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Alessandria, il referto medico in ospedale precisa: “Il paziente è omosessuale, ha un compagno stabile”

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Alessandria, referto medico in ospedale: “Il paziente è omosessuale”

REFERTO MEDICO PAZIENTE OMOSESSUALE ALESSANDRIA – “Lavora come cuoco. Fuma circa 15 sigarette al dì, beve saltuariamente alcolici. Nega allergie. Omosessuale, compagno stabile”. Sta facendo molto discutere la vicenda di una singolare lettera di dimissioni di un paziente firmata da medici dell’ospedale di Alessandria, l’azienda ospedaliera Santi Antonio e Biagio. Il caso è stato raccontato dal quotidiano La Stampa (articolo di Valentina Frezzato) e ha fatto il giro della rete.

Nel referto i sanitari hanno indicato l’orientamento sessuale della persona presa in cura, che si era presentata per un forte mal di testa, indicando chiaramente l'”omosessualità” subito dopo allergie e abitudini relative a fumo e alcol, come se si trattasse di una malattia. Ora l’uomo e il compagno valutano se presentare un reclamo formale all’ospedale.

Referto medico Paziente Omosessuale, l’orientamento sessuale nella lettera di dimissioni

Il paziente pochi giorni fa era arrivato al pronto soccorso. Una flebo non ha risolto il suo mal di testa. È stato quindi ricoverato nel reparto di malattie infettive, dove ha incontrato un medico che, viene raccontato, ha prontamente evidenziato: “Ah, lei è gay”. Da quel momento sarebbero partite una serie di comportamenti che l’uomo dice di non essere riuscito a comprendere a pieno, fino a quando, a fine ricovero, ha letto la lettera di dimissioni.

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In quei tre fogli veniva sottolineata anche la sua omosessualità, dopo essere stato sottoposto al test dell’Hiv, con esito negativo.

Secondo Michele Potè, avvocato dell’associazione Avvocatura per i diritti Lgbti-Rete Lenford, il comportamento dei medici è stato “chiaramente discriminatorio” e c’è stata “anche una violazione della privacy perché è un dato sensibile”. Il legale, riporta ancora La Stampa, parla di “comportamento medievale”, perché “l’omosessualità non è una malattia dal 1990”. “Lo trovo molto stigmatizzante. Aver chiesto di sostenere il test per l’Hiv è anche peggio”, aggiunge.

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