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La fuga alle isole Vergini e quella misteriosa autobomba: la vera storia di Flavio Briatore

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“Essere Briatore”: recensione del libro

É l’emblema dell’uomo di umili origini che si è fatto da solo scardinando l’algoritmo familista del capitalismo italiano. Un manager navigato, un imprenditore realizzato. Chiacchierone e ultra chiacchierato. Ma di Flavio Briatore, al netto delle autocelebrazioni, si sa in definitiva pochissimo: la Formula Uno, il Billionaire, le donne, l’amicizia con Silvio Berlusconi, “il Coronavirus non esiste”. Sappiamo poco di come sia riuscito a scalare i gradini del successo, dalla provincia piemontese al cuore dell’impero finanziario, né sappiamo con quali mezzi.

S&D

É a partire da questo enorme buco biografico che prendono le mosse Andrea Sceresini e Maria Elena Scandaliato, con Nicola Palma, per raccontare la storia che nessuno ha mai raccontato in “Essere Briatore”, appena uscito per Zolfo Editore (344 pagine, 18 euro).

La prima versione del libro – di cui, poco più sotto, leggerete un estratto – è stata pubblicata nel 2010 ed è andata quasi letteralmente a ruba anche se in pochissimi se ne sono resi conto. In apparenza un controsenso, in realtà qualcuno ripulì una serie di librerie italiane, da Roma a Milano, acquistando di volta in volta tutte le copie disponibili sugli scaffali. Alla cassa un giorno si presentava “un nipote di Flavio”, un altro un figlioccio, un’altra volta ancora un signore elegante: tenevano tutti i volumi sottobraccio e pagavano, ovviamente, in contanti. Risultato: in pochi all’epoca hanno potuto leggere questa inchiesta che oggi torna in libreria in una versione aggiornata.

Tra vedere e non vedere il consiglio è quello di sbrigarsi ad ordinarne una copia perché i due autori ripercorrono con rigore tutte le tappe meno battute della storia imprenditoriale di mister Briatore a partire dal legame con Attilio Dutto, saltato per aria con la sua auto il 21 marzo del 1979, a Cuneo, in circostanze mai del tutto chiarite (ma in odor di criminalità organizzata), passando per “il mistero delle azioni Generali” e “l’Anonima spennapolli” (una storia di gioco d’azzardo, tavoli truccati e una barca di gonzi facoltosi) che gli sarebbe costata le manette, non fosse stato per la fuga alle Isole Vergini dove, grazie prima di tutto all’amicizia con Luciano Benetton, il geometra di Verzuolo continuerà, da latitante, a fare soldi a palate.

Ma non mancano, arrivando a tempi più recenti, una ricostruzione dettagliata del pasticciaccio brutto di Singapore, o per dirla con le parole di Niki Lauda “il peggiore scandalo nella storia della Formula Uno” (che costerà al team manager della Renault la radiazione) e le interviste esclusive ai dipendenti del Billionaire che sulla carta guadagnano tra i mille e i milleottocento euro al mese ma arrivano a portarsi a casa fino a 50mila euro di mance a stagione, esentasse, senza timore di un controllo da parte della GdF visto che “venivamo avvisati con largo anticipo dell’arrivo dei finanzieri”.

Questa lunga e preziosa inchiesta si conclude con un’intervista ad un vecchio amico del faccendiere che svela, ancora una volta, nuovi particolari inediti sull’ascesa da sogno di FB. Di seguito pubblichiamo in esclusiva alcuni passi del libro: la cornice è quella della morte misteriosa di Attilio Dutto, il primo socio di Briatore, saltato in aria su una autobomba. Sceresini e Scandaliato sono stati i primi a pubblicare le carte delle indagini, che finora nessun giornalista era riuscito a reperire.

“Essere Briatore”: un estratto del libro

[…] Che cosa emerse dalle indagini di Giovanni Battista Puppo? Cosa contengono quelle carte così misteriose che a nessun giornalista è mai stato concesso di leggere, ma che, in un modo o nell’altro, sono giunte nelle disponibilità di personaggi non proprio raccomandabili? Ora finalmente siamo in grado di raccontarlo.

