Modena, uccise moglie e figlia a fucilate: evita l’ergastolo perché spinto da “motivi umanamente comprensibili”

Modena, uccise moglie e figlia a fucilate: evita l’ergastolo
Fa discutere la sentenza della Corte di assise di Modena che ha condannato a 30 anni, evitandogli l’ergastolo, un uomo che aveva ucciso a fucilate moglie e figlia.
La vicenda risale al 13 giugno 2022 quando Salvatore Montefusco, imprenditore 72enne, uccise a colpi di fucile la moglie Gabriela Trandafir, 47 anni, e la figlia della donna, Renata, di 22 anni.
Per il doppio femminicidio, la procura aveva chiesto due ergastoli ma lo scorso ottobre l’uomo è stato condannato a 30 anni. Ora sono state depositate le motivazioni che hanno portato la Corte di assise di Modena e che sono destinate a far discutere.
Nella sentenza, visionata dall’Ansa, il gesto dell’uomo viene giustificato in ragione “della comprensibilità umana dei motivi che hanno spinto l’autore a commettere il fatto reato”.
“Arrivato incensurato a 70 anni, non avrebbe mai perpetrato delitti di così rilevante gravità se non spinto dalle nefaste dinamiche familiari che si erano col tempo innescate” si legge ancora.
Secondo i giudici è “plausibile”, così come raccontato dall’uomo, che quando la moglie gli disse per l’ennesima volta di lasciare la casa questo “abbia determinato nel suo animo, come dallo stesso più volte sottolineato, quel black-out emozionale ed esistenziale che lo avrebbe condotto a correre a prendere l’arma”.
La sentenza ha scatenato la rabbia dei familiari delle due vittime che hanno commentato attraverso le parole della legale Barbara Iannuccell: “La giovanissima vittima, Renata Trandafir, voleva fare l’avvocato per acquisire gli strumenti con cui difendersi dalle quotidiane violenze a cui lei e sua madre erano sottoposte. Oggi le è stata risparmiata l’esperienza di comprendere il perché uno spietato assassino di due donne inermi possa essere destinatario di tanta benevolenza. Circostanze attenuanti generiche che spazzano via qualunque circostanza aggravante per… umana comprensione. Navighiamo tutti in un mare di forte incredulità”.
Secondo i giudici il movente “non può essere ricondotto e ridotto a un mero contenuto economico”. Ma è piuttosto da riferirsi “alla condizione psicologica di profondo disagio, umiliazione e enorme frustrazione vissuta dall’imputato, a cagione del clima di altissima conflittualità che si era venuto a creare nell’ambito del menage coniugale e della concreta evenienza che lui stesso dovesse abbandonare l’abitazione familiare”.