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L’infiltrato nei clan tradito dallo Stato

Immagine di copertina
Luigi Ilardo con le figlie Luana e Francesca

Nel ‘96 l’ex boss Luigi Ilardo fu ucciso mentre collaborava in incognito con la giustizia. La figlia ora punta il dito contro i Ros. Che poco prima dell’omicidio commisero un errore fatale che lo condannò. Ecco il contenuto del verbale secretato

C’è una storia non raccontata nell’incredibile vicenda umana di Luigi Ilardo, ex boss di Cosa Nostra che, dopo dieci anni di carcere, nel 1993 decise di mettersi nelle mani dello Stato agendo come infiltrato. L’uomo che, per citare il giudice Nino Di Matteo, dopo tre anni di intensa e fruttuosa attività sotto copertura fu in lizza per divenire «il pentito più importante dopo Tommaso Buscetta», ma che venne finito a colpi di pistola una manciata di giorni prima di fare il “grande passo” verso la collaborazione con la giustizia.

Lo scopriamo dalla viva voce di Luana Ilardo, sua figlia, recuperando e pubblicando i contenuti di quella parte di audizione – sino ad oggi rimasta segreta – resa da quest’ultima davanti alla Commissione Antimafia il 16 novembre del 2021. 

Ma facciamo un passo indietro. Sotto l’“ala protettiva” del colonnello Michele Riccio, in un primo momento applicato alla Dia e poi passato al Ros dei Carabinieri, in qualità di infiltrato Luigi Ilardo contribuì a fare arrestare una cinquantina di “uomini d’onore”, tra cui i vertici mafiosi della Sicilia orientale, puntando il dito anche contro i suoi potentissimi cugini della famiglia Madonia. 

Il 31 ottobre 1995, Ilardo riuscì addirittura ad organizzare un incontro con l’allora capo di Cosa Nostra Bernardo Provenzano, portando lo Stato italiano a un passo dal padrino corleonese, che però non venne catturato dagli uomini del Ros.

Giudicati al processo per la mancata cattura di Provenzano, gli ufficiali Mario Mori e Mauro Obinu sono stati assolti «perché il fatto non costituisce reato», sebbene la sentenza evidenzi una lunga serie di «zone d’ombra» sul loro operato. Sei mesi dopo, il 10 maggio 1996, Luigi Ilardo venne finito a colpi di pistola a Catania, sotto casa sua.

Punendo i mafiosi responsabili, i giudici non hanno escluso l’attività di una “talpa” istituzionale dietro all’omicidio e alla Procura di Catania è tuttora aperto un fascicolo circa i possibili mandanti esterni del delitto con un Mod.21 (registro delle notizie di reato a carico di persone note).

Pochi giorni prima di essere ucciso, il 2 maggio, Ilardo si era incontrato alla sede del Ros di Roma con Giancarlo Caselli e Giovanni Tinebra, procuratori di Palermo e Caltanissetta, a cui aveva ufficializzato la sua decisione di collaborare con la giustizia. Ma il tempo non ci fu, poiché l’infiltrato venne ammazzato quattro giorni prima dell’inserimento nel programma di protezione. 

A raccogliere il cadavere di Luigi Ilardo fu sua figlia Luana, che da anni si batte per la ricerca di verità e giustizia sulla morte del padre. La donna è stata ascoltata poco più di un anno fa in Commissione Antimafia, dove ha enucleato una lunga serie di punti oscuri sulla gestione dell’attività di informatore del padre e di retroscena sul periodo subito antecedente alla sua morte. 

Il 23 settembre 2021, poco prima dell’audizione di Luana Ilardo, gli ex ufficiali del Ros dei carabinieri Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno erano stati assolti dal reato di violenza o minaccia a corpo politico dello Stato al processo sulla Trattativa Stato-mafia: le motivazioni della sentenza, pubblicate il 6 agosto 2022, hanno sancito come la latitanza di Provenzano venne «favorita» in maniera «soft» dallo stesso Ros, che negli anni caldi delle stragi di mafia si sarebbe inserito nella spaccatura interna a Cosa Nostra decidendo di dialogare con l’ala “moderata” della mafia, guidata da Provenzano, al fine di disinnescare il disegno dell’ala “stragista” capitanata da Riina. 

L’audizione in Commissione di Luana Ilardo, della durata di 2 ore e 37 minuti, si blocca dopo un’ora e 23. Nella parte di intervento rimasta fino ad oggi segreta per volere della stessa Luana, la donna lancia un duro j’accuse nei confronti di un ufficiale del Ros di Caltanissetta incaricato dal suo capo Mario Mori di affiancare Michele Riccio nelle operazioni di cattura dei mafiosi a seguito delle rivelazioni di Ilardo.

«Recentemente, durante i miei continui studi e ricerche di verità, riascoltando il processo di primo grado riguardo la morte di mio padre ho appreso, come affermato dal capitano Damiano in sede d’esame, che lo stesso ha fatto notificare inspiegabilmente da due suoi “fidatissimi” uomini il documento di differimento pena di Luigi Ilardo» non alla sua casa di Catania, bensì «presso l’abitazione in Gela di Maria Stella Madonia, sorella di Giuseppe Madonia», ha affermato la signora Ilardo.

Ma Giuseppe “Piddu” Madonia, cugino di Luigi Ilardo, non era un personaggio secondario, bensì uno dei più sanguinari boss di Cosa Nostra: vicinissimo a Bernardo Provenzano, recluso al 41-bis dal 1992 e ora pluriergastolano, è stato anche giudicato colpevole come mandante dell’omicidio di Luigi Ilardo; la stessa Maria Stella Madonia, strettamente legata a Giuseppe (andava a trovarlo in carcere a cadenza mensile), sarà stata arrestata nel 1998 insieme a Giovanna Santoro, moglie del fratello, nella cornice di una maxi-operazione condotta contro uomini d’onore e gregari di Cosa Nostra scaturita da quel “Rapporto Grande Oriente” nato proprio dalle informazioni fornite da Ilardo.

