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A Roma creato il fondo di memorie del Liceo unitario sperimentale (Lus): “Cambiare la scuola è possibile”

Immagine di copertina
La presentazione del fondo. Credit: Anna Ditta

Testimonianze e documenti raccontano il decennio in cui è stato attivo il Lus, che ha coinvolto complessivamente 500 studenti e 50 insegnanti. La scuola sperimentale senza libri di testo, tra tempo pieno, corsi facoltativi e autovalutazioni

Il fondo di memorie del Liceo unitario sperimentale (Lus), esperienza pedagogica nata nel 1970, entra a far parte dell’archivio del Circolo Gianni Bosio: la notizia arriva a oltre 50 anni dalla nascita dell’iniziativa romana, durata complessivamente dieci anni. Il fondo è composto da testimonianze orali audio e video di ex allievi, insegnanti e genitori, accompagnate da questionari, fotografie e documenti conservati nelle case dei protagonisti.

S&D

La presentazione del fondo, che si sarebbe dovuta svolgere il 5 marzo 2020 ma è stata rimandata a causa della pandemia, si è tenuta martedì 8 giugno alla Biblioteca Fabrizio Giovenale di Roma, in modalità mista online e in presenza, ed è stata arricchita dagli interventi musicali del LusCoro, il coro del liceo sperimentale, che si è ricostituito dopo molti anni.

L’idea del fondo di memorie del Lus

“Un emozionale fondo d’archivio”: così lo ha definito Fiammetta Formentini, del Gruppo di Progetto Memorie Sperimentali, che ha curato la realizzazione del fondo del Lus. Costruire il fondo è stata una “sfida”, ha spiegato, ma ora “la sfida futura è lanciata ad altri, a chi vedrà se da questo archivio sarà possibile trarre qualcosa”.

“La speranza è che queste voci escano fuori dagli armadi per capire cosa siano la scuola e la politica”, ha aggiunto Formentini, sottolineando che nel caso del Lus si è trattato di una “sperimentazione che ha visto mancare fase di valutazione“. “A che serve una sperimentazione se non se ne tirano le fila?”, è la domanda che si è posta insieme al gruppo, e che l’ha spinta verso la realizzazione del progetto.

L’esperienza del Liceo unitario sperimentale

A raccontare l’esperienza all’interno del Lus, che ha coinvolto 500 studenti e 50 insegnanti in un decennio, è stata Michela Mayer, che vi ha insegnato dopo la laurea in Fisica con una tesi sulla Didattica. Per lei l’esperienza del liceo sperimentale si sostanzia in tre parole: educazione trasformativa, passione, riflessione. “Ho imparato cosa sia l’educazione trasformativa al Lus, 50 anni fa”, ha raccontato. “La scuola iniziata nel 1970. A me è stato affidato l’incarico di stilare il programma di fisica del biennio unitario”. Presto gli insegnanti si sono accorti tuttavia che cambiare le discipline non era sufficiente a cambiare davvero il modo di fare scuola.

“Verso la fine del 1972 abbiamo trovato la nostra struttura: lavoravamo 8 ore al giorno, tranne il sabato”, ricorda la docente. “La mattina si stava in classe, dove si mettevano le fondamenta dello studio, preparando le materie”. E i libri? “I libri non c’erano, c’era solo la biblioteca, messa insieme con le donazioni dei genitori”. Il pomeriggio, invece, “si seguiva la passione. L’obiettivo era capire cosa gli studenti volessero fare e perché. Certo, c’erano corsi di recupero per chi ne aveva bisogno, ma anche approfondimenti e laboratori di musica e di teatro. C’erano le lingue, psicologia, anche il corso su Marx, che era seguitissimo, con circa 50 persone”.

In conclusione, ecco la riflessione per la scuola di oggi: “Come si fa a pensare che una scuola sia trasformativa se non invita a trasformarsi?”, si domanda Mayer. “Oggi la scuola che conosciamo è adattativa. Invece dovremmo cercare insieme, appassionarci”. Sull’epilogo dell’esperienza del Lus l’insegnante dice: “Ufficialmente i motivi erano altri, ma in realtà siamo stati chiusi perché non mettevamo voti. Come si valuta lo studio individuale se si lavora 8 ore insieme?”, si chiede, ma aggiunge: “La valutazione c’era, ed era molto approfondita, a partire dall’autovalutazione dell’alunno con il tutor, che poi veniva concordata con gli insegnanti. Non bocciavamo nessuno, solo chi a scuola non c’era venuto”.

Per Pietro Lucisano, docente di pedagogia trasformativa, l’archivio rappresenta la “testimonianza che è possibile fare le cose in modo diverso”. E per questa ragione da parte del ministero sarebbe “colpevole chiudere tutto in un magazzino e lasciarlo al macero”. Lucisano ricorda il grande entusiasmo dietro l’iniziativa, ma anche in parte la confusione in cui ci si è trovati, dato il carattere sperimentale. “Bisogna avere nel cuore un po’ di caos per andare oltre il sistema scolastico”, dice.

“Quando ho saputo che a Roma, negli anni in cui io studiavo al liceo, c’era un liceo sperimentale il mio primo sentimento è stato l’invidia”, dice la storica Vanessa Roghi, che negli scorsi anni si è occupata di figure come Don Milani e Gianni Rodari. “A lungo si è accettato di ragionare alla didattica solo fino alla scuola media, mancava la sperimentazione per i liceali”, spiega, definendo il Lus come “un prisma attraverso il quale guardare la storia di quegli anni”.

Al tempo stesso, Roghi ricorda i due limiti dell’esperienza del Lus. “Il primo limite macroscipico”, dice, “è la composizione sociale dello sperimentale, che è borghese e che riproduce la stessa classe sociale genitori che sceglievano di iscrivere i figli in questa scuola”. L’altro limite, secondo la storica, è il “depauperamento della scuola pubblica“. La sperimentazione, ricorda, è ancora una via troppo stretta, speriamo sia possibile in tutte le scuole e non in una soltanto”.

Dove consultare il fondo

L’archivio del Circolo Gianni Bosio, che si trovava fino a qualche tempo fa all’interno della Casa della Memoria e della Storia, attualmente è ospite presso l’Istituto di Istruzione Superiore “Leonardo Da Vinci” di via Cavour. Tuttavia, come ha spiegato il presidente del Circolo Alessandro Portelli, presto dovrà lasciare questa sede per ragioni burocratiche ed è quindi in cerca di una nuova casa che possa ospitarlo.

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