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Il dolore di Noa Pothoven raccontato nella testimonianza dell’amico: “Il suo male di vivere ha origini lontane”

Immagine di copertina
Noa Pothoven

Intervista amico Noa Pothoven | Dan Brouwer, 22 anni, era grande amico di Noa Pothoven, la 17enne olandese che si è lasciata morire per sfuggire alla disperazione della sua esistenza.

S&D

In un’intervista a Repubblica pubblicata venerdì 7 giugno, Dan Brouwer racconta aspetti inediti della vita e della personalità di Noa, che il ragazzo ha incontrato per l’ultima volta nel giorno in cui lei ha smesso di assumere cibo.

Non si dà pace, Dan, “perché se n’è andata via troppo presto e perché c’erano sicuramente altre strade da percorrere per salvarle la vita”. Eppure, il 22enne sembra comprendere il dolore dell’amica, le ragioni che l’hanno spinta a quel gesto.

“Quel giorno,  Noa era già sedata- esordisce Dan- Parlava con un filo di voce, sorrideva mestamente, era serena. Il dolore psicologico può essere più feroce di quello fisico”, spiega.

Un dolore, quello di Noa, talmente insopportabile da rendere preferibile la morte, che per lei equivaleva alla fine delle sofferenze.

Per quanto Dan e Noa fossero amici lei non gli ha mai parlato dell’origine del suo male, ma solo delle sue conseguenze. Le violenze fisiche subite dalla ragazzina (la prima risale a quando aveva 11 anni) non erano argomento di discussione.

Intervista amico Noa Pothoven | Lo erano invece i problemi alimentari, l’anoressia e le riflessioni su quel sistema medico-sanitario “infernale e umiliante”.

“Sopportava molto male tutto l’apparato medico-sanitario che da anni l’aveva inghiottita. Era diventata intollerante alle cliniche, ai farmaci, agli stessi psichiatri”.

“Credo che una delle ragioni che l’hanno spinta a farla finita sia proprio la ‘medicalizzazione’ del suo male. Del resto è stata lei stessa a parlare nella sua autobiografia degli ‘infernali trattamenti sanitari obbligatori’ e delle ‘umilianti misure coercitive’ a cui doveva sottostare”.

Secondo Dan, i genitori non avrebbero potuto fare niente di più per salvare Noa. Le terapie infatti non dipendevano da loro ma dalle diverse cliniche e dai diversi medici a cui si affidavano.

Ed è proprio contro di loro, contro i medici che avrebbero dovuto curare Noa che Dan punta il dito.

“Una volta Noa m’ha raccontato che le avevano infilato una specie di camicia di forza. E che nel corso di tutta la sua storia psichiatrica è questo l’evento che l’ha fatta più soffrire”.

Il racconto continua. Dan Brouwer spiega che il germe della morte si è insinuato in Noa tanti anni fa, all’epoca della prima violenza sessuale. Dopo quel primo episodio, infatti, la madre di Noa trovò una grande busta di lettere in un cassetto della stanza della bambina.

Erano tutte lettere di addio. Erano sei anni che Noa voleva smettere di vivere: “Il suo profondo male di vivere ha origini lontane”, spiega Dan.

Eppure, osserva Pietro del Re che ha fatto l’intervista, quella scelta Noa l’ha perseguita con una perseveranza combattiva, vitale. Un paradosso?

“Noa era profondamente depressa, ma era anche una ragazza molto intelligente. Aveva capito che per combattere o meglio per contenere il suo male doveva accanirsi contro qualcosa. Per alleviare il suo dolore, era quella la sola àncora a cui aggrapparsi”.

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