La notifica di cui parla Luana Ilardo – che avrebbe appunto avuto come protagonista il capitano dei Ros nisseni Antonio Damiano – avvenne pochi giorni prima della morte di suo padre. 

«Questa gravissima circostanza della notifica del differimento pena di mio padre direttamente a casa Madonia a Gela e non nella sua residenza catanese, dove peraltro era in fissa dimora da oltre quarant’anni, luogo in cui ha sempre ricevuto qualsiasi atto, è stato un palese “avviso” alla famiglia mafiosa nissena che a mio padre, in quel momento storico, veniva concesso uno “strano” e sicuramente “anomalo” beneficio di libertà», si legge nella parte di deposizione fino ad ora rimasta segreta resa dalla donna davanti alla Commissione.

Secondo Luana Ilardo, in altre parole, la notifica presso la casa dei cugini mafiosi di quel provvedimento, che riguardava la sospensione dell’esecuzione di un residuo di pena concessa a Ilardo proprio per la sua attività di informatore, potrebbe aver costituito agli occhi dei mafiosi la “prova del nove” circa la collaborazione con lo Stato che il padre stava segretamente portando avanti. 

Tale episodio, passato completamente in sordina dal punto di vista mediatico, fu effettivamente citato al processo sull’omicidio di Luigi Ilardo dallo stesso Damiano il 24 aprile 2015.

«Ci fu un’occasione, non ricordo se poco prima o poco dopo il 2 maggio (data dell’incontro di Ilardo con i magistrati, ndr), in cui dovevamo notificare un atto che riguardava Ilardo. Poiché lo andammo a notificare a Gela presso una sua parente, che poi era la sorella di Madonia, mandai due persone del mio ufficio. Non ricordo se quando mandai queste due persone, che chiaramente godevano della mia massima fiducia, gli riferii che la notifica di quest’atto serviva per la gestione del rapporto fiduciario con l’Ilardo oppure no né sono in grado di dirvi se autonomamente l’avessero capito […] credo che l’atto fosse legato o all’elezione del domicilio… sicuramente si trattava di un atto legato a un procedimento di sospensione o di ritardo di una pena che lui doveva finire di scontare in carcere […] quale fosse l’atto in particolare non me lo ricordo, credo fosse stato emanato dall’autorità di Caltanissetta, perciò c’era la necessità di andare a notificarlo». 

Nella requisitoria del medesimo processo, il pm Pacifico espresse sul punto le sue perplessità: «Il colonnello Damiano ci dice candidamente che personale del Ros di Caltanissetta si recò a Gela, perché Ilardo avrebbe eletto il suo domicilio a Gela, a notificare a un parente dell’Ilardo un provvedimento di differimento di esecuzione pena. Ora, mi dovete perdonare, ma non ho mai visto personale del Ros che si mette a fare le notifiche […]. Ci troviamo nel cuore di una famiglia mafiosa: se io, parente di un mafioso, mi vedo notificare un ordine di differimento di esecuzione pena addirittura dal personale del Ros, qualche domanda me la pongo. […] Questa fu una gravissima negligenza nella gestione e nel mantenimento della segretezza della posizione di Ilardo».

«L’atto in un primo momento doveva essere “trattato” dal Tribunale di Sorveglianza di Messina – continua Luana Ilardo nel suo intervento –, ma Riccio, che gestiva l’infiltrazione di mio padre, lo fece “richiamare” per la trattazione alla Procura di Caltanissetta, operazione concordata preventivamente con il procuratore Tinebra, che avrebbe dovuto gestire la situazione in maniera discreta. Atto, peraltro, che fu ritirato personalmente dal Tribunale di Sorveglianza di Messina dal colonnello Riccio in compagnia del capitano Damiano».

«Gravissimo è il fatto che questa azione compiuta dal capitano Damiano sia fuori da ogni comprensibile logica di buon senso, dato che era perfettamente a conoscenza della situazione e della posizione di mio padre, poiché il Damiano sapeva benissimo che Luigi Ilardo abitava e gravitava sul territorio di Catania in quanto lui stesso personalmente accompagnò, in diverse occasioni, il colonnello Riccio ad incontri con mio padre nel catanese e addirittura nelle zone limitrofe alla nostra abitazione di cui conosceva perfettamente il sito».

La figlia di Ilardo non si dà pace: «Mio padre non ebbe mai un solo giorno della sua vita residenza a Gela e ancora oggi io mi chiedo come un Ufficiale di tale esperienze e di comprovata conoscenza dei fatti possa far notificare un atto cosi riservato e personale, non solo ad una donna, piuttosto che a un uomo, ma addirittura farlo notificare in quella famiglia di cui mio padre aveva accusato e denunciato le malefatte, tanto da farne in seguito trarre in arresto i componenti», ha dichiarato davanti a una Commissione ammutolita. 

Occorre comunque ricordare che Antonio Damiano non risulta essere mai stato indagato né imputato per nessuno di questi fatti. Al processo per l’omicidio di Luigi Ilardo, così come a quello per la mancata cattura di Provenzano, l’ufficiale dei carabinieri è sempre stato chiamato a deporre in qualità di teste.

«Avevo fatto secretare questa parte di audizione richiedendo espressamente alla Commissione Antimafia di rintracciare la notifica proprio per evitare che quel documento venisse fatto sparire – riferisce Luana Ilardo a TPI – ma a quanto pare in Procura non ce n’è più traccia. Mi batterò con tutte le mie forze per averlo».

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