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    “Scuola in alto mare, noi insegnanti chiediamo di rimandare la riapertura”: le testimonianze a TPI

    Di Anna Ditta
    Pubblicato il 28 Ago. 2020 alle 18:49 Aggiornato il 28 Ago. 2020 alle 19:55

    Con i contagi in crescita nelle ultime settimane e le difficoltà ad approntare le regole sulla ripartenza della scuola, in vista del 14 settembre i docenti italiani sono divisi tra la voglia di riprendere le lezioni e il rapporto con gli alunni e i timori per la pandemia, che ancora non può dirsi superata. Mentre i sindacati sono in rotta con la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina, anche i singoli insegnanti si sentono poco tutelati e hanno paura che il rientro imminente in aula avvenga nel caos, come dimostra l’iniziativa di centinaia di docenti che in Veneto hanno chiesto di non rientrare a scuola a settembre perché “lavoratori fragili”, ad esempio perché soffrono di particolari patologie o malattie croniche.

    “Siamo ancora in alto mare”, dice a TPI Marilena Esposito, docente di scuola primaria, con 21 anni di insegnamento alle spalle, che fino allo scorso anno insegnava a Roma ma quest’anno ha avuto il trasferimento in provincia di Salerno. “La nuova scuola in cui andrò farà il collegio online, io invece andrò a fare la presa di servizio di presenza. Ma a tutt’oggi non sappiamo come si svolgerà l’anno scolastico. Non ci sentiamo al sicuro, si poteva fare qualcosa in più. Per come la vedo io bisognava fare le classi con meno alunni, dividendo il nostro monte ore, almeno fino a dicembre, e fare i turni”.

    Un altro punto critico riguarda la necessità di richiudere le scuole in occasione delle elezioni del 20 e il 21 settembre. “In Campania si voterà anche per le Regionali e, in diversi comuni, per le amministrative. Ma che senso ha aprire e poi richiudere?”, si chiede Marilena. “Che ci fosse le elezioni si sapeva già, perché ridursi all’ultimo momento?”. Il test sierologico, che è su base volontaria, assicura che lo farà. “Voglio stare tranquilla. Ma non tutti la pensano allo stesso modo”.

    Per far ripartire l’anno scolastico, secondo i sindacati e gli uffici regionali scolastici, serviranno 250mila supplenti. Il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri oggi ha rassicurato: “Firmato il decreto finalizzato all’assunzione a tempo indeterminato di 80mila docenti. Una buona notizia per i precari e per gli studenti che avranno così garantita la continuità didattica”.

    “Certo, questa per noi è una buona notizia”, commenta con TPI Antonio Maisano, giovane supplente precario siciliano, che insegna nelle scuole superiori del Nord Italia. Ma restano i dubbi su come evitare il contagio in aula. “Correggere gli esercizi, chiamare un alunno alla lavagna, come si fa ad assicurare le distanze? Non sarà facile da gestire”, dice. “Bisognerà vedere come si organizzeranno le lezioni. Da docente di matematica posso dire, ad esempio, che la didattica mista – con gli studenti in parte in classe e in parte a distanza – ci farebbe diventare matti. Non sapremmo a chi dare retta prima. Sarebbe persino peggio della Dad (didattica a distanza, ndr) per tutti, perché in quel caso si può condividere lo schermo del tablet con tutti e commentare gli esercizi”.

    “Penso che le scuole non siano ancora in grado di accogliere i bambini con questa pandemia”, commenta Gesualda Testa, che insegna presso la scuola primaria al 57° Circolo San Giovanni Bosco, a Napoli, ed è di ruolo da 5 anni. “Spero che la Regione Campania rimandi l’apertura. Ci saranno anche le votazioni, quindi bisognerà richiudere e sanificare un’altra volta. Sarebbe logico riprendere dopo le elezioni, in modo da monitorare anche l’andamento dei contagi”.

    “Non si può stare in classe con la mascherina per tante ore, non si riesce a respirare. Non oso immaginare come si faccia a tenere i bambini con la mascherina addosso per una mattinata”, sottolinea (per il Cts le mascherine possono essere abbassate se la distanza tra gli alunni viene mantenuta, ndr). “I banchi sono a distanza di un metro, ma non so come faremo a mantenere i bambini di prima e seconda elementare fermi al banco. È una situazione difficile da gestire, a maggior ragione perché vengono da un anno durante il quale hanno frequentato solo una parte delle lezioni in aula”.

    “Noi useremo le nostre aule normali, non ci sono spazi in più”, racconta. “Hanno spostato alcune classi in sedi distaccate, cercando di riempire tutti gli altri plessi che abbiamo. Abbiamo dovuto togliere l’aula di informatica, la palestra, occupando tutte le aule che potevamo occupare”.

    Sul test sierologico, Gesualda osserva: “Mi sembra più un rischio che una cosa buona”, perché “ci fa sapere se abbiamo contratto il virus in passato, non se abbiamo un’infezione in corso, quindi potrebbe innescare una quarantena inutile. Molti di noi non sono d’accordo nel farlo, un tampone sarebbe più efficace”. E nel caso in cui si trovi un positivo in classe? “I genitori si preoccuperanno, vorranno far isolare i bambini, ci sarà il caos”, prevede l’insegnante.

    Un altro tema è quello che riguarda i docenti esiliati dalla legge 107, che da anni sono costretti a lavorare lontani da casa. “Negli ultimi 5 anni ho lavorato a Piacenza, che negli scorsi anni è stata tra le città più colpite dal virus”, racconta Gesualda, anche lei “esiliata”. “Al pensiero di dover tornare lì, nel pieno del contagio, e poi salire e scendere tutte le settimane dalla famiglia, ero nel panico. Per fortuna quest’anno sono riuscita ad avere l’assegnazione provvisoria qui a Napoli, come ricongiungimento alla famiglia, ma moltissimi colleghi che lavorano al Nord non l’hanno ottenuto”.

    “Il primo settembre tutti questi insegnanti andranno a prendere servizio e poi torneranno al Sud nel weekend per stare in famiglia. Credo che questo sia un rischio importante durante una pandemia. La ministra Azzolina dice che i trasferimenti sono stati assegnati, invece sta assumendo nuovo personale. Se invece si lasciassero i docenti nelle proprie province ci sarebbe minore diffusione del virus”.

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