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La Procura del Cairo: “Regeni era sospetto, dai pm italiani conclusioni errate e inaccettabili”

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La procura egiziana respinge ufficialmente le conclusioni delle indagini della procura di Roma sull’omicidio di Giulio Regeni che hanno portato alla richiesta di processo per quattro agenti egiziani. “La procura ha esaminato le accuse dall’autorità investigativa italiana a quattro ufficiali e un agente di polizia e ha finito per escludere tutto ciò che era stato loro attribuito. Ed è emerso che tutti i sospetti presentati dall’autorità investigativa italiana erano il risultato di conclusioni errate, illogiche e inaccettabili dalle norme penali stabilite a livello internazionale”.

Lo scrive la procura egiziana in una nota. Per Il Cairo la magistratura romana si è basata su “fatti e prove errati, che costituivano uno squilibrio nella percezione dei fatti”. Per questo il procuratore egiziano ha fermato il procedimento perché “al momento non è noto il responsabile del rapimento, della tortura e dell’uccisione di Regeni”.

Il 10 dicembre scorso, la Procura di Roma aveva notificato, con le norme previste per gli indagati ‘irreperibili’, la chiusura delle indagini per il rapimento, le torture e l’omicidio di Giulio Regeni. Secondo la Procura, i quattro ufficiali della National security agency responsabili della morte di Giulio sono: Sabir Tariq, generale presso il Dipartimento della sicurezza nazionale; Ibrhaim Kamel Athar, colonnello, direttore di ispezione presso la Direzione della sicurezza di Wadi-Al-Jadid; Helmy Uhsam, colonnello, già in forza alla Direzione della sicurezza nazionale; Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, maggiore del servizio presso la sicurezza nazionale. La procura di Roma ne chiede il giudizio con un atto di accusa di 94 pagine firmato dal procuratore capo Michele Prestipino e dal sostituto Sergio Colaiocco.

Il comportamento di Giulio Regeni in Egitto “era sospetto” per questo è finito nel mirino prima degli agenti, “che lo hanno scagionato”, e poi probabilmente dei “responsabili del suo rapimento e della sua uccisione con l’obiettivo di incolpare le autorità egiziane”, si legge ancora nella nota della Procura egiziana. “Il comportamento della vittima non coerente con la ricerca che stava conducendo è stato un motivo sufficiente per i servizi di sicurezza per esercitare il loro lavoro e il loro dovere legale di seguirlo attraverso procedure di indagine amministrativa che non limitavano la sua libertà o violavano la sacralità della sua vita privata, dopo che si è messo in una condizione di sospetto”, prosegue la nota.

“È stato confermato che, nonostante questo comportamento sorprendente, le indagini hanno concluso che le sue azioni non costituivano reati contro la pubblica sicurezza. Pertanto, le indagini su di lui si sono interrotte a questo punto e non sono state prese misure legali nei suoi confronti”, scrive ancora la procura.

“Il comportamento della vittima e i suoi movimenti non consoni erano ormai noti. Persino la denuncia nei suoi confronti era diventata di dominio pubblico. Ed è stata sfruttata da una persona sconosciuta e determinata a commettere il suo crimine sulla vittima, scegliendo il 25 gennaio 2016, sapendo che la “sicurezza egiziana” era impegnata in quel momento nel proteggere punti fondamentali La vittima (Regeni, ndr) è stata rapita, detenuta e torturata fisicamente per addossare l’accusa al personale di sicurezza egiziano. E in concomitanza con la visita nel Paese di una delegazione economica, la vittima è stata uccisa e il suo corpo è stato gettato in un luogo vitale vicino a importanti strutture della polizia”, è l’ipotesi dei magistrati del Cairo.

Le testimonianze

Giulio Regeni è morto per insufficienza respiratoria acuta a causa delle imponenti lesioni di natura traumatica provocate dalle percosse da parte del maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. Lo sostengono il procuratore Michele Prestipino e il pm Sergio Colaiocco nell’avviso di conclusione delle indagini. A Sharif sono contestate infatti, oltre al sequestro di persona pluriaggravato, anche le lesioni gravissime e l’omicidio. “Al fine di occultare la commissione dei delitti suindicati, – si legge nelle carte – abusando dei suoi poteri di pubblico ufficiale egiziano, con sevizie e crudeltà, mediante una violenta azione contusiva”, che “esercitava sui vari distretti corporei cranico-cervico-dorsali, cagionava imponenti lesioni di natura traumatica a Giulio Regeni da cui conseguiva una insufficienza respiratoria acuta di tipo centrale che lo portava a morte”.

“Ho visto Giulio ammanettato a terra con segni di tortura sul torace”. Questo è il racconto fornito da uno dei cinque testimoni  (il test Epsilon) sentiti dai magistrati di Roma nell’ambito dell’inchiesta sull’omicidio di Giulio Regeni. La sua testimonianza è stata citata oggi dal pm Sergio Colaiocco nel corso dell’audizione davanti alla commissione di inchiesta sulla morte del giovane ricercatore friulano.

“Ho lavorato per 15 anni nella sede della National Security dove Giulio è stato ucciso – ha dichiarato il testimone -. È una villa che risale ai tempi di Nasser, poi sfruttata dagli organi investigativi. Al primo piano della struttura c’è la stanza 13 dove vengono portati gli stranieri sospettati di avere tramato contro la sicurezza nazionale. Il 28 o 29 gennaio ho visto Regeni in quella stanza con ufficiali e agenti. C’erano catene di ferro con cui legavano le persone, lui era mezzo nudo e aveva sul torace segni di tortura e stava blaterando parole nella sua lingua, delirava. Delirava, era molto magro. Era sdraiato a terra con il viso riverso, ammanettato. Dietro la schiena aveva dei segni, anche se sono passati quattro anni ricordo quella scena. L’ho riconosciuto alcuni giorni dopo da foto sui giornali e ho capito che era lui”.

Riferisce il teste Delta: “Il 25 gennaio, mentre ero nella stazione di polizia di Dokki, potevano essere le 20 o al massimo le 21, è arrivata una persona… Avrà avuto tra i 27 e i 28 anni, aveva una barba corta, indossava un pullover, verosimilmente tra blu e grigio, se non ricordo male con una camicia sotto… Si esprimeva in italiano e ha chiesto un avvocato… Sono sicuro che si trattasse di Giulio Regeni. Nelle foto che ho visto su internet aveva la barba più lunga”.

“Mentre ero alla stazione di Dokki ho visto arrivare il ragazzo che solo successivamente ho riconosciuto come Giulio Regeni che, mentre percorreva il corridoio, chiedeva di poter parlare con un avvocato o con il Consolato. In quel frangente ho visto bene il ragazzo italiano, che arrivava con quattro persone in abiti civili. Contestualmente ho visto uno di questi quattro soggetti con un telefono in mano”. Più avanti Delta precisa che Regeni “è stato fatto salire su un’auto modello Shine, è stato bendato e condotto in un posto che si chiama Lazoughly. Uno dei poliziotti che si trovavano lì veniva chiamato Sherif… un altro si chiamava Mohamed, ma non so se è il vero nome”.

Leggi ancheRegeni, l’Egitto non collabora e abbandona l’inchiesta nel silenzio di Conte e Di Maio

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