Anzitutto, un primo dato: Attilio Dutto si è fatto dei nemici, ne è ben cosciente e ha decisamente paura. Dichiara un conoscente dell’industriale, tale Pietro Cometto, di professione barista: “[Il 16 marzo 1979, Dutto] mi aveva confidato con amarezza che la gente è cattiva, invidiosa e che se potesse rovinerebbe una persona”. “Veniva riferito – si legge inoltre in un rapporto giudiziario dei carabinieri di Cuneo del 28 aprile 1979 – […] che in una sera dei mesi scorsi il signor Dutto si era incontrato, in un ristorante di Savona, con un suo vecchio amico abitante in una cittadina vicino Cuneo e, così era stato riferito, quasi con le lacrime agli occhi, gli aveva confidato che c’era qualcuno che gli voleva molto male e che lo cercavano per ‘farlo fuori’”.

Altri testimoni, parlando con i militari dell’Arma, riferiscono episodi ancora più inquietanti: una tale Elena, ad esempio, racconta che “il Dutto, cui era legata da profonda amicizia, le aveva confidato di aver ricevuto nel proprio ufficio la visita di alcuni uomini, di cui però non le citava le generalità o la città di provenienza, i quali gli avevano offerto, con una certa insistenza, una ingente somma da investire per conto loro, senza volergliene però spiegare la provenienza, dicendo anzi che erano cose che non lo riguardavano”. I campanelli d’allarme non mancavano, insomma, ed erano decisamente rumorosi.

E poi c’è dell’altro: poco prima di morire, Attilio Dutto inizia a far scomparire ingenti quantità di denaro. Per quali ragioni? Dove sono finiti questi fondi? La risposta resta un mistero.

Recita un rapporto giudiziario del primo giugno 1979, redatto dai carabinieri di Cuneo: “Dalmasso Lorenzo, in atti generalizzato, già collaboratore del Dutto Attilio, […] ha riferito oralmente allo scrivente che, secondo i suoi calcoli, il Dutto aveva prelevato dalle attività legate alla società Sfida una somma oscillante attorno ad 1.250.000.000 di cui egli non riusciva a comprendere l’impiego o la destinazione, ignorando che fine abbiano fatto. Riferiva inoltre, sempre oralmente, che gli risultava che recentemente il Dutto aveva chiesto ed ottenuto dall’industriale Leoni […] un prestito dell’ammontare di 500.000.000 di lire di cui non conosceva né il motivo né lo scopo”.

E ancora, dal rapporto giudiziario del 28 aprile 1979: “Al momento dell’apertura della cassetta di sicurezza di pertinenza del Dutto Attilio, in un istituto di credito di Cuneo, si riscontrava che le chiavi trovate al predetto non aprivano la cassetta in questione, tanto è vero che occorreva l’intervento di un fabbro per riuscire ad aprirla. Resta pertanto da accertare a cosa corrispondano le chiavi che aveva il Dutto. Nella cassetta aperta sarebbero state rinvenute cose di poco conto”.

Dunque, riassumendo: Attilio Dutto avrebbe sentito il fiato sul collo, temendo per la sua vita. Forse per metterle in salvo in qualche luogo sicuro – o forse per consegnarle alla gente “cattiva” che vorrebbe “farlo fuori” – avrebbe iniziato a rastrellare grosse somme di denaro, che come per magia svaniranno nel nulla. Chi potrebbero essere questi misteriosi nemici che tanta paura avrebbero fatto allo scafatissimo industriale piemontese? Nonostante la sua arguzia, il capitano Giovanni Battista Puppo non riuscirà mai a stabilirlo con certezza.

Dalle indagini emerge tuttavia un dato significativo: la fiducia che Dutto riponeva in Briatore stava probabilmente crollando. In quei primi mesi del 1979, ragionando sulle sue alterne fortune al tavolo verde, il maturo imprenditore aveva forse iniziato a collegare alcuni fatti: i soggiorni pagati in località esotiche, gli strani rapporti tra il geometra-porteur di Verzuolo e la cricca degli impresari siciliani, le sue continue débâcle nei casinò di mezzo mondo – che ormai non si contavano più.

