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Svimez, l’allarme: nel 2023 recessione e mezzo milione di poveri in più nel Mezzogiorno

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Le Regioni del Sud potrebbero entrare in recessione nel 2023, con un arretramento del Pil dello 0,4 per cento (contro una crescita dello 0,8 per cento del Centro-nord) e mezzo milione di poveri in più. È quanto emerge dal rapporto Svimez presentato lunedì 28 novembre alla Camera: secondo il report del 2022, l’economia italiana il prossimo anno dovrebbe segnare una crescita dello 0,5 per cento, in forte rallentamento rispetto al 3,8 del 2021, anche a causa dello choc energetico, che colpisce di più le famiglie a basso reddito e le imprese concentrate nel Mezzogiorno.

La tendenza registrata dalle Regioni del Sud nel 2021 – una crescita del 5,9 per cento, leggermente al di sopra della media Ue – appartiene ormai al passato, perché a essere più penalizzate dall’aumento dei prezzi dell’energia e dei beni alimentari saranno le famiglie e le imprese meridionali, già colpite da un’industria che non decolla, da giovani che cercano impiego altrove e dal lavoro povero, con salari inferiori ai 10.700 euro lordi annui per il 34,4 per cento dei lavoratori dipendenti. L’anno prossimo dunque la forbice di crescita tra Nord e Sud è destinata a riaprirsi: stando al rapporto l’incidenza delle famiglie in povertà assoluta potrebbe crescere di circa un punto percentuale, salendo all’8,6 per cento, di cui 2,8 punti stimati solo nel Mezzogiorno, contro lo 0,3 del Nord e lo 0,4 del Centro.

Lo choc inflazionistico dovrebbe creare, stando ai dati del dossier, 760 mila nuovi poveri – 287mila nuclei familiari – di cui 500mila al Sud: un dato allarmante ma contenuto rispetto a quello che le conseguenze della pandemia avrebbero potuto generare senza le misure varate dai governi precedenti. Negli ultimi due anni, spiega ancora il rapporto, i bonus stanziati dall’esecutivo per sostenere imprese e famiglie durante il Covid-19 – come il blocco dei licenziamenti, gli ammortizzatori sociali in deroga fino al Rem che si è andato ad aggiungere al Reddito di cittadinanza – “hanno tamponato emergenze sociali e occupazionali che altrimenti avrebbero assunto proporzioni drammatiche”, si legge.

Gli effetti delle misure sono stati positivi anche nel mitigare le disuguaglianze: senza questi interventi, infatti, le famiglie povere sarebbero state quasi 2,5 milioni, quasi 450 mila in più rispetto ai 2 milioni circa del 2020, cui corrispondono oltre un milione di persone in meno in condizione di povertà assoluta (-750 mila al Sud e -260 mila al Centro-Nord). Senza le erogazioni le famiglie in povertà assoluta sarebbero state il 9,4 anziché il 7,7. Nelle regioni meridionali poi, senza sussidi, l’incidenza della povertà assoluta fra le famiglie avrebbe raggiunto un picco di circa 13 famiglie ogni 100, che grazie agli interventi è calato invece di 3,4 punti al Sud e di 4,5 punti nelle Isole.

Ma nel prossimo futuro i rincari delle bollette avranno maggior peso sui bilanci familiari dei nuclei a basso reddito, per cui l’incidenza dei costi “incomprimibili” dell’energia arriva a coprire circa il 70 per cento dei consumi totali: persone maggiormente concentrate nel Sud Italia. Le politiche nazionali, avverte il rapporto, dovranno quindi assicurare continuità alle misure contro il caro energia e accelerare il rilancio degli investimenti pubblici e privati. “Il Pnrr è l’ultimo treno per ricomporre la frattura Nord Sud ed esprimere il potenziale dell’Italia in Europa”, ha dichiarato il direttore di Svimez Luca Bianchi durante la presentazione del rapporto a Montecitorio.

 

 

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