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La preside che salva gli studenti dalla camorra: “Chi non investe nella scuola è contro il cambiamento”

Immagine di copertina
Eugenia Carfora. Credit: TEDxTreviso

L'intervista di TPI a Eugenia Carfora, la dirigente scolastica che negli ultimi anni è diventata il volto della lotta alla dispersione scolastica in Campania

La preside che salva gli studenti dalla camorra: “Chi non investe nella scuola è contro il cambiamento”

L’ha nominata en passant, durante l’ormai celebre discorso a Montecitorio del 9 settembre, Giuseppe Conte. Tra una stoccata agli ex alleati di governo e l’altra, elencando i tanti problemi che l’Italia deve ancora affrontare. “Per quanto riguarda la scuola”, ha detto, “occorre intervenire per ridurre la dispersione scolastica”.

La questione non viene quasi mai discussa – l’ultimo rapporto in merito, pubblicato dal Ministero dell’istruzione e della ricerca ad agosto, è stato messo da parte e in fretta dimenticato. Sicuramente poco spendibile in campagna elettorale, la dispersione scolastica è d’altronde uno di quei problemi sistemici che la penisola si porta dietro almeno dal 1877, quando la legge Coppino rese l’istruzione obbligatoria, e che non può essere risolto da un decreto veloce veloce o con le buone intenzioni.

Soltanto nell’anno scolastico tra 2016 e 2017, sono oltre 131mila gli studenti italiani che hanno abbandonato la scuola dell’obbligo prima del tempo. Negli ultimi 20 anni, sono almeno 3 milioni i giovani che si sono allontanati dall’istruzione per mai più ritornarci.

I dati sono particolarmente allarmanti nel Mezzogiorno. Non è quindi un caso che Eugenia Carfora, la dirigente scolastica che negli ultimi anni è diventata il volto della lotta alla dispersione scolastica – ottenendo vari riconoscimenti a livello nazionale e arrivando a raccontare la propria storia nei salotti televisivi – venga dalla Campania. Armata di un coraggio infinito, una perseveranza di ferro e un sorriso modesto che ha l’aria di non abbandonarla spesso, nemmeno quando racconta delle avversità che ha dovuto affrontare negli ultimi anni.

“Tutti vorrebbero fare qualcosa, ma si domandano ‘chi me lo fa fare?’. Così passano gli anni, passa il tempo, e un giorno ci si guarda indietro e si dice ‘potevo fare qualcosa, e non l’ho fatto’”, riflette Carfora, al margine dell’evento TEDx a Treviso che l’ha vista raccontare la propria storia di resistenza a una sala gremita di giovani. “Ecco, io un giorno così non lo voglio mai vivere”.

Il suo percorso comincia nel 2007, vinto il concorso da dirigente scolastica, decide di assumersi la responsabilità di una scuola a cui nessuno voleva avvicinarsi: l’istituto professionale del Parco Verde a Caivano, alle porte di Napoli. Un luogo dove la dispersione scolastica raggiunge dei livelli emergenziali, collocato nel cuore di una delle più grandi piazze di spaccio d’Europa, tra prostituzione e malvivenza.

“Tutto sembrava tranne che una scuola”, ricorda Carfora. Lasciata a sé stessa, scarsamente curata, vuota. “Ho fatto quello che un comune cittadino dovrebbe fare: ho cominciato a pulire, a chiedere aiuto”. Giorno dopo giorno, talvolta andando a recuperare personalmente i ragazzi rimasti a casa da scuola, bussando ad ogni singola porta, remando contro le dinamiche sociali locali, la preside ha dato nuova linfa vitale alla sua scuola. All’insegna della bellezza e della legalità, per lei due imperativi categorici.

“Il mio sogno è semplicemente quello di aiutare a pensare. C’è chi non vuole che tu pensi: perché se pensi, ci pensi un po’ prima di fare quello che loro vogliono”, dice. Combattendo al contempo l’attrattività del lavoro offerto ai ragazzi dalla criminalità organizzata, che nella periferia di Napoli la fa spesso da padrona. “Molte volte, nella scuola i ragazzi non sono abituati a vedere un sentiero, una luce per vedere il mondo e trovare sé stessi. In quei casi si deve fare una doppia fatica. Alcuni dicono che interrompono gli studi per andare a lavorare – ma parlano sempre di lavorare per qualcuno. Io vorrei che lavorassero perché è una gioia lavorare, perché all’interno del lavoro si può trovare anche tanta civiltà”.

Oggi Carfora continua a lavorare perché la sua scuola, una volta descritta come tra le peggiori d’Italia, sia un modello – contattando aziende che assumano i suoi studenti una volta finito il percorso di studio, investendo sulla pulizia e “l’impeccabilità dell’accoglienza” (come la chiama lei), motivando i professori a dare il meglio. Perché la dispersione, spiega la preside, si combatte “tirando dentro tutti, convincendoli che davvero si diventa più liberi leggendo un libro. Lavorando per una scuola che sia un centro di opportunità totale. Riappropriandosi degli spazi”.

Il nemico numero uno contro cui combattere, in un posto come Parco Verde, Carfora l’ha identificato da tempo: è l’omertà. “L’indifferenza ammazza le persone. L’omertà ammazza le persone. I muri a volte sono fisici, ma a volte i muri invisibili, quelli del silenzio, sono molto più pericolosi”.

C’è poi la questione degli investimenti: semplicemente troppo bassi, in tutta Italia, per garantire l’educazione di qualità di cui i giovani italiani hanno bisogno. Una situazione ancora più grave se si prendono in considerazione i più recenti dati Ocse, che mostrano come il 23 per cento dei quindicenni italiani abbia bassissime competenze di comprensione del testo. Un quadro desolante, ennesimo sintomo di un sistema Italia in cui le disuguaglianze tra Nord e Sud, centri e periferie, ricchi e poveri si riproducono in continuazione e non danno segno di sanarsi.

“Molti parlano di numeri, ma gli investimenti sono terribilmente bassi”, denuncia allora Carfora. “Io credo che chi non investe nella scuola non voglia il cambiamento. Ma io voglio insegnare ai ragazzi a non rassegnarsi mai: non è l’assenza di un banco che non ti fa fare lezione, ma piuttosto la mancanza di ispirazione. Dobbiamo educare alla sensibilità, alle emozioni”.

“Tutte le grandi emergenze sociali passano per la scuola. E allora investiamo nella scuola. Nelle professionalità – nel professore, nella professoressa. Facciamoli sentire meno soli. Ricordiamo che questa è la migliore professione del mondo, reclutiamo chi ha l’inclinazione. Non ci servono più soldi per fare contenti i professori: ci servono più investimenti affinché un domani non ci si debba tutti pentire di non aver salvato questi ragazzi”, aggiunge. Sperando che la sua storia possa gettare un po’ di necessaria luce su una questione strutturale che non può certo essere risolta dai singoli presidi, per quanto tenaci.

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