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“Mio nonno, invalido al 100%, legato al letto e abbandonato 48 ore fra le barelle del Pronto soccorso”

La storia di Michele avviene nell'ospedale Bonomo di Andria, in Puglia, dove ai tempi del Covid gli infermieri e i medici si ritrovano con triage e reparti sovraffollati. Il racconto dei familiari attraverso foto e audio:

 

[Nel video qui sopra: il dialogo tra i familiari di Michele Lovecchio e le infermiere dell’ospedale di Andria]

“Abbiamo trovato mio nonno legato al letto, in una stanza affollatissima, sporco di vomito e di pipì. Nessuno lo aveva cambiato nelle 48 ore da quando era entrato in pronto soccorso, nessuno aveva aperto la borsa che avevamo lasciato, con i vestiti puliti e le indicazioni per le sue terapie abituali. E anche se mio nonno è invalido al 100 per cento, non ci lasciavano entrare per assisterlo”. Con la voce rotta e molta preoccupazione, la nipote Nicole racconta a TPI le condizioni con cui lei e la sua famiglia hanno trovato Michele Lovecchio, 70 anni e un’invalidità totale a causa di un ictus avuto 16 anni fa, all’ospedale Bonomo di Andria, in Puglia, dove è ricoverato dal 24 gennaio scorso per problemi respiratori.

L’arrivo in ospedale

Dall’inizio del nuovo anno Michele respirava affannosamente e, dopo aver escluso il Covid, i medici ipotizzano una fibrosi polmonare. Nonostante una terapia cortisonica, le condizioni peggiorano fino a rendere indispensabile  l’uso dell’ossigeno ben tre volte al giorno. Domenica 24 Gennaio la famiglia chiama il 118 e viene trasferito all’ospedale di Andria.

“Qui – spiega Nicole – rimane sporco di pipì e vomito sulla stessa barella dalle 11 e 30 del mattino fino a che, secondo quanto riferitoci dal personale del pronto soccorso, intorno alle 20 gli viene somministrata una trasfusione sanguinea e successivamente spostato in un letto arrangiato. Il triage sembrava una macelleria, con tantissime persone che entravano e uscivano. Nonno aveva un telo quasi accartocciato su delle lenzuola sporche di sangue di non si sa chi. Con la maglia sporca di vomito del giorno prima, senza pantaloni, con il pannolone e coperto dal plaid portato da casa“. A testimoniarlo sono le foto e i video fatte da Marco, il figlio di Michele.

Il Covid ha peggiorato la situazione

A causa dei protocolli per il Coronavirus, alla famiglia di Michele viene vietata la possibilità di una visita, anche se nel caso di invalidità al cento per cento è permessa l’assistenza di una persona, anche in pandemia. “Finalmente, 48 ore dopo il ricovero – dice Nicole – un’infermiera molto gentile ha fatto entrare mio zio, ovvero suo figlio. Che quasi non è riuscito a riconoscerlo: non aveva la forza di aprire gli occhi, era legato ed era in uno stato di incoscienza”.

Come in molti altri casi, l’emergenza Sars Cov-2 ha peggiorato un sistema sanitario già in affanno. Avevamo per esempio raccontato la storia di Valentina, che è stata operata in ritardo a un tumore all’utero perché l’ospedale Belcolle di Viterbo era intasato dai pazienti Covid. Ma ciò che è accaduto a Michele ad Andria ha dell’assurdo.

“Un diavolo a quattro”

Nel dialogo risalente al 25 gennaio tra il figlio di Michele e le infermiere dell’ospedale (che trovate nel video in testa all’articolo), alla domanda sul motivo della contenzione meccanica, si sente chiaramente la risposta “ha fatto il diavolo a quattro per tutta la notte”. E per quanto una persona con ictus possa agitarsi durante la notte in un posto sconosciuto, va ricordato che stiamo parlando di un settantenne dichiarato dalla Commissione Medica “invalido con necessità di assistenza continua non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita L.508/88”, che respirava male e non riusciva a parlare da giorni, in un letto con le sponde. Nicole, Marco e tutta la famiglia a quel punto sono disperati e si rivolgono alla Polizia e all’amministrazione sanitaria.

Coma o non coma?

“Per una dubbia coincidenza – continua la nipote del paziente ricoverato – immediatamente dopo ci hanno chiamato dal reparto di medicina generale per avvisarci di aver preso in carico il caso di nonno, riferendoci che era arrivato nel loro reparto in gravi condizioni, aggiungendo che era in coma, cosa poi non dimostratasi vera negli esami svolti, ma probabilmente detta avendolo visto arrivare del tutto privo di sensi, ma comunque spostato d’urgenza in terapia intensiva. Fatto sta che alle 10:53 del 26 gennaio era legato ad un letto perché “incontenibile” e alle 12:16 risultava in coma”, racconta allibita Nicole. In effetti, dall’ospedale confermano che “dalla cartella clinica il paziente all’uscita dal pronto soccorso risulta essere in coma di primo grado”.

[Di seguito la telefonata in cui i medici dicono ai familiari che Michele “è in coma”]

 

La risposta dell’ospedale

Al momento Michele è uscito dal coma di primo grado e si trova nel reparto di medicina interna. La sua situazione resta molto grave e la prognosi riservata. Dalla direzione sanitaria dell’ospedale di Andria hanno spiegato a noi di TPI che “il paziente è stato curato nel migliore dei modi possibili, nelle possibilità di medici e infermieri già sovraccarichi a causa del Covid”. Rispetto alla contenzione e a quelle stringhe che per 48 ore hanno tenuto il 70enne legato al letto hanno riferito che “era in stato confusionale ed era l’unica possibilità per tenerlo calmo in quelle condizioni”.

Respirare non è difficile solo per Michele, anche Nicole fatica. Dopo tante sventure le manca l’aria, ma non il coraggio di lottare per far uscire suo nonno da questa difficile situazione.

Leggi anche: 1.“Fiumi di perdite di sangue, ma il tumore viene operato in ritardo perché l’ospedale è intasato dai pazienti Covid” / 2. In Campania mancano 350 medici ma i bandi per le assunzioni sono fermi al 2018

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