Sarà lo stesso Briatore, in un interrogatorio del 7 maggio 1979, a raccontare agli inquirenti l’ultimo episodio della serie: “Negli ultimi tempi in due occasioni distinte, durante serate trascorse in casa del conte Caproni a Venegono, giocando a ‘Chemin de fer’, Dutto perse circa 200.000.000 e io 18.000.000 che vennero vinti prevalentemente da un greco di circa sessant’anni, molto distinto, mi pare a nome Vavareas o qualcosa del genere, che dovrebbe essere proprietario di un aereo privato, affarista a livello internazionale collegato con gruppi arabi, iraniani e sudanesi, con Gheddafi e lo scià di Persia […]. Quel cittadino greco presentatoci da Caproni si era dichiarato interessato a rilevare il 51 per cento delle azioni Paramatti attraverso un gruppo finanziario iraniano-sudanese interessato alla costruzione di una fabbrica di smalti e vernici in Medio Oriente”.

Si tratta di un passaggio molto importante, che dovremo tenere a mente. La vera identità del “greco Vavareas” verrà clamorosamente rivelata dall’inchiesta milanese sul gioco d’azzardo che travolgerà qualche anno dopo il Tribüla e Caproni, e che il povero capitano Puppo non poteva conoscere, ma la cui lettura, senza dubbio, avrebbe rafforzato i suoi sospetti.

Sia come sia, la spiacevole esperienza dovette risultare indigesta al povero Dutto, specie alla luce di altri fatti pregressi. La sua fidanzata Anna Blengino, in un interrogatorio del 18 aprile 1979, racconterà ai carabinieri: “Attilio cominciò a rendersi conto che anche con lui il Briatore Flavio non era sincero, come peraltro era e ritengo sia tuttora essere sua abitudine con le persone con cui viene a contatto sia per affari che per questioni di ordinaria amministrazione. In particolare, 15 o 20 giorni prima che Attilio venisse a mancare, mi disse di essersi reso conto che il Briatore non aveva debiti soltanto con lui personalmente e con la Sfida o con altri amici comuni, ma era venuto a conoscenza di altri debiti del Briatore, di importo che egli non mi specificò, con persone di cui nulla aveva saputo prima”.

“In particolare, nella settimana precedente il fatto, ebbi occasione di rinvenire in casa, sul tavolo della scrivania, un assegno di 88 milioni a firma Briatore Flavio. Ne chiesi il motivo ad Attilio ed egli mi rispose di averlo ottenuto in pegno dal Briatore avendo egli coperto un debito del Briatore nei confronti di Tomatis Domenico di Cuneo e Filippi Rino di Carrù. Tale debito, mi venne spiegato da Attilio, era originato da un ammanco di azioni Paramatti […] commissionate dai due predetti al Briatore, che ricevette il relativo ammontare per l’acquisto delle azioni senza mai consegnarle ai due committenti anche se probabilmente le aveva acquistate”.

“Prima di domenica 18 marzo Attilio si informò presso Tomatis, Filippi, e forse altri che non saprei però indicare, sull’esatta situazione debitoria del Briatore e, dal momento che pare che la situazione fosse confusa, decisero di riunirsi domenica 18 tra di loro, cioè Attilio, Tomatis, Filippi e Briatore […] Dalla riunione […] Attilio tornò abbastanza contrariato a casa e, a mia richiesta su come si fosse svolto l’incontro, rispose testualmente, se ben ricordo: ‘Flavio è irrecuperabile, senza speranza. Nega anche di fronte all’evidenza dei fatti’. Subito dopo chiesi ad Attilio se aveva avuto occasione di mettere in atto il proposito manifestatomi durante la settimana di sollevare il Briatore dall’incarico di amministratore delegato della Paramatti, al fine di estrometterlo dall’azienda come ormai era sua intenzione, ed egli mi rispose di non aver ancora attuato tale suo proposito ma che si riservava di farlo comunque in tempi brevi”.

Che le quotazioni di Briatore fossero ormai in grave ribasso, lo conferma anche un altro testimone, l’imprenditore Giuseppe Ghigo, interrogato dai carabinieri il 2 maggio 1979: “Per quanto concerne il Briatore, posso dire di conoscerlo da circa 5-6 anni or sono e, anch’egli, ricordo, mi prospettava sempre grossi affari senza però mai concludere nulla […] In particolare vi confido, sperando di non riceverne eccessivo danno, che una volta, trovandoci da soli a passeggio, il Briatore Flavio mi disse che avremmo potuto organizzarci e, attraverso il mio [aiuto] e quello di altri, fare ‘un bel bidone’ di qualche miliardo o più e poi salutare tutti. In quella circostanza gli diedi del pazzo e cominciai a dubitare di lui”.

