. Il settore della cannabis light dimostra come ci siano attività che possono essere sottratte alle mafie e all’illegalità», tuona al telefono il deputato di Avs, Marco Grimaldi, che ha presentato degli emendamenti al decreto. «L’azione del governo sembra essere mera propaganda», ci dice con convinzione Duilio Romanello, chimico farmacista e attivista, per il quale si tratta di «una scelta puramente ideologica che però metterà in ginocchio un intero settore sviluppatosi nel frattempo».
Una filiera caratterizzata peraltro da una forte presenza di giovani: secondo i dati di Ici – Imprenditori Canapa Italia, la maggior parte degli operatori e degli amministratori delle circa tremila aziende della filiera ha meno di 35 anni. E a subire gli impatti del decreto potrebbero essere soprattutto le regioni del Sud Italia, in cui il tasso di disoccupazione nella fascia d’età 15-24 anni è più alto rispetto alla media nazionale anche di dieci punti percentuali.
In Puglia, in particolare, sono molte le attività che rischiano di chiudere a causa delle nuove norme. Secondo Alpaa Puglia – Associazione sindacale dei Lavoratori Produttori Agroalimentari e Ambientali – «il provvedimento rade al suolo un settore strategico dell’agroindustria pugliese», condannando oltre 200 piccole imprese, di cui molte a conduzione giovanile, e duemila lavoratori e lavoratrici.
Canapa patriottica?
Intanto a Lecce sono già visibili i primi effetti del provvedimento. Viale dell’Università, una delle arterie principali del capoluogo salentino, è una via alberata, lungo la quale sorgono l’ateneo e il più antico liceo classico della città, incastonata tra il centro storico e il quartiere popolare di San Pio. Qui sorge un negozio di prodotti derivati dalla canapa e semi per l’autoproduzione. È una ventosa giornata primaverile e nella vetrina si notano un distributore automatico semivuoto e due cartelli con la scritta “vendesi” che conferiscono all’attività un aspetto tristemente spettrale. “Attività criminale” è la scritta provocatoria che campeggia invece su uno striscione apparso sulla facciata di un altro rivenditore, “The Flying Monkeys”, nel quartiere “Salesiani”, una zona residenziale a est del centro cittadino. “Tirata su con sacrificio e dedizione, a partire da oggi, grazie al decreto Sicurezza, la mia attività è considerata fuori legge”, si legge sulla pagina Instagram del negozio.
Sembra quasi paradossale vedere oggi queste scene e pensare come, esattamente cento anni fa, Benito Mussolini promuovesse la produzione della canapa tessile, affermando: «La canapa è stata posta all’ordine del giorno della nazione, perché per eccellenza autarchica è destinata ad emanciparci quanto più possibile dal gravoso tributo che abbiamo ancora verso l’estero nel settore delle fibre tessili. Non è solo il lato economico agrario, c’è anche il lato sociale la cui incidenza non potrebbe essere posta meglio in luce che dalla seguente cifra: 30 mila operai ai quali dà lavoro l’industria canapiera italiana».
Un secolo dopo l’impulso dato dal duce, il governo “più di estrema destra della storia repubblicana”, come lo ha definito la CNN all’indomani dell’elezione di Giorgia Meloni, ha varato un provvedimento che potrebbe mandare letteralmente in fumo il settore. A meno che non si aprano nuovi scenari in seguito alla relazione 33/2025 della Corte di Cassazione che ha messo a fuoco tutte le criticità del decreto, evidenziandone rischi di incostituzionalità nel metodo e nel merito, anche in relazione all’art. 18 sulla cannabis light. «Si sente il profumo di vittoria», commentano i fratelli Margiotta.