Ma atteniamoci ai fatti. Il 18 marzo – come abbiamo visto – Flavio Briatore venne messo con le spalle al muro dai suoi creditori. Uno di essi, Domenico Tomatis, riferirà agli inquirenti i retroscena di quella burrascosa riunione: “Tutti, in tono normale, cercammo di sapere dal Briatore quali fossero le sue eventuali situazioni debitorie nei confronti di terzi a quella data, con lo scopo di cercare di risolvere i suoi problemi per quanto possibile. Il Briatore asserì che non aveva problemi di sorta”. E poi: “Il Dutto disse che se la Paramatti si fosse trovata con un amministratore delegato protestato ne avrebbe riportato gravi danni”. La situazione, insomma, stava iniziando a precipitare.

Il 20 marzo, alla vigilia dell’attentato, Flavio Briatore si trovava a Milano per incontrare Achille Caproni: parlarono della faccenda Paramatti, e il “Contino” – stando a quanto riferito agli inquirenti dallo stesso Briatore – avrebbe colto l’occasione per esprimere il suo desiderio di “retrocedere dalle trattative”. Era l’ennesima brutta notizia: la classica goccia che fa traboccare il vaso. La sera del 20 marzo Attilio Dutto decise di trascorrere qualche ora tranquilla. Prese appuntamento con alcuni vecchi amici e si accomodò tra i tavolini del bar Corso, nel centro di Cuneo, per la classica partita a carte. Era stanco e nervoso, decisamente di cattivo umore. Si sfogò con uno dei presenti: “Se solo avessi la tua forza!”, gli disse sospirando.

A un certo punto squillò il telefono: era Flavio Briatore, che voleva aggiornarlo sugli esiti infausti della giornata. Racconterà uno dei presenti, Dino Ambrosio: “Quando tornò al nostro tavolo, [Dutto] mi sembrava un po’ innervosito, tanto è vero che volle iniziare la partita quasi controvoglia e, contrariamente alle sue e alle nostre abitudini, alla fine delle 4 o 5 partite che abbiamo fatto non si è verificato nessuno ‘sfottimento’ scherzoso tra di noi, che poi è il sugo del gioco. Da Cometto Pietro, che si trovava più vicino al telefono, ho sentito che la conclusione della telefonata da parte di Attilio è stata questa frase: ‘Non fatemi più girare le palle. Ci sentiamo domani’”. La frase riferita nel verbale di Cometto è in realtà un po’ più articolata: “Non rompetemi i coglioni. È così e basta. Ci vediamo domani mattina”.

L’indomani ovviamente non vi fu alcun incontro, perché Dutto – come sappiamo – saltò per aria. La mattina del 21 marzo – secondo quanto dichiarato agli inquirenti – Flavio Briatore si trovava in compagnia di un amico, e fu quasi casualmente, interpellando un passante, che venne a sapere la notizia dell’attentato. Quelle che seguirono furono ore convulse e dolorose, avvolte dall’ennesimo alone di mistero. Il capitano Puppo cercherà di ricostruirle con estremo rigore, grazie all’aiuto di alcuni testimoni.

Dalla deposizione di Michelangelo Oderda, vecchio amico di Dutto: “Al pronto soccorso [la mattina del 21 marzo] ho notato che il Briatore era molto teso e preoccupato”. E ancora: “Da altre persone, dopo il fatto in cui è morto Attilio, ho sentito dire che Briatore gli doveva dei soldi e, se non sbaglio, che aveva anche cercato di andare in casa di Attilio per prendere dei documenti che lo riguardavano”.

Al bizzarro episodio era presente Lorenzo Dalmasso, che il 30 aprile riferirà agli inquirenti: “La sera in cui avvenne l’incidente, o quella successiva, mi citofonò la Blengino che mi diceva di essere in compagnia del Briatore, il quale voleva entrare in casa in viale degli Angeli per cercare dei documenti e chiedeva il mio intervento non volendo lasciarlo entrare trovandosi sola in casa. Insieme entrammo tutti e tre in casa del Dutto, forse c’era anche il fratello della Blengino, e fu fatta una visita molto superficiale all’ufficio del Dutto senza nulla prelevare”. Cosa cercava Flavio Briatore? Che genere di carte intendeva recuperare? E per quali ragioni?

Leggi anche: Così, in un anno, le Sardine sono implose: l’inchiesta su TPI di Giuliana Sias diventa un